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Giovani, social e gaming Intervista di Interris allo psicoterapeuta
e psicosomatologo Simone Russo, esperto dell’Associazione nazionale
Dipendenze tecnologiche, GAP e Cyberbullismo, sul rapporto tra giovani
e mondo digitale
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Presentazione dell'intervista
Nativi digitali e più social che socievoli, in una società che vede allargarsi le maglie delle reti dei contenitori istituzionali tradizionali, come la scuola, lo Stato, la famiglia, la Chiesa, e stringersi sempre di più i legami virtuali. In un rapporto con i moderni devices, basti pensare allo smartphone, e alle dinamiche dei social network che stimolano molto la reazione fisica, corporea, a scapito di quella metacognitiva e interiore. Questa è una possibile rappresentazione dei giovani e dei giovanissimi “digitalmente modificati” di oggi, con cui il mondo degli adulti, dai genitori agli insegnanti, deve capire come stabilire una nuova relazione basata sull’ascolto e sul dialogo piuttosto che sulla trasmissione dell’esperienza e del sapere. Ragazzi e smartphone L’immagine che abbiamo oggi dei giovanissimi e dei giovani è quella di individui sempre con il telefono in mano, costantemente risucchiati dai social network a scapito della vita nel mondo reale. E’ effettivamente così? In base ai dati raccolti in una ricerca sui pericoli del web nella cittadinanza digitale “Tra digitale e cyber risk: rischi e opportunità del web” condotta nel 2021 dal Movimento italiano genitori (Moige) in collaborazione con l’Istituto Piepoli, che si occupa di ricerche di opinione e di marketing, emerge la preferenza, tra i ragazzi, di passare il proprio tempo di fronte a uno smartphone piuttosto che avere una conversazione in famiglia, con un boom del 64% dell’uso di questo dispositivo, picco registrato anche nelle fascia di età 6-10 anni (+34%). Circa la metà dei quasi 1.200 minori intervistati è connesso a Internet più di tre ore al giorno, con una famiglia su tre che impone dei limiti di tempo di connessione, anche se circa la metà afferma che saprebbe stare un giorno intero senza smartphone – uno su cinque invece nemmeno per un’ora. I genitori spesso non sanno quali sono le attività online dei propri figli, prevalentemente sui social, anche perché un ragazzo su due cancella le informazioni e la cronologia dal suo dispositivo. Il 12% degli intervistati naviga su siti vietati ai minori di 18 anni, il 62% tra gli 11 e i 14 anni è iscritto a Instagram e a Tik Tok, l’81% pubblica foto, video e fa delle dirette streaming, la metà aggiorna costantemente i propri profili. Uno su tre, sui social, accetta l’amicizia di persone che non conosce e il 30% dichiara di aver dato il proprio numero di telefono a persone sconosciute. ![]() I videogiochi Oltre ai social, un’altra delle attività preferite da bambini e adolescenti è il gaming, cioè divertirsi con i videogiochi, online o con il dispositivo elettronico, la console. Secondo un’indagine di Skuola.net, la piattaforma per studenti delle scuole superiori e universitari, su 1.271 intervistati tra i 10 e il 25 anni, circa i due terzi trascorrono davanti ai videogiochi tre ore al giorno, in media dodici alla settimana, con una preferenza per i giochi “sparatutto”, seguiti dai simulatori di vita reale. Tra gli interpellati, comunque, i tre quarti dichiarano di ritenere che l’uso prolungato dei videogames sia pericoloso, su una scala che da abbastanza a molto, mentre un terzo ritiene che giocare online arricchisca la propria quotidianità. Più della metà dei giovani e dei giovanissimi che hanno partecipato al sondaggio, inoltre, ritiene che il tempo speso a giocare non abbia influito sul loro rapporto con la scuola, mentre un terzo di loro ha osservato un peggioramento nell’interesse, nell’impegno e nel rendimento scolastico. L'intervista
Il titolo del suo libro, scritto insieme a Riccardo Marco Scognamiglio, è “Adolescenti Digitalmente Modificati (Adm)”. Cosa intende per Adm? Adm è un acronimo che
riprende quello già esistente di organismi geneticamente
modificati (Ogm) poiché, come quest’ultimi, anche l’adolescente
di oggi ha mutato la sua struttura attraverso un training sociale
digitale che ha avuto il potere di plasmare la mente e, soprattutto, il
rapporto tra questa e il corpo. Nell’era digitale, le istituzioni
sociali che una volta facevano comunità, come la Chiesa, lo
Stato, la scuola, la famiglia, oggi ‘tengono’ meno. Così nei
giovani e nei giovanissimi che sono soggetti ‘porosi’ alle
trasformazioni, si sono modificati i pattern neuronali e di
conseguenza, le loro tendenze psicologiche, affettive e relazionali.
Come funziona questo processo nel rapporto con i device come, ad esempio, lo smartphone? È in questo processo che si innescano le dipendenze tecnologiche? La dipendenza dalla tecnologia
non è solo una questione psicologica, perché gli effetti
dell’interazione digitale coinvolgono innanzitutto il corpo. Quando ci
si rapporta con i device, questo tipo di interazione si impone
direttamente al sistema sensoriale, senza stimolare la messa in moto di
processi metacognitivi, cioè del ragionamento. In pratica,
veniamo assorbiti dalla macchina. Tale questione riguarda anche il
genitore. Quando il proprio figlio è immerso in un
videogame, la mente e la sua forza di volontà perdono il
controllo sotto la spinta di un corpo ‘drogato’ di adrenalina. In quel
frangente, il bambino o l’adolescente non può farsi coinvolgere
né dalle esortazioni del genitore, del tipo “spegni, vieni a
tavola che è pronta la cena”, né dai suoi ragionamenti,
come “sono troppe ore che stai davanti al video, cerca di capire che
stai esagerando”. Quando c’è un problema di abuso, prima di
‘staccare la spina’, occorre capire cosa ha portato il ragazzo ad
attaccarsi alla tecnologia e perché ne ha così bisogno.
L’uso
della tecnologia per giovani e giovanissimi consiste nella maggior
parte nel gaming e nello stare sui social network. Il tempo che ci
trascorrono, i giochi con cui si intrattengono, i contenuti che
scelgono, cosa ci dicono di loro?
Conoscere la tipologia dei
contenuti che cercano in Rete è fondamentale per capire quali
sono i bisogni e i desideri che talvolta nella realtà non
riescono a soddisfare. Se un ragazzo gioca per ore e ore agli
‘sparatutto’, ha certamente esignze diverse da chi si immerge in giochi
fantasy con una trama narrativa, dove il piacere è dato dal
mettersi nei panni di personaggi mitologici. Ogni contenuto è da
comprendere, questo è decisivo per capire come accompagnarli al
meglio nei passaggi evolutivi che devono affrontare. Lo schermo del
computer, infatti, svolge una funzione protettiva per sperimentare
bisogni aggressivi, di socialità, di confronto col rischio e col
pericolo in un contesto percepito come più sicuro anche se, di
fatto, non lo è per nulla. Ecco come si può spiegare il
fenomeno del cyberbullismo e il mondo delle challenge, luoghi virtuali
dove i giovani si attaccano, si misurano e competono tra loro, talvolta
in sostituzione di spazi di confronto fuori casa sempre meno frequenti.
Quali sono gli effetti di questo rapporto con la tecnologia? Il cervello è come un
muscolo e l’esposizione continua all’interazione digitale produce
cambiamenti delle mappe neurali che provocano facilitazioni nella
direzione in cui avviene l’allenamento: il risultato è un
aumento della reattività e la difficoltà dei corpi di
decomprimersi. Anche i sintomi stanno diventando sempre più
‘incarnati’: ansia, attacchi di panico, disturbi del sonno, problemi di
concentrazione e d’attenzione, down depressivi, fino a tutte le
problematiche relative alle dipendenze e alle compulsioni.
Anche l’esplosione dei disturbi
specifici dell’apprendimento può essere letta come effetto di
questa dimensione digitale, dove la macchina-corpo viene continuamente
stimolata, si ‘stressa’ e perde i pezzi. Si è spronati ad andare
continuamente avanti senza fermarsi, a scapito dei processi analogici
più lenti, come la lettura e la scrittura, che stimolano la
fantasia e il guardarsi dentro. Così facendo quando dobbiamo
fermarci per dormire, leggere o concentrarci, troviamo grandi
difficoltà. A livello di coinvolgimento sensoriale, guardare una
serie su Netflix, è molto diverso dai cartoni animati o dalle
serie televisive di qualche decennio fa. Oggi l’esperienza è
eccitante, trascinante, senza pause, con una disponibilità
immediata e pressoché infinita di contenuti. Così,
è facile ‘rimanerci dentro’ e ricercarne la ‘dose’ quando stiamo
male. Avendo la possibilità di ottenere facilmente un
coinvolgimento immediato, intenso e distraente che ci aiuta a staccare
e ad abbassare la tensione interna quando abbiamo un problema, sempre
più spesso ci allontaniamo dalla condivisione emotiva. Il
pericolo è per i più giovani che, così facendo,
potrebbero non acquisire gli strumenti affettivi e relazionali per
stare con l’altro, finendo per isolarsi.
Lei è anche psicologo scolastico e da questo suo punto di osservazione, come si comportano i ragazzi “digitalmente modificati” a scuola? Già qualche anno fa,
un’insegnante mi diceva: ‘Il problema non è più
insegnare, ma riuscire a farli stare seduti sulle sedie’. Ci sono
alcuni bambini e adolescenti che vivono in una condizione di
reattività e iperattività che rende loro difficile
l’attenzione e la concentrazione. Altri invece, sono spenti e non
trovano il senso in ciò che dovrebbero studiare. La domanda
più frequente che fanno è ‘a cosa mi serve?’. È
fondamentale qui che il docente non dia per scontata l’utilità
di ciò che sta insegnando e che sappia mettersi in gioco con
risposte personali, mettendo in discussione le fondamenta.
Cosa possono fare i genitori, nel loro rapporto educativo con i figli? Dobbiamo partire dalla premessa
fondamentale che i nostri figli sono digitalmente modificati. Se non
prendiamo atto di questo, continueremo a pensarli per come siamo stati
noi alla loro età e ci rivolgeremo loro con modalità
inadeguate.
I cambiamenti degli ultimi
trent’anni si sono verificati con un’accelerazione mai registrata nella
storia dell’umanità: dobbiamo quindi entrare in contatto con una
diversità strutturale. In quanto adulti, abbiamo sempre pensato
di dover trasmettere ai nostri figli l’esperienza necessaria per
cavarsela nella vita. Diversamente oggi, se vogliamo essere considerati
autorevoli, dobbiamo prima interessarci ed entrare nel loro mondo,
anche quello online, per apprendere da loro cosa stanno cercando e di
cosa hanno veramente bisogno. Prima osservare e ascoltare, senza
giudicare. Il dialogo non funziona se il genitore che lo propone non
mette in discussione le proprie premesse.
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agosto 2022 |