Chiediamo l’impossibile

Articolo di Elia


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Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi,
chiedete quel che volete e vi sarà fatto
(Gv 15, 7).


L’arciere non scocca le sue frecce a casaccio, ma fissando un obiettivo prestabilito. Nella preghiera, analogamente, dobbiamo presentare al Signore richieste determinate, non vaghe aspirazioni o desideri velleitari; richieste, per di più, di cose utili e ragionevoli, non di cose attenenti a utopistici ideali, fuori della realtà o contrarie al buon senso.
L’ardire della fede può certamente spingersi a domandare, se necessario, cose umanamente impossibili, ma senza tentare il Signore né pretendere che agisca in modo contrario alla Sua essenza di Sommo Bene, come quando, per esempio, uno chiede aiuto per commettere un peccato. Tra l’audacia e la temerarietà, sul piano fenomenologico, corre un confine molto sottile, ma la differenza, misurata con il criterio delle disposizioni del cuore, è abissale: l’una scaturisce dalla fiducia filiale, l’altra dall’insana pretesa di porre Dio al proprio servizio.

Questa premessa dovrebbe permetterci di evitare un pericoloso fraintendimento dell’esortazione del Maestro, delimitando in via preliminare l’ambito in cui possiamo chiedere ciò che vogliamo.
C’è poi, nondimeno, una condizione ben precisa per ottenere l’esaudimento: che noi rimaniamo in Lui e le Sue parole rimangano in noi.
Per ottenere dal Padre qualunque cosa, infatti, occorre rivolgersi a Lui nel nome di Gesù (cf. Gv 15, 16), che in virtù della Sua natura umana è l’unico Mediatore tra l’uomo e Dio (cf. 1 Tm 2, 5). Questo nome, però, non rappresenta una parola magica dall’effetto irresistibile, come nei culti pagani, bensì designa la Persona divina del Verbo incarnato, al quale, perché si presti alla mediazione a nostro favore, dobbiamo essere uniti in una relazione di amore amicale, che richiede l’unione delle volontà.

Comprendiamo bene, allora, perché il Signore, nel medesimo contesto, ci comandi di rimanere nel Suo amore mediante l’osservanza dei Suoi precetti, così come Egli stesso, nella Sua santa umanità, rimane nell’amore del Padre custodendone i comandamenti. L’unione tra persone si fonda infatti sul volere o non volere le stesse cose (idem velle, idem nolle), ossia nell’associare le due volontà nella volizione di un solo oggetto; la discordia, al contrario, consiste nel perseguire cose opposte.
Della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme la Scrittura afferma che erano appunto un cuor solo e un’anima sola (At 4, 32), in quanto eran tutti concordi nell’adesione all’insegnamento degli Apostoli, nel culto e nella preghiera, nella carità fraterna e nella testimonianza resa al Risorto; il segreto di tale comunione, tuttavia, non era una semplice convergenza umana, bensì il vincolo spirituale che univa ognuno di loro al Signore grazie all’obbedienza della fede.

Soltanto rimanendo in Lui, effettivamente, il battezzato può portare frutto, come un tralcio che resti attaccato alla vite; altrimenti non è in grado di far nulla (cf. Gv 15, 4-5). Come potrebbe del resto fare qualunque cosa – già sul piano naturale, ma a maggior ragione su quello soprannaturale – al di fuori di Colui per cui mezzo tutto è stato realizzato e in cui è la vita (cf. Gv 1, 3-4), nel quale e in vista del quale è stato creato l’universo visibile e quello invisibile, in Lui solo sussistenti (cf. Col 1, 16-17), e che tutto sostiene con la potenza della Sua parola (cf. Eb 1, 3)?
Chiunque, anche chi non ha la fede, vive e si muove in Lui (cf. At 17, 28), dato che nessuno può pensare, volere o agire senza il concorso naturale; ancor meno si possono produrre atti soprannaturali senza l’ausilio della grazia, che suscita, accompagna e perfeziona ogni minimo moto che avvicini l’anima a Dio e la renda a Lui gradita. In poche parole, dipendiamo in tutto e per tutto da Cristo.

Ora, per poter rimanere in Gesù (ossia vivere uniti a Lui), abbiamo bisogno che Egli stesso viva in noi mediante la grazia santificante, principio di questa unione sostanziale e non puramente morale. La ricezione della grazia esige però il libero consenso di ognuno, almeno virtuale: anche quando non acconsentiamo esplicitamente alla sua azione, possiamo infatti accoglierla in virtù di una stabile disposizione ad essa favorevole.
Perfino chi è in peccato mortale ne ha un desiderio più o meno consapevole alimentato dalla grazia preveniente, che Dio dona senza attendere il consenso dell’uomo, il quale altrimenti, nel peccato, non avrebbe via d’uscita.
Come insegna il Concilio di Trento, per poter agire con noi, all’inizio Egli opera senza di noi, suscitando la nostra libera risposta e attirandoci a Sé senza affatto forzare la nostra volontà.
Giunge così il momento in cui l’uomo, messo da Lui in condizione di farlo, spalanca le porte alla grazia e Gli si arrende.

Ma come si accoglie Gesù nell’anima? Egli è il Verbo, la Parola, l’espressione perfetta del Padre in seno alla Trinità santissima, la Persona nella quale la Prima, nello Spirito Santo, si replica in un’altra uguale e distinta. Per riceverlo in sé, dunque, occorre anzitutto ascoltare il Suo insegnamento, per cui mezzo si comunica all’anima illuminando dapprima l’intelletto, che impronta a sua volta la volontà, la quale, ponendo atti di volizione e portandoli a compimento, si conforma infine a quella del Verbo, a cui si unisce così nell’amore.
Ecco perché le Sue parole devono rimanere in te perché tu possa chiedere quel che vuoi e ti sia fatto: finché aderisci ad esse e non le respingi col peccato, infatti, Gesù stesso continua a rimanere in te, ispirando la tua preghiera, presentandola con te al Padre, suffragandola con i Suoi meriti infiniti e portandola ad effetto con la propria onnipotenza. Così si spiega, dunque, un versetto che ti era, di primo acchito, piuttosto oscuro.

A questo punto è evidente che un battezzato, se in materia grave vive in modo contrario alla legge divina, non sta in Cristo né Cristo sta in lui; perciò, finché non si pente sinceramente e, cambiando vita, non riceve un’assoluzione valida, non può accostarsi all’Eucaristia, dato che quell’atto non sarebbe una comunione, bensì un sacrilegio nonché, se il suo peccato è pubblico, una causa di terribile scandalo.
I Pastori che propongono percorsi di discernimento miranti a riammettere i peccatori ai Sacramenti lasciandoli nel loro stato oggettivo di separazione da Dio, di conseguenza, ingannano le persone e recano danno a tutta la comunità ecclesiale, che rimane in tal modo contaminata dal virus dell’errore, della giustificazione del male e di una cinica indifferenza alla sorte eterna delle anime.
Non è però sufficiente neppure riportare semplicemente i fedeli allo stato di grazia, senza aiutarli a coltivare un’effettiva unione con il Signore che li faccia crescere nella vita interiore, preservandoli dalle ricadute e purificandoli progressivamente dalle cattive disposizioni che fomentano i loro peccati.

In quest’epoca di confusione e smarrimento capita di imbattersi in sedicenti tradizionalisti o zelatori della vera Chiesa che vivono stabilmente in peccato mortale senza cogliere la contraddizione, oppure in ardenti devoti, divorati dalla rabbia e dall’odio, che bramano udir di eresie e nefandezze per aver l’occasione di sprizzare all’esterno il veleno che secernono in cuore.
In tali condizioni – inevitabile conclusione – è impossibile che rimangano in Gesù e che Gesù rimanga in loro, motivo per cui le loro preghiere non sono ascoltate.
Se invece sei realmente in stato di grazia e il tuo intimo è puro, o ti sforzi di renderlo tale, la tua unione con Lui si consolida sempre più, purché tu faccia il possibile per curarla; allora potrai chiedere perfino l’impossibile e sarai esaudito.

Ti supplico dunque: invoca il ravvedimento di colui che occupa la Cattedra di Pietro, che si celebra tra pochi giorni. La salvezza dell’anima sua apporterà maggior gloria alla misericordia di Dio che la condanna di essa alla Sua giustizia, per non parlare dell’immenso beneficio che la conversione di quell’uomo, mediante una rettifica delle sue dichiarazioni a favore della “vaccinazione”, garantirebbe all’umanità intera.





febbraio 2022
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