EX FRUCTIBUS EORUM COGNOSCETIS EOS



di Don Francesco Cupello


Il giorno di Natale, 25 dic. 2021, dovendo presiedere la Messa della Comunità religiosa cui appartengo, ho voluto solennizzare la grande Festa cristiana, anche con segni esterni: essendo io in possesso di una stupenda pianeta dorata, l’ho indossata con tutta naturalezza. Alla sera poi, nel presiedere i secondi Vespri, ho indossato un piviale, molto bello e di moderna fattura, che ho trovato relegato da non meno di 30 anni in un cassetto di un mobile della sacrestia; ho usato l’incenso, che quasi mai si usa, e ho indossato al momento della benedizione eucaristica il velo omerale, un paramento nella mia Comunità disprezzato e da tutti ignorato e da alcuni anche ridicolizzato.
A parte i brontolii che si sentivano qua e là, dopo la funzione mi si accosta un confratello sacerdote, che mi dice: «Ma sei impazzito? Non è mica carnevale!». Io gli ho semplicemente replicato senza livore, ma severamente, dicendo: «Non ti accorgi di aver detto una bestemmia? Hai definito i paramenti liturgici costumi carnevaleschi.
La stessa cosa mi è capitata tre anni fa, quando un altro mio confratello, vedendomi un giorno con l’abito talare, che indosso solo in alcune circostanze, come l’andare a svolgere il mio ministero in una RSA, mi ha gridato da lontano: «Che è Carnevale?». Io non gli ho minimamente replicato, perché essendo stata la sua uscita un sonoro raglio d’asino, con un raglio bisognava rispondergli, e io non so ragliare.

Chi dobbiamo però ringraziare per tutto questo? Ognuno ricorderà che sui mass-media, l’indomani dell’elezione di Bergoglio al Sommo Pontificato, si riportava che lui abbia apostrofato il Maestro delle Cerimonie Pontificie Mons. Guido Marini, che gli presentava le insegne proprie della sua nuova e alta dignità, dicendogli: «Queste cose se le metta lei, Monsignore, il carnevale è finito», offendendo così anche Benedetto XVI che quelle insegne indossava regolarmente. Non so se tutto ciò risponda al vero, ma il fatto che Bergoglio sia uscito dalla cosiddetta “stanza delle lacrime”, indossando la sola talare bianca, che è la sua veste ordinaria, e così presentandosi davanti al mondo intero, nonché indossando la stola papale solo al momento di una sommessa e quasi muta benedizione, per togliersela subito dopo quasi fosse una serpe velenosa appoggiata sulle sue spalle, e non essendoci stata nessuna smentita di quella orribile e sprezzante espressione, né da parte della Sala-stampa vaticana, né da parte delle stesso Mons. Marini, si è indotti a pensare che il tutto possa, purtroppo, corrispondere a verità. Ecco però i velenosi frutti che ha prodotto.

Vorrei ora cogliere l’occasione per un breve commento  sul Documento della S. Congregazione per il Culto Divino RESPONSA AD DUBIA su alcune disposizioni della Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio TRADITIONIS CUSTODES di Papa Francesco.

Innanzitutto bisogna rilevare il prudente, saggio e rispettoso silenzio di Benedetto XVI allo stupefacente controcanto che gli fa il suo Successore. E questo silenzio è già una risposta e non certo di approvazione.

Ciò premesso, mi sembra di poter constatare che non c’è stata alcuna risposta ai dubbi fondamentali insorti a seguito del Motu Proprio di Papa Francesco. Sembrano solo risposte a problemi  pratici e logistici. Ho già trattato la questione nel mio libro intitolato MOTU IMPROPRIO edito dalle Edizioni Fede&Cultura. Mi sembra che il Documento vaticano aggravi i problemi invece che risolverli.

Faccio qualche esempio: quando il Documento vaticano afferma che «i Padri conciliari sentirono l’urgenza di una riforma perché la verità della fede celebrata apparisse sempre di più in tutta la sua bellezza e il popolo di Dio crescesse in una piena, attiva, consapevole partecipazione alla celebrazione liturgica (cf Sacrosanctum  Concilium, n, 14), andando a leggere tale passo del Documento conciliare, è facile notare che le affermazioni della Congregazione per il Culto Divino sono in realtà liberamente tratte da tale Costituzione conciliare, non una esatta citazione virgolettata. Infatti al n. 14 si parla di “ardente desiderio” e non di “sentita urgenza” di una riforma; inoltre, se lo scopo della riforma sia stato quello che “la verità della fede apparisse sempre più in tutta la sua bellezza e il popolo di Dio crescesse in una piena, attiva, consapevole partecipazione alla celebrazione liturgica», vuol dire che per quattrocento anni si è celebrato in un Rito non bello e incapace di far partecipare pienamente i fedeli alla celebrazione liturgica. Il che è inaccettabile. Basta applicare questo principio alle ricchissime e splendide liturgie orientali, per convincersi della sua insostenibilità. Non c’è un solo modo di partecipazione piena, attiva e consapevole alla Liturgia, come ho dimostrato nel mio su citato libretto.

I Riti non si possono cancellare. Nessuno sulla terra ha l’autorità di farlo, anche perché la cancellazione d’autorità di un Rito comporta un giudizio negativo su di esso, una proibizione di una cosa sacra. E cosa di più sacro c’è di un Rito liturgico? Per gli Orientali la cancellazione di un Rito è assolutamente inammissibile, per cui la pretesa di chiunque di avere il diritto di farlo, è quanto di più lontano, se non di più contrario e quindi inaccettabile ci sia nella loro ecclesiologia. Ne va di mezzo anche il cammino ecumenico. Che Papa Francesco, come citato nel Documento dei Responsa, possa dichiarare «con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile», non significa certo che lui possa con autorità sopprimere un Rito antichissimo. Riforma di un Rito sì, soppressione dello stesso no. Che la riforma di un Rito possa determinare una sua naturale decadenza è una prospettiva da mettere in conto, ma non la si può considerare una soppressione, soprattutto se attorno a un Vescovo, che venga loro incontro, si costituiscano comunità di fedeli legate al Rito antico. Semmai occorre una regolamentazione, come avviene per tutti i Riti, che se è un discorso molto complesso, non è però impossibile.

Il principio-guida deve essere questo: ogni Rito è patrimonio inalienabile di tutta la Chiesa; è perciò assurda la “ghettizzazione” dei fedeli legati a un determinato Rito, qualora ci sia un Vescovo che ne accolga le giuste aspirazioni e ne regolamenti la sopravvivenza nella Chiesa. D’altra parte in Traditionis Custodes non è dichiarata enfaticamente, anche se poi clamorosamente contraddetta, l’esclusiva competenza del Vescovo in campo liturgico? Tutti ricorderanno come nel mondo intero, specie in Francia, subito dopo l’entrata in vigore della Riforma Liturgica, si è scatenato come un uragano sulla Divina Liturgia, con sacerdoti e fedeli, che si inventavano e si permettevano di tutto, nella totale inerzia dei Vescovi incapaci di esercitare il loro ruolo di “sorveglianti” in un ambito così fondamentale e vitale della fede come quello liturgico. Ne è derivata una grave crisi nella Chiesa, smarrimento dei fedeli, che si vedevano imporre di tutto, perdita del senso del sacro e totale anarchia. E non parliamo del doloroso accantonamento del canto gregoriano, ricchissimo e splendido patrimonio della Chiesa legato alla lingua latina.

Perché meravigliarsi se davanti a tale devastante distruzione e desolazione, alcuni fedeli e seminaristi si siano rivolti a un Vescovo, supplicandolo di poter continuare a vivere e celebrare la loro fede nella Liturgia secolare, che ha alimentato la santità di tanti membri della Chiesa e attorno alla quale si è sviluppato un patrimonio artistico di ineguagliabile e incalcolabile valore?

Mons. Marcel Lefebvre, un degno e intrepido Vescovo, come poteva rimanere sordo alle invocazioni che salivano a lui da ogni parte del mondo? Si è fatto di tutto per distruggerne la figura e la personalità, facendolo passare per un ottuso retrogrado, un incorreggibile ribelle, un pazzo da ricovero. Lui ha resistito a tutto aiutato dalla grazia di Dio e da quella di stato, essendo un regolare vescovo cattolico, ma soprattutto da un fermo principio: davanti a tutta la devastazione avvenuta nella Chiesa, davanti allo smarrimento, allo sgomento e alla confusione in cui si sono fatti cadere i fedeli, se io continuo a fare come la Chiesa ha sempre fatto per secoli, sicuramente non sbaglio. Come gli si poteva dare torto? Egli poi  si limitò a chiedere che, come venivano permesse le più stravaganti sperimentazioni, a lui venisse concesso di sperimentare la bontà e  l’efficacia della tradizione. Leggendo la vita e gli scritti di Mons. Lefebvre, è ipotizzabile che in futuro egli non solo venga riabilitato [come di fatto è già avvenuto con il riconoscimento delle sue ordinazioni episcopali], ma ne venga promosso il processo di beatificazione, per aver esercitato in modo eroico le virtù cristiane, raggiungendo così S. Paolo VI, che tanto ha sofferto per la Chiesa, riconoscendo che il fumo di satana era entrato anche al suo interno con devastanti effetti. Paolo VI si è trovato davanti a Mons. Lefebvre nella stessa situazione in cui venne a trovarsi Pio XII davanti al dubbio se intervenire o meno sulla persecuzione nazista degli Ebrei: comunque avrebbe agito, tutti avrebbero avuto da dire e da condannarlo sulle diverse conseguenze che ne sarebbero derivate. Paolo VI, come Pio XII, ha dovuto fare la sua scelta, ma è facile immaginare quanto dolore gli sia costata, perché certo egli tutto era, eccetto che uno scatenato progressista. Possano ambedue dal Cielo pregare per la Santa Chiesa in questo cruciale momento della sua storia.



dicembre 2021

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