La società cristiana secondo T. S. Eliot.

Non solo un’idea



di Carlo Primerano



Pubblicato il 19 aprile 2022 sul sito
Ricognizioni


 







Il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa si è ormai spento. Non era una questione residuale richiamare nello statuto l’unico possibile fondamento della costruzione europea. Si trattava invece di questione dirimente per stabilire quello che la cosa doveva diventare.

Per farcene capire l’importanza, senza che faccia velo l’ideologia, l’appartenenza a una fazione o qualsiasi tipo di “fondamentalismo”, sono particolarmente esplicative le riflessioni che un poeta, uno tra i più grandi del secolo scorso, T. S. Eliot, svolge nel saggio L’idea di una società cristiana nel quale sono raccolti i testi di tre conferenze pronunciate nel marzo 1939, all’immediata vigilia della seconda guerra mondiale.

Nel vedere gli aspetti negativi della società in cui vive, che la sua sensibilità di poeta aveva già espresso artisticamente nel celeberrimo poema La terra desolata, Eliot dice che si possono prendere in considerazione due punti di vista: “Il primo, che la società cessa di essere cristiana quando vengono abbandonate le pratiche religiose, quando gli atti degli uomini non sono più regolati da principi cristiani, e il benessere mondano, individuale o collettivo, diviene l’unica ambizione cosciente. L’altro punto di vista, più difficile ad essere compreso, è che la società non cessa d’essere cristiana finché non diventa qualcosa di positivamente diverso”.

Ed aggiunge: “Io credo che oggi la nostra cultura sia generalmente negativa, ma che, per quel poco ch’essa ha di positivo, sia tuttora cristiana. Non ritengo che possa perdurare così, perché una cultura negativa perde qualsiasi capacità di realizzazione in un mondo dove energie economiche e spirituali dimostrano l’efficienza di culture forse pagane, ma positive; e ritengo che la nostra scelta sia fra la creazione di una nuova cultura cristiana e l’accettazione di una cultura pagana”.

L’accezione che Eliot dà agli aggettivi “positivo” e “negativo” potrebbe essere ricondotta, mi sembra, alla contrapposizione tra “pensiero forte” e “ pensiero debole”, espressioni divenute comuni nelle dispute culturali dei giorni nostri.
In sostanza, questa la cifra del discorso di Eliot, una società materialista, liquida, uso ancora un termine del dibattito odierno, finisce prima o poi per collassare e ricompattarsi intorno a una cultura forte, che sarà o pagana, rappresentata da un potere totalitario legittimato unicamente dalla ricchezza posseduta e dal controllo della tecnica, o cristiana.

Si tratta di capire, anche oggi, se la società è diventata qualcosa di positivamente diverso, ed è quindi già pagana, con le conseguenze che ne discendono sul piano della libertà umana, oppure è ancora “neutra”, per usare la parola di Eliot, ma non ha ancora cessato di essere del tutto cristiana.

Tra le parole più usate e abusate dall’oligarchia europea ci sono ancora oggi quelle che Eliot identifica come “le nozioni che esso (il mondo occidentale ndr) ha santificato”: il liberalismo e la democrazia: “non identici né inseparabili”.

A questo proposito Eliot fa delle considerazioni che oggi appaiono molto più evidenti di quanto non dovessero apparire ottanta anni fa, quando il poeta inglese le esprimeva con la sensibilità premonitrice dell’intelligenza poetica: “Quando una parola è diventata così universalmente sacra come democrazia per noi, io comincio a domandarmi se, significando troppe cose, essa significhi ancora qualcosa”.

E ancora: “Distruggendo le tradizioni sociali di un popolo, dissolvendo in fattori individuali la naturale coscienza collettiva, concedendo libertà alle opinioni più sciocche, sostituendo l’istruzione all’educazione, incoraggiando l’abilità piuttosto che la saggezza, gli arrivisti a preferenza dei qualificati, introducendo il principio del ‘farsi strada’ come unica alternativa a una apatia senza speranza, il liberalismo può aprire le porte a ciò che è la sua stessa negazione: il controllo artificiale meccanico e brutale che è il disperato rimedio al suo caos”.

Secondo Eliot, insomma, il liberalismo può condurre all’autoritarismo, perché esso stesso “produce le filosofie che lo negano”. Ciò “è implicito nella sua natura, poiché esso tende a lasciar sfuggire delle energie piuttosto che ad accumularle, ad allentare piuttosto che a tendere”.

Pare di capire che Eliot, pur vedendone le ovvie differenze, nel momento in cui scrive, il 1939, tenda di più a sottolineare le analogie, in prospettiva, tra le società democratiche del mondo occidentale e quelle di regimi totalitari come la Germania e l’Unione Sovietica. E ciò proprio per quello che di anticristiano, esse contengono nel loro ordinamento ed esprimono nel loro spirito.

Il poeta inglese ammette che “in un certo senso, l’Inghilterra e l’America sono indubbiamente più democratiche della Germania; tuttavia i fautori di un sistema totalitario possono sostenere con argomenti plausibili che la nostra non è una democrazia, ma un’oligarchia finanziaria”.

Sostiene Eliot che, mentre il liberalismo incoraggia teoricamente la libertà di “seguire le proprie convinzioni e di obbedire ai propri impulsi (…). Intanto, però, impercettibilmente, questa sfera di vita privata rimpicciolisce sempre più e può anche, una volta o l’altra, scomparire del tutto”.
E qui Eliot adduce un esempio perfettamente ragionevole ed esplicativo, nel metodo, di quello che accade oggi, ma di segno opposto rispetto alle preoccupazioni degli oligarchi che attualmente governano il pianeta: “…può darsi che un’ondata di terrore dinanzi alle conseguenze dello spopolamento conduca ad una legislazione che imponga l’obbligo della procreazione”.

Lascio ai lettori il giudizio se il poeta avesse oppure no individuato i pericoli che le società cosiddette democratiche correvano. Se ondate di terrore posticce non stiano conducendo a ordinamenti giuridici per effetto dei quali gli spazi di libertà si restringono ogni giorno che passa.
Il lasciapassare verde è l’aspetto più eclatante, rivelatore di un potere che esce allo scoperto, ma non è certo il solo. Abbiamo sopportato negli ultimi anni obblighi e misure paradossali che con il pretesto del senso civico, della sicurezza, della sostenibilità, dell’efficienza, dell’ecologia, ed altre espressioni usate a sproposito, altro non erano che semplici vessazioni e intrusioni nella nostra vita privata, pretesti per sovvertire l’ordine sociale e culturale.

Insomma, quel che conta non sono le denominazioni con le quali una società ammanta il suo agire, ma lo spirito che la permea. E il punto è che il mondo “democratico” che Eliot vede è un mondo interamente materialista, intrinsecamente portato ad affermare in modo totalitario questa sua radice. Una società di questo tipo invischia ciascun uomo in “una rete di istituzioni” non cristiane, un insieme di rapporti irrinunciabili per il suo vivere in comunità in forza dei quali egli “diventa ogni giorno meno cristiano sotto l’insensibile pressione di un’infinità di elementi, giacché il paganesimo controlla tutti i più efficaci mezzi di propaganda”.

Non importa che in tale società il cristianesimo sia tollerato, esso si ridurrà prima o poi all’insignificanza. E lo spazio da esso lasciato libero dovrà essere riempito necessariamente da qualcosa d’altro di segno opposto. Di “positivo”, nell’accezione del termine indicata da Eliot.

Eliot si rende conto che un tale processo è inavvertito dalla maggior parte della popolazione, e che per i più l’affermarsi di una società autenticamente cristiana non è desiderabile se quella in essere gli garantisce sufficienti vantaggi di natura materiale.
Il rischio tremendo è che così si finisca per abbandonarsi all’apatia: “senza fede, e perciò senza fede in noi stessi, senza una filosofia della vita, pagana o cristiana, e senza arte; oppure si potrebbe giungere a una democrazia totalitaria (…) uno stato di cose che ci darebbe l’irreggimentazione e il livellamento, senza rispetto per le esigenze dell’anima individuale; il puritanesimo di una moralità ‘igienica’ al servizio dell’efficienza; l’uniformità di opinioni per opera della propaganda; l’arte incoraggiata soltanto quando lusinga le dottrine ufficiali. A chi riesce ad immaginare un mondo di questo genere, e di conseguenza ne sente repulsione, si può dichiarare che l’unica possibilità di controllo e di equilibrio sta in un controllo ed equilibrio religiosi; e che l’unica speranza per una società che voglia prosperare e perseverare nella propria attività creativa a pro delle arti civili è di diventare cristiana”.

La tesi di fondo di Eliot è che non vi sia alternativa tra una società laicista tecno materialista, tendenzialmente autoritaria, e una società cristiana, e che tale società potrà essere accettata e considerata auspicabile “anche da chi non dà un’importanza capitale alla sopravvivenza del cristianesimo di per se stesso”, ma avrà percepito i pericoli di disumanizzazione di un mondo interamente volto al profitto perché “non occorre una visione cristiana del mondo per capire che il nostro sistema sociale ha molto che è intrinsecamente cattivo”.

È chiaro Che Eliot non teorizza né auspica una società confessionale, ma semplicemente una comunità in cui il modello culturale, per così dire, sia ispirato ai principi del cristianesimo e informi spontaneamente i comportamenti e le abitudini di tutti gli uomini, in maniera speculare a come comportamenti profondamente anticristiani sono entrati nella vita quotidiana di tutti, inclusi coloro che si professano credenti.
Eliot parlava da anglicano avendo davanti a sé il mondo inglese ma è evidente che le sue riflessioni sono oggi applicabili a tutte le società occidentali.

È molto interessante che Eliot non leghi la possibilità di una società cristiana a una particolare forma di governo. Tutta la sua argomentazione lo sottintende, quando non lo dichiara apertamente: “Identificare una qualunque forma di governo col cristianesimo è un errore pericoloso, perché si confonderebbe il permanente con il transitorio, l’assoluto con il contingente (…) non abbiamo alcuna garanzia che un regime democratico non finisca per essere tanto anticristiano negli atti quanto un altro lo è in teoria (…) chi è persuaso che l’attuale sistema politico in Inghilterra sia il più adatto per qualsiasi popolo cristiano, si chieda se egli non confonde per caso la società cristiana con una società dove il cristianesimo dei singoli individui viene solamente tollerato”.

Emergono dalla preveggente riflessione di Eliot alcuni punti che tocca sottolineare, perché lungi dall’aver perso importanza, si sono oggi sostanzialmente avverati. Innanzitutto la parola democrazia ha effettivamente perso significato o ne sta assumendo uno nuovo. La tendenza repressiva dei governi cosiddetti liberali è sempre più evidente. Inoltre è innegabile che oggi la società occidentale sia sostanzialmente pagana e in essa il cristianesimo, che pure l’ha fondata, sia un residuo che tende a scomparire.

I fondamenti di una società, si diceva, devono prima o poi affermarsi positivamente, e devono essere dunque formalmente sanciti. Tale necessità è ormai scoperta e apertamente dichiarata. Dopo un lungo periodo nel quale la lotta contro la civiltà cristiana è stata condotta surrettiziamente (la cosiddetta società “liquida” è stata perfettamente funzionale allo scopo) è oggi in costruzione un nuovo edificio del diritto e dei diritti, mentre ancora sopravvivono le vestigia del vecchio ordinamento.

Il paganesimo, come lo definisce Eliot, pare essersi affermato definitivamente. Potremmo chiamarlo tecno scientismo senza che cambi la sostanza. Questo tecno scientismo è a tutti gli effetti una nuova religione con la sua liturgia e i suoi dogmi in via di ratifica. Se tale religione si affermerà definitivamente essa, grazie alla possibilità di controllo omnipervasivo della popolazione, darà luogo a una tirannia quale non si è mai vista nella storia dell’umanità. È indifferente la denominazione con la quale tale tirannia vorrà appellarsi. Può darsi che la parola democrazia sarà conservata senza che significhi più nulla, ma che serva solo ad evocare quel simulacro di libertà a cui ancora la si associa.

Eliot, richiamando gli avvenimenti del settembre 1938 che avevano portato agli accordi di Monaco, così conclude il suo saggio: “non si trattava di un dissenso sulla politica del governo, ma d’un dubbio sulla ragion d’essere di tutta una civiltà. Non potevamo opporre una convinzione ad un’altra, non avevamo idee che potessero farsi incontro né opporsi alle altre che ci stavano di fronte. La nostra società, che è sempre stata così certa della propria superiorità ed onestà, così fiduciosa nelle sue premesse mai approfondite, ci sembrò all’improvviso raccolta attorno a nient’altro di più permanente che una catena di banche, compagnie di assicurazioni ed industrie, sì che parve che nessun’altra fede l’animasse, se non quella nell’interesse composto e nell’intangibilità dei dividendi. Pensieri come questi mi hanno indotto a parlare e debbono restare a giustificazione di ciò che ho detto”.

Mi pare che queste parole conservino oggi tutta la loro drammatica verità.




aprile 2022
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