L’Apocalisse dietro di noi

Articolo di Elia


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Sarebbe interessante comprendere il meccanismo psicologico in virtù del quale molte persone, nel tentativo di acquietare l’ansia provocata da problemi reali, vanno in cerca di motivi immaginari che, in realtà, non hanno altro effetto che quello di accrescerla.
E’ ciò che succede con la febbrile caccia alle profezie catastrofiche e con l’insistente appello ai testi apocalittici della Bibbia, due fenomeni che stanno dilagando nelle reti sociali e – ahimè – anche in siti per altri aspetti degni di credito.
Si direbbe che le rappresentazioni ansiogene, per legittimare sé stesse, abbiano bisogno di moltiplicarsi mediante la proliferazione di informazioni, vere o presunte, atte a giustificarle. Ad una più attenta introspezione, dunque, appare evidente che l’ansia sia frutto di una scelta operata dall’io, benché, il più delle volte, in modo inconsapevole e, quindi, incolpevole. Se però una persona, nonostante tutti i tentativi di persuasione, persevera ostinatamente nella sua visione poco obiettiva, diventa alla fine responsabile del proprio errore e delle decisioni che ne conseguono.

Al fine di sgombrare il campo dagli equivoci, occorre preliminarmente osservare che le conoscenze sul futuro realmente concesse da Dio mirano sempre a provocare la conversione e, di conseguenza, sono condizionate: se i richiami del Cielo non saranno ascoltati, i castighi predetti si realizzeranno; altrimenti saranno sospesi.
Un secondo rilievo riguarda il valore perenne della Sacra Scrittura, che mal sopporta interpretazioni troppo contingenti e legate alla cronaca. L’Apocalisse, in particolare, è stata più volte utilizzata come chiave di lettura dell’attualità, ma la sua teologia della storia conserva pienamente la sua validità, né si è perso nulla della sua carica profetica, il cui pieno compimento, al di là delle realizzazioni parziali, è riservato alla fine del mondo, la quale, peraltro, non sembra poi così prossima. Dato che il trionfo del Cuore Immacolato di Maria, predetto dalla Madonna a suor Lucia, va necessariamente distinto dalla venuta gloriosa del Signore, l’attuale scatenamento del male non è prodromo della Parusia, ma rappresenta, per così dire, le prove generali della battaglia finale.

Per certi versi, a ben vedere, ci troviamo già da decenni in una situazione di carattere apocalittico: come definire altrimenti la radicale metamorfosi della Chiesa Cattolica e il pervertimento totale della società?
Mediante processi solo in apparenza legittimi, la fede cristiana è stata rimpiazzata da un’ideologia umanitarista di stampo immanentistico, mentre i princìpi del vivere civile sono stati sovvertiti fino al completo ribaltamento dei valori con la sfacciata esaltazione culturale e la progressiva legalizzazione del crimine e del vizio.
Chi è proiettato in avanti, nell’attesa spasmodica di sciagure presentate come imminenti magari da secoli o connesse a situazioni da tempo superate, perde di vista i guai presenti e i malanni già in atto, che non sono affatto trascurabili.
Vi sembra cosa da poco che sei milioni di italiani manchino all’appello perché uccisi prima di nascere? o che giovani e bambini vengano istigati ai peccati contro natura o, comunque, a pratiche sessuali precoci e indiscriminate, con il correlativo incitamento alla contraccezione e all’aborto?

Certamente non si sarebbe potuto arrivare a tanto, se la gerarchia non avesse abdicato alla propria funzione di baluardo contro il male, facendosi anzi complice della sua diffusione e prostituendosi in gran parte ai potenti del mondo.
Questo, d’altronde, è il risultato inevitabile dell’adozione di quella sorta di religione antropocentrica in cui, per effetto del Vaticano II, s’è trasformata quella vera. Non si tratta di un’eresia specifica che neghi questa o quella verità rivelata, bensì di un’operazione ben studiata di manipolazione genetica con cui il culto di Dio, pur rimanendo nominalmente tale, è stato sostituito con il culto dell’uomo.
A tal fine s’è costruita una nuova “liturgia” che non è affatto una riforma di quella antica, ma un’invenzione del tutto originale che della precedente conserva soltanto lo scheletro, impolpato però di contenuti e valori sostanzialmente estranei e animato, essendo privo di vita propria, con un atto di puro imperio, come un golem fabbricato dalla stregoneria giudaica.

Fra le numerose ambiguità inserite a bella posta nei documenti conciliari per innescare tale mutazione, brillano due gravi equivoci che in quasi sessant’anni non sono stati ancora rettificati, ma al contrario ripresi con insistenza dal Magistero successivo e ossessivamente inculcati negli studi teologici, così da creare in clero e religiosi (e, a cascata, nel laicato) una mentalità a dir poco distorta.
Il primo è l’affermazione secondo cui il Figlio di Dio, incarnandosi, si sarebbe «in certo modo unito ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22). Sarebbe decisamente utile precisare in quale modo gli si è unito, se è vero – com’è vero – che l’unico mezzo per unirsi a Cristo è il Battesimo (eventualmente quello di desiderio, anche solo implicito, qualora sia impossibile ricevere quello d’acqua prima della morte).
A dire il vero, il “pontificato” attuale ha reso tale quesito addirittura anacronistico mediante la piena equiparazione delle cosiddette religioni abramitiche, ma questo non è altro che il logico sbocco del processo avviato allora con l’inserzione di una frase dalla portata dirompente.

L’altra asserzione palesemente ingannevole, poco più oltre, è quella che presenta l’uomo come «la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa» (ibid., 24). Ciò può risultare vero soltanto in relazione alle altre creature del mondo visibile, che sono tutte ordinate all’uomo; senza questa precisazione, quella proposizione è formalmente falsa, dato che tutto il creato ha necessariamente Dio come fine ultimo e che niente, in esso, è stato da Lui voluto se non per Sé, come afferma la Scrittura (cf. Pr 16, 4).
Non è così perché Gli manchi qualcosa che dovrebbe completarlo, bensì perché la partecipazione dell’essere a ciò che non era non può avere altro fine che la glorificazione dell’Essere sussistente, al di fuori del quale e senza il quale non ci sarebbe nulla. Neppure l’uomo, perciò, pur essendo dotato di anima spirituale a Sua immagine e somiglianza, è il fine di se stesso, ma esiste per Dio, trovando in Lui solo la felicità e la salvezza.
Invece quella frase, interpretata in senso assoluto, lascia intendere l’esatto contrario e, di fatto, ha provocato un capovolgimento di prospettiva che ha spalancato la porta all’ateismo pratico, mentre l’uomo, vedendo in se stesso il proprio fine, ha finito col prendersi per una divinità, rinnegando così l’unica vera.

E’ arduo ipotizzare che nessuno, fra tanti vescovi e periti, si sia avveduto del serio pericolo insito nell’incompletezza di quell’affermazione. Lasciando comunque il giudizio a Dio, davanti al quale son già passati quasi tutti i responsabili del guaio, concentriamoci sulla situazione che ne è risultata.
La ragion d’essere del nostro ministero non è certo la critica di un evento ecclesiale di cui nessuno ormai si interessa più (visto che costituisce solo una tappa provvisoria di una trama rivoluzionaria oggi giunta a ben altri traguardi), bensì la cura delle anime, che richiede non soltanto la guarigione dagli agenti patogeni da cui si son lasciate più o meno inconsapevolmente contagiare, ma anche la messa in guardia da quei diversivi che le distolgono dal loro vero compito, quello di disintossicarsi completamente dal veleno dell’accentramento su sé stesse, tanto più letale quanto più inavvertito. La perdita del genuino spirito religioso non solo mette a repentaglio la salvezza eterna, ma lascia altresì privi di difesa di fronte alle pretese dello Stato idolatrato, del quale l’individuo isolato rimane totalmente succube, a scorno della sua pretesa indipendenza.

Accade così che un clero aguzzino svuotato di fede, ormai assimilato alla burocrazia statale, persista farisaicamente nell’imporre prescrizioni sanitarie inutili e sorpassate che han finito col soppiantare ogni norma canonica e morale, oltre ad aver cancellato la riverenza somma e incondizionata che è dovuta al Signore nella santissima Eucaristia. Regole puramente umane prevalgono sulla legge divina, completamente rimossa dalle coscienze e bandita dalla prassi.
Il Cielo, però, si sbarazzerà di quei fedifraghi mediante le loro stesse scelte; così sparirà quella casta di mercenari della nuova religione o, meglio, di agenti della propaganda umanitarista del moderno sinedrio. La pazienza e la misericordia di Dio sono in sé stesse infinite, come ogni altro Suo attributo, ma non la durata del loro esercizio, il quale termina là dove lo richieda il Suo onore, leso da quanti ne abusano.
Bisogna auspicare che le sciagure cui il clero va incontro siano salutare occasione di ravvedimento, mentre profondo è il dolore per quei confratelli che han subìto controvoglia l’inflessibile imposizione del vescovo, colpevole di un inconcepibile abuso di potere.

Coloro che hanno causato e quelli che stanno proseguendo l’apocalittica metamorfosi della Chiesa terrena in senso panteistico mediante una falsa divinizzazione dell’uomo, ormai ignaro dell’assoluta necessità della grazia ed ebbro di satanica superbia, meritano la stessa diagnosi che Gesù fornì alle autorità giudaiche del Suo tempo: «Voi venite da sotto; io vengo da sopra» (Gv 8, 23). Poiché i Suoi interlocutori erano lenti a comprendere, poco dopo si espresse in modo più esplicito: «Voi avete per padre il diavolo» (Gv 8, 44).
Il Verbo incarnato, ovviamente, non si riferiva all’origine del loro essere sul piano ontologico, il quale non può venire se non da Dio, bensì a quella del loro stato spirituale, determinato dall’acquiescenza ai desideri di Satana. Essi si sarebbero pur potuti salvare, riconoscendo il Salvatore e rinnegando quella paternità malvagia, ma non lo fecero perché non vollero, così che si dannarono per via del peccato di incredulità, come da Lui predetto nella Sua prescienza (cf. Gv 8, 24).
Il principale artefice contemporaneo dell’apostasia generale, per la cui conversione stiamo tanto pregando, continua a non dar segno di resipiscenza. Supplichiamo dunque san Giuseppe di dispiegare tutta la propria influenza presso il divin Figlio adottivo perché, se possibile, eviti l’irreparabile per quell’anima e conceda la liberazione al Suo popolo fedele.


Vae nobis miseris, ad quos Pharisaeorum vitia transierunt (san Girolamo, Commentaria in Evangelium S. Matthaei, IV, 23, 6; PL 26, 168).





marzo 2022
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