Betlemme senza pellegrini
e con sempre meno cristiani

Articolo del Centro Studi Federici


Pubblicato sul sito Centro Studi Federici

Fonte: Eco di Terrasanta, n. 6, Novembre-Dicembre 2021.


Pubblichiamo due articoli relativi ai cristiani di Betlemme, che vivono principalmente di turismo religioso: decimati dal sionismo a partire dal 1948 e penalizzati negli ultimi anni dal muro di separazione, l’attuale assenza di pellegrini rischia di ridurre ulteriormente la loro presenza nella città dove è nato Gesù Cristo.


Betlemme, ancora uno strano Natale




Nonostante una timida ripresa, la città vive il tempo del Natale ancora in attesa del ritorno dei pellegrini. Le voci degli artigiani cristiani che realizzano da sempre i souvenir in legno d’ulivo, un settore in forte sofferenza per la pandemia

Betlemme, la città che ha dato i natali a Gesù duemila fa, è sospesa nell’attesa. L’attesa della venuta del Salvatore che si fa «piccolo tra piccoli», l’attesa di un miglioramento dal punto di vista economico, politico e sociale. Isolata dal muro di separazione costruito da Israele, per dividere i territori israeliani da quelli palestinesi, la città sta soffrendo molto a causa delle conseguenze della pandemia di Covid-19 e della mancanza di pellegrini. A un primo sguardo, Betlemme sembra la stessa di sempre. Nella città vecchia si fa a gara ad attirare l’attenzione dei passanti: i commercianti con le loro grida esperte, gli autisti dei taxi gialli a suon di clacson. Nelle strade affollate di donne velate e di giovani con gli zaini in spalla, le voci dei muezzin richiamano i musulmani alla preghiera dai minareti, mischiandosi talvolta al suono delle campane della basilica della Natività. Avvicinandosi a piazza della Mangiatoia, davanti alla chiesa che conserva la memoria della nascita di Gesù, però, Betlemme non sembra più quella di un tempo. Nei vicoli le saracinesche delle botteghe locali sono ancora sbarrate e uno strano silenzio circonda i luoghi un tempo affollati. Per non parlare dei laboratori artigianali, dove si realizzano prodotti tra i più tipici della città, manufatti artistici in legno d’ulivo.

«Da quando la pandemia è cominciata, ci siamo arrangiati come abbiamo potuto — racconta Joseph —. Il mio laboratorio di presepi in legno è poco lontano dalla città vecchia, nel retro di una tipografia, dove lavora mio figlio. Tutta la mia famiglia è lì, ma nessuno adesso ha da lavorare. Oggi ho aperto il negozio, ma non vendo mai nulla. Posso solo sperare che riprendano i pellegrinaggi». Dal 19 settembre scorso Israele ha permesso l’ingresso nel Paese ai gruppi organizzati (le frontiere sono state di nuove chiuse il 28/11/2021, ndr). Finora solo sparuti gruppi di pellegrini raggiungono Betlemme in un clima surreale, lontano dal fervore che da sempre contraddistingue le festività natalizie.



Il grido di Betlemme




A causa della pandemia e delle norme sanitarie previste da Israele per l’ingresso in Terra Santa, anche nella città del Natale i pellegrinaggi non sono ancora ripresi. E il settore dell’artigianato in legno d’ulivo, un tempo fiorente, langue 

A distanza di oltre un anno e mezzo dallo scoppio della pandemia, a Betlemme tutto è congelato, come in una perenne attesa, di cui non si vede la fine. I turisti e i pellegrini non sono più tornati e centinaia di famiglie che vivevano di turismo sono in condizioni di estrema necessità. Betlemme è infatti uno dei poli più importanti dell’industria palestinese e dell’artigianato locale, con la lavorazione di oggetti in legno di ulivo, le decorazioni in madre-perla, la produzione di tessuti pregiati.

«Oggi non ho più nulla da dire. Abbiamo già parlato abbastanza, abbiamo bussato a molte porte, ma nessuno ci ha aperto», afferma un artigiano di una bottega a pochi metri dal santuario della Grotta del Latte, che ricorda il luogo dove Maria si fermò per allattare Gesù. «Non abbiamo ricevuto nulla in tutti questi mesi, che poi sono diventati anni», racconta. L’unico contributo delle istituzioni palestinesi da marzo 2020 a oggi è stato una tantum di 600 shekel (l’equivalente di 150 euro). Suo padre George, un uomo anziano seduto all’esterno e appoggiato a un bastone, spiega che da mesi non si vendono souvenir, oggetti in legno di olivo, rosari: nulla. Non c’è altro da fare se non mantenere il negozio in ordine: «Lavoro in questo negozio da cinquantasette anni, ma ora sono vecchio e per questo mio figlio è venuto ad aiutarmi».

Il ritorno dei turisti, per riattivare l’economia, sembra ancora un miraggio tra i negozianti di Betlemme, ma ha iniziato a sembrare più reale dal 19 settembre, quando Israele ha permesso l’ingresso nel Paese ai gruppi organizzati (le frontiere sono state di nuove chiuse il 28/11/2021, ndr).

«Tutti i rosari che vendo nel mio negozio sono realizzati a mano — spiega Louis, un cattolico, anch’esso artigiano —. Compro i grani da una fabbrica e poi li distribuisco ad alcune donne di Betlemme senza lavoro, che li assemblano a casa. Io lavoro con otto fabbriche e cerco di supportare i cristiani locali. Siamo rimasti davvero in pochi e molti sono disoccupati. Anche tre dei miei quattro figli si trovano all’estero: due studiano in Italia e uno in Spagna. Io però ho scelto di restare qui e cerco, come posso, di incoraggiare il lavoro locale con il legno di ulivo e la madreperla».

Louis nel suo negozio insegna alla gente a riconoscere i prodotti originali, frutto delle mani e della fatica degli artigiani di Betlemme. Per una figura del Presepe, per esempio, è importante considerare l’odore denso del legno, il peso più consistente del materiale, il tipo di superficie ben levigata che scorre sotto le dita. Produrre oggetti di questo genere ha ovviamente un alto costo da coprire, che non è possibile sostenere con l’azzeramento dei profitti. «Ora aspettiamo solo che i turisti tornino e che, una volta qui, sappiano apprezzare la ricchezza dell’artigianato locale, a discapito degli oggetti a basso costo prodotti in Cina e spacciati per artigianali — continua Louis —. Il commercio di oggetti cinesi distrugge la nostra economia».

Mentre gli artigiani tentano a sopravvivere, le croci in legno, le immagini sacre, le calamite, le cartoline e i personaggi del Presepe rimangono ancora negli scaffali, ad attendere il ritorno dei pellegrini. Da qualche mese, gli unici ad aver raggiunto Betlemme sono stati dei gruppi di cristiani migranti che lavorano in altre zone della Palestina o di Israele. «Tra agosto e settembre abbiamo visto forse cinque gruppi arrivare qui e quindi è difficile credere che tornerà presto ad esserci più movimento — afferma Mike, un ceramista che ha la bottega proprio sulla piazza della Mangiatoia —. Dall’inizio della pandemia, nel mio negozio, che è al centro di Betlemme, sono riuscito a incontrare in tutto solo quaranta o cinquanta persone e quindi non ha senso che lo tenga aperto, se so che non passerà nessuno. Speriamo che nei prossimi mesi vada meglio, ma, fino a quando i turisti non torneranno a dormire negli alberghi di Betlemme, la situazione rimarrà immutata. Le persone hanno bisogno di essere lasciate libere di girare autonomamente, perché abbiano la possibilità di entrare nelle nostre botteghe. È dall’anno scorso che non pago l’affitto dei locali del negozio. Aspetto il ritorno dei pellegrini per regolare i miei conti». 





dicembre 2021
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