Francesco scrive una lettera apostolica sulla liturgia


Articolo della Fraternità San Pio X


Pubblicato sul sito informazioni della Fraternità





Messa tridentina in San Pietro



Il 29 giugno 2022, nella festa dei Santi Pietro e Paolo, il Vaticano ha pubblicato una lettera apostolica di Papa Francesco intitolata  Desiderio desideravi, sulla «formazione liturgica del popolo di Dio». La lettera è indirizzata ai vescovi, ai preti, ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici.

Questa lettera è molto lunga: si compone di 16 pagine senza le note. Il testo si inserisce decisamente nel dibattito seguito al motu proprio Traditionis custodes, richiamato fin dal primo numero, ed ha l’obiettivo di concluderlo emarginando definitivamente la Messa tradizionale.

Si tratta infatti di un lungo appello a favore del rito riformato che parte da lontano, proponendo un’analisi della liturgia come «luogo di incontro con Cristo», che implica una riscoperta quotidiana della «bellezza della verità della celebrazione cristiana».

Questo passa per «lo stupore per il mistero pasquale, parte essenziale dell’atto liturgico», che comporta l’appropriazione dei simboli della liturgia, compito oggi arduo secondo Francesco per la perdita generalizzata del senso del simbolo.

Al n° 31, il Papa pone un dilemma agli Istituti “Ecclesia Dei”: «Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio (…) e non accogliere la riforma liturgica» […] «La problematica è anzitutto ecclesiologica», perché il nuovo rito è l’espressione della nuova ecclesiologia del Concilio.

Questo punto è facilmente ammesso, ma è proprio esso il nodo della questione. Il Papa afferma infatti nello stesso n° 31 che egli si «stupisce che un cattolico possa pretendere» di non riconoscere la validità del Concilio.

Se si tratta di dire che il concilio Vaticano II è stato convocato legittimamente, non ci sono difficoltà, ma se si tratta di ammettere, come affermava il Papa Paolo VI in una lettera indirizzata a Mons. Lefebvre il 29 giugno 1975, che questo Concilio «non ha meno autorità e sotto certi aspetti è più importante di quello di Nicea», la cosa è impossibile.

Come fa ad avere una simile pretesa un concilio “pastorale” che si è rifiutato di esprimere ogni insegnamento infallibile e ha insegnato delle novità incompatibili con la Tradizione?
La questione è tutta qui.


Questo passa per «lo stupore per il mistero pasquale, parte essenziale dell’atto liturgico», che comporta l’appropriazione dei simboli della liturgia, compito oggi arduo secondo Francesco per la perdita generalizzata del senso del simbolo.


Il riconoscimento di un fallimento

Il testo di Francesco prosegue dando delle indicazioni sull’arte di celebrare, che necessità di una formazione rinnovata e approfondita della liturgia, al fine di dare tutto il suo splendore al rito riformato. E il Papa chiede a tutti i responsabili di essere d’aiuto per questa educazione «del popolo santo di Dio», affinché possa attingere alla «fonte prima della spiritualità cristiana».

Non è la prima volta che si torna sul lavoro svolto: la questione della formazione liturgica  occupa da decenni il primo posto nel movimento liturgico. Con quale risultato? Una accresciuta desertificazione delle «assemblee domenicali» e una ignoranza sempre più profonda dell’essenza stessa della liturgia. Senza contare le deviazioni che continuano a non venire meno.

Questa lettera appare come il riconoscimento di un fallimento, che deve sembrare tanto più amaro in quanto la Messa tradizionale occupa sempre più spazio ed è diventata essenziale, il che esaspera il Papa regnante, come ha dichiarato nell’omelia della Messa del 29 giugno: «per favore, non cadiamo nel “ritorno all’indietro”, in questo arretramento della Chiesa che va di moda oggi».


Un errore fondamentale

Ciò che è più notevole nel testo di Francesco è l’attaccamento ai principi equivoci del Concilio, in particolare alla partecipazione attiva.
Ora, bisogna comprendere che «partecipare attivamente» per un fedele significa unirsi a Cristo che celebrare per mezzo dell’azione del sacerdote, e qualunque cosa faccia:  che serva la Messa, che canti o che legga certi testi – nel rito riformato.
Per comprendere questo occorre ritornare alla nozione di potenza.
Bisogna distinguere tra potenza attiva, che può realizzare di per sé un risultato: la potenza muscolare, volontaria, artistica, ecc; e la potenza passiva, che consiste nel ricevere qualcosa per mezzo della prima: l’oggetto sollevato dai muscoli, le membra mosse dalla volontà o la statua scolpita dall’artista.

E’ vero, come dice il Papa nel suo testo, che i fedeli svolgono un’attività, ma questa è passiva, secondo quanto detto prima: è Cristo che celebra per mezzo del sacerdote che unisce i fedeli a Cristo con la sua azione mossa dalla sua potenza attiva, che è il solo a possedere. Dieci mila fedeli senza sacerdote sono niente nell’azione liturgica – escludendo il caso del matrimonio. Ma un sacerdote da solo celebra con tutta la Chiesa.

La nuova ecclesiologia, in particolare nella forma più spinta promossa da Francesco: la sinodalità, vuole disperdere il potere sacro del sacerdozio – e cioè il potere della Chiesa – e ripartirlo fra il clero e i fedeli. E per potere sacro bisogna intendere il potere dell’Ordine piuttosto che il potere di Giurisdizione.

Ora, è di diritto divino che solo colui che ha ricevuto una partecipazione al sacerdozio di Cristo col sacramento dell’Ordine può esercitare l’uno o l’altro potere. E’ per questo che tanto la sinodalità quanto il rito riformato possono portare solo ad un fallimento.

Usquequo Domine? – Fino a quando, Signore?





luglio 2022
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