La crisi del matrimonio in Italia



di
Matteo D'amico

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Il 24 luglio si è concluso a Marilleva, in Trentino, l’iniziativa formativa, di ben due settimane, intitolata: “Corso di alta formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale”[1].

Il corso in oggetto è stato organizzato dall’Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia, dalla Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana, dall’Istituto Ecclesia Mater.

Uno degli interventi più importanti è stato quello della demografa Maria Castiglioni. La studiosa ha confrontato statisticamente le donne che oggi hanno 30 anni, con le loro madri nate fra il 1955 e il 1960.  Lo studio è interessante perché analizza in modo cristallino cosa è accaduto nell’arco di una generazione (ovvero dopo un arco temporale di 25/30 anni), non dando risalto alla curva statistica, cioè all’andamento dei dati nella sua gradualità e continuità storica, ma limitandosi a scattare un’istantanea delle attitudini delle donne verso il matrimonio e la famiglia nel 1990 e trent’anni dopo.
Ecco i risultati dello studio:

- Nel 1990 si sposava il 92% delle donne, oggi il 38%;
- le convivenze erano l’8%, oggi sono salite al 62%;
- i matrimoni che si concludevano con una separazione erano il 5%, oggi sono il 25%.
- nel 1990 solo il 5% dei bambini nasceva fuori dal matrimonio, oggi il 31%.

Naturalmente questi dati sono già molto allarmanti perché indicano una crisi senza precedenti dell’istituto matrimoniale in sé, unita ad una crisi ancor più grave del matrimonio religioso: infatti dal 2018 i matrimoni solo civili hanno superato quelli religiosi.

In sostanza la convivenza sta scalzando completamente i matrimoni (sia civili che religiosi), si sono moltiplicati di cinque volte le separazioni, un bambino su tre nasce fuori dal matrimonio. Quest’ultimo dato da solo mostra come la convivenza porti a un crollo delle nascite per il senso di precarietà e di incertezza che, anche se inconsciamente, la accompagna).

Ma il dato culturale importante consiste nella pratica scomparsa nelle giovani donne dell’idea del matrimonio come di una realtà positiva e desiderabile; si è infatti diffusa e radicata una profonda indifferenza, quando non diventa esplicito disprezzo, verso l’idea di sposarsi. Lo studio e il trovare un posto di lavoro appagante sono in genere valori che vengono molto prima. Questa deriva non stupisce ed è anzi un effetto inevitabile dell’introduzione della legge sul divorzio. Poiché l’essenza del matrimonio, sul piano giuridico e morale,  oltre che nell’apertura alla vita, consiste proprio nell’obbligo alla fedeltà reciproca dei coniugi e nella sua indissolubilità, stabilire con una legge ingiusta che il vincolo matrimoniale può essere sciolto equivale a distruggerne l’idea stessa nella maggioranza delle persone. Infatti, poiché il matrimonio può essere sciolto con il divorzio, perché sposarsi? Viene meno nel sentire comune la differenza con una semplice convivenza informale e del tutto libera, che può essere interrotta in ogni momento.

L’immensa crisi del matrimonio, che ha colpito anche paesi da sempre cattolici, è uno fra i tanti segni della gravissima crisi di fede innescata dal Concilio Vaticano II: infatti si può dire che il matrimonio entri in crisi in modo perfettamente parallelo alla crisi della Chiesa.  Il crollo della pratica religiosa si accompagna al crollo dei matrimoni e alla drastica diminuzione delle nascite portando l’Italia a trovarsi fra i paesi  del mondo che hanno i peggiori indicatori demografici.
Questa crisi spiega anche perché papa Francesco, in particolare con Amoris Laetitia, abbia cercato di aprire, nella buona sostanza, alle coppie di fatto, ai divorziati risposati, (e, in modo per ora più discreto, anche al mondo omosessuale), invitando alla massima “accoglienza” nelle parrocchie: accanto a probabili altri fattori pastorali  eventualmente anche legittimi, ha pesato sicuramente il vedere un popolo dei fedeli in costante decrescita in termini di partecipazione alle funzioni liturgiche e alla vita parrocchiale e di sostegno alla Chiesa. Come anche sta accadendo in Germania, di fronte alla -umanamente parlando - “nanificazione” della Chiesa, si vede nell’enorme numero delle coppie di conviventi o di divorziati risposati un bacino di fedeli che rischia di sentirsi escluso da una Chiesa troppo ferma nel giudizio morale.

Non si può qui non ricordare che, anche solo secondo gli studiosi di antropologia, la civiltà nasce con la sepoltura dei morti e con il matrimonio. Dove il rapporto fra i sessi non è più regolato dal matrimonio la civiltà prima si ammala gravemente, per poi scivolare in uno stato di putrefazione sempre più grave e irreversibile, dove tutto sprofonda in una sorta di demenza collettiva. Infine, il crollo della famiglia fa sì che nessun giovane possa più essere educato e che ogni vita spirituale lentamente si estingua.

Solo un ritorno della gerarchia della Chiesa alla pienezza della fede di sempre e alla Santa Messa tradizionale, solo una rinnovata santità dei sacerdoti e di tutto il clero, solo la predicazione più ferma sul matrimonio cristiano potranno, in molti anni, a Dio piacendo, far rinascere il nostro povero paese dall’abisso di perdizione in cui è caduto.


NOTA

1 - Come cambia la teologia di fronte ai nuovi modelli «plurali» (avvenire.it)





agosto  2022
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