Negli Usa pressioni su Google;
no del Texas all’aborto


di Mauro Faverzani





Articolo pubblicato su Corrispondenza Romana


Sempre più impositivi, sempre più ideologici, sempre più dittatoriali i criteri utilizzati dalle big tech nel gestire a modo loro l’enorme flusso di dati in proprio possesso.

Un esempio, ancora una volta, giunge dagli Stati Uniti, dove Google, nei risultati di ricerca, promuove le cliniche abortiste e censura i centri di gravidanza: è quanto ha denunciato l’agenzia InfoCatólica, riprendendo quanto pubblicato dal giornale statunitense The Hill, che ha a sua volta riferito del proposito dell’azienda d’applicare etichette alle cliniche che pratichino gli aborti ed a quelle che non li pratichino.

La decisione sarebbe stata assunta su richiesta del senatore democratico Mark Warner e della deputata, sempre democratica, Elissa Slotkin: i due avrebbero chiesto espressamente a Google, quando le utenti digitino «cliniche abortiste vicine» o «pillola abortiva», di evitare risultati di ricerca, che segnalino alle donne in dolce attesa anche i centri di gravidanza pro-life, dove facilmente verrebbero aiutate a scegliere la vita per i propri bimbi in grembo, poiché, secondo il sen. Warner, questi farebbero «ricorso alla disinformazione» e non fornirebbero «servizi sanitari completi».

Questo rappresenta davvero una brutta pagina nella storia del più celebre motore di ricerca, che negli Stati Uniti si rivela piegato ai diktat di esponenti del Partito democratico, piegato ai diktat di una visione bioetica spiccatamente abortista, quindi estremamente fazioso ed, in buona sostanza, inaffidabile.

Lamenta l’agenzia InfoCatólica: «Quando LifeSiteNews ha cercato “aiuto alla gravidanza” su Google, il primo risultato è stato Planned Parenthood, benché si tratti di una struttura che pratica aborti e presso cui i servizi di aiuto alla gravidanza, come assistenza prenatale e post-parto, siano praticamente inesistenti».
Il che è assurdamente paradossale. Ovvio, questa è una situazione che, al momento, pare interessare esclusivamente gli Stati Uniti, dove il clima in materia è divenuto a dir poco incandescente; l’Italia, ad esempio, non ne è interessata.
Ma non è detto che in avvenire tale modus operandi non possa venire esteso arbitrariamente anche ad altre aree geografiche: un dubbio, questo, che costituisce una pesante mazzata in termini di credibilità per Google.

Quanto agli Stati Uniti, si noti come sia venuto allo scoperto il peggior volto violento pro-choice: da maggio ad oggi almeno cinque centri di gravidanza pro-life hanno subìto incendi dolosi, mentre decine sono quelli che hanno subito vandalismi e minacce.
In una recente intervista, la senatrice democratica Elizabeth Warren del Massachusetts avrebbe chiesto la chiusura completa di questi centri di gravidanza, «perché presumibilmente “torturano” le donne», ha dichiarato: incredibile!
La realtà, fotografata da un’analisi condotta dal Charlotte Lozier Institute, è naturalmente un’altra: dal 2016 i 3 mila centri pro-life hanno contribuito a salvare dall’aborto oltre 800 mila nascituri, hanno servito nel 2019 quasi 2 milioni di persone, fornito più di 730 mila test di gravidanza, effettuato quasi mezzo milione di ecografie, distribuito 1.300.000 pacchetti di pannolini, oltre 2 milioni di tutine per neonati, il tutto gratuitamente.

Nel frattempo, lo scorso 25 agosto in Texas è entrato in vigore il divieto pressoché totale di aborto, consentito solo in caso di pericolo di vita per la madre. Contemporaneamente si sono nettamente inasprite le pene per i medici che pratichino l’aborto e per quanti collaborino con loro, potenzialmente estensibili sino all’ergastolo.
Le madri che abortiscono, viceversa, non verranno punite.

Per evitare che tale provvedimento venga affossato da autorità locali pro-choice, la nuova legge stabilisce che sia il Procuratore Generale dello Stato del Texas a dover perseguire questo crimine e prevede la possibilità di sporgere denunce civili contro i medici abortisti, qualora i procuratori locali si rifiutassero di collaborare.

Ciò significa due cose: la prima è che, negli Stati Uniti, la guerra sul tema della vita si è fatta accesissima; la seconda è che comunque tutto ciò dimostra come cancellare le leggi abortiste – compresa la 194 per l’Italia – sia assolutamente possibile.
La speranza e la voglia di combattere per questo obiettivo pertanto non devono mai venire meno.





settembre 2022

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