Il progetto geopolitico di Vladimir Putin


di Luca Della Torre


Pubblicato su Corrispondenza Romana


Pubblichiamo questo articolo che ci sembra rappresenti come
“l'altra campana” sulla crisi bellica Russia-Ucraina

 




Gli studiosi di geopolitica e gli analisti di Diritto Internazionale e di Relazioni Internazionali concordano sul fatto che non è possibile comprendere la guerra scatenata dall’invasione dell’Ucraina senza utilizzare i criteri di interpretazione dell’apparato intellettuale russo su cui l’autocrate di Mosca, Vladinir Putin, ha costruito la sua personale narrazione della Storia.

L’obiettivo della politica estera russa oggi infatti non è tanto e soltanto l’occupazione dell’Ucraina, quanto quello di riportare la Russia al centro del nuovo ordine mondiale, con un ruolo da protagonista nella sfera euro-asiatica, rispolverando l’arma militare come unico strumento di confronto con gli Stati sovrani.

Nella visione geopolitica di Putin e della intelligentsia che lo sostiene, l’obiettivo è di ricreare un nuovo ordine, o meglio disordine mondiale del quale la Russia, nel solco dell’Impero zarista prima, e dell’Unione Sovietica comunista, sia uno dei perni politici.
In questo contesto, dominato dalla “Macht-politik” o politica del terrore militare, l’Europa risulterebbe semplicemente un’appendice, una pedina della messianica visione del primato di Mosca nel dominio del continente euroasiatico.

L’attore protagonista del caos globale è Vladimir Putin, ma in realtà egli non fa che dare voce concreta in campo bellico ad una teoria geopolitica che ha radici lontane, supera gli schieramenti ideologici del ‘900 tra Occidente libero e Comunismo sovietico, e attinge alla concezione messianica del primato russo sull’Occidente e della Russia come “Terza Roma” ortodossa e euroasiatica.

Il documento sulla nuova dottrina militare per la sicurezza strategica firmato nel 2010 dall’allora Presidente russo Dmitrij Medvedev, braccio destro di Putin, esprime bene l’ambizione della Russia di tornare ad essere una superpotenza globale. I pilastri di tale dottrina sono: un deciso antagonismo verso l’Occidente, la rivendicazione di una propria sfera di influenza politica e militare sui Paesi confinanti con Mosca, una rinnovata enfasi sulla propria volontà di utilizzo dell’arma nucleare. Più che essere un documento tecnico, infatti, la nuova dottrina militare russa è un vero e proprio manifesto politico, volto a definire le future priorità geopolitiche del paese negli assetti mondiali attraverso la negazione di un sistema di concertazione delle Relazioni Internazionali tra Stati sovrani, bensì con l’esaltazione del primato della missione geopolitica russa nella presunta Eurasia.

Attorno a questo principio di relativismo strategico che esalta il conflitto armato come arma strategia di geopolitica, Putin ha scatenato la sua offensiva globale contro la democrazia rappresentativa, contro i diritti civili e politici di libertà, contro i valori e le tradizioni sovrane nazionali dell’Europa, contro gli Stati Uniti, contro la Nato, che, è bene non dimenticarlo, per settant’anni è stato il solo ombrello salvifico dell’Europa contro l’espansionismo totalitario russo comunista. Chi sono gli intellettuali, i pensatori, i politologi a cui si ispira Putin in questa pericolosissima prova di forza con l’Occidente?
 
Il primo riferimento è il filosofo Lev Gumilëv (1912-1992), figlio della poetessa Anna Achmatova, uno dei principali teorici della visione eurasiatica della storia e sostenitore dell’idea che la Russia non deve cedere alle tendenze filo-slave, ma piuttosto esaltare la connessione storica e culturale con i popoli mongoli che invasero e rifondarono Mosca secondo una concezione imperiale euroasiatica protetta dal primato culturale e religioso cattolico dell’Europa. Gumilëv sosteneva che il destino della Russia moderna è quello di trasformare l’Europa nella Mongolia, perché è la cultura mongola ad aver temprato il carattere russo.

Ma più di tutti, sicuramente, merita attenzione, per la sua autorevolezza a livello di dibattito nella comunità scientifica internazionale, e per la sua stretta vicinanza a Putin, il professor Sergey Karaganov, presidente onorario del Council on Foreign and Defense Policy, il principale “think tank” del Cremlino, fondato da Vitaly Shlykov (1934-2011), una delle più efficienti spie al servizio del Cremlino, noto per le sue eccezionali capacità di previsione strategica. Dopo la morte di Shlykov, Karaganov è probabilmente la vera eminenza grigia del Putin-pensiero geopolitico. L’analisi dell’accademico moscovita, pubblicata dal Russia in Global Affairs journal e poi ripresa da Russia Today, parla di una nuova fase di “distruzione costruttiva” nella politica estera di Mosca e delinea quella che è la “dottrina Putin”.

Afferma Karaganov che il quadro delle Relazioni Internazionali come si è sviluppato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi non ha più motivo di esistere; che l’Occidente non ha più alcuna ragione di vantare un presunto primato politico, culturale, etico a disegnare il quadro dei principii giuridici e politici di libertà e Stato di diritto che sono alla base degli accordi ONU; che la priorità di ogni grande potenza, Russia in primis, è di garantire sicurezza e prosperità all’interno di una sfera di influenza sugli Stati limitrofi, ignorando dunque il primato della sovranità degli Stati stessi. Al riguardo, in particolare, Karaganov sostiene che il deprecabile crollo dell’Unione Sovietica ha lasciato interi popoli privi del senso di nazionalità incapaci di affermarsi come Stati sovrani perché le elites politiche di questi popoli sono prive degli elementi storico valoriali che li dovrebbero caratterizzare.

Da ciò deriva la missione della Russia di costituire una unione euroasiatica, in grado di dirigere e coordinare il bene comune di questi popoli sotto la sua autorevole guida, in partnership con la solida alleanza della Russia con la Cina. Secondo Karaganov la Russia può contare sulle sue capacità militari per ottenere quello che gli esperti occidentali chiamano “dominio dell’escalation” in Europa e in altre aree di interesse vitale. «Sappiamo anche che l’articolo 5 della Nato è assolutamente inutile – basta leggerlo – a dispetto della valanga di assicurazioni. E in nessuna circostanza gli Stati Uniti combatterebbero in Europa contro una potenza nucleare rischiando una potenza devastante. Ho studiato la storia e lo sviluppo della strategia nucleare americana. Per di più la Russia ha il sostegno della Cina, e questo rafforza notevolmente le capacità militari di entrambi. La Russia ha distrutto tutte le coalizioni europee che hanno cercato di sconfiggerla – le ultime guidate da Napoleone e Hitler» (https://formiche.net/2022/02/ucraina-russia-karaganov/).

Si comprende da queste affermazioni come le dichiarazioni di Putin sulla presunta inesistenza di un popolo ucraino, e sulla presunta incapacità dell’Ucraina ad esistere come Stato sovrano si possano applicare, nella logica del primato euroasiatico russo, a tanti altri Stati che hanno sofferto il tallone comunista per oltre settant’anni: non a caso Karaganov si spinge temerariamente a citare i Paesi baltici, che hanno invece una solida radice storica culturale finnica, germanica o polacca, o piuttosto i Paesi caucasici fedeli al primato religioso della Chiesa cattolica di Roma. L’Europa di fronte a questo scenario aggressivo culturale prima ancora che militare ha poche opzioni: predisporsi a difendere non solo i propri interessi geopolitici, ma la sua stessa sopravvivenza.





marzo 2022
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