Sette
Dolori della Beata Vergine Maria
15 settembre 2022
Meditazione
di Mons. Carlo Maria Viganò
Juxta crucem tecum stare
Et me tibi sociare
in planctu desidero.
In questo giorno solenne, nel quale la Chiesa celebra la Beatissima
Vergine Maria Addolorata, la mia meditazione avrà come oggetto i
Sette Dolori, che nell’iconografia sacra vediamo simboleggiati da sette
spade che trafiggono il Cuore Immacolato della Madonna. Li vorrei
contemplare nella loro relazione con gli eventi della Chiesa, di cui
Nostra Signora è Madre e Regina. Non solo: Ella è figura
della Chiesa, e tutto ciò che diciamo della Madre di Dio,
possiamo in qualche modo applicarlo alla Sposa dell’Agnello. Questo
vale tanto per i trionfi e le glorie di entrambe, quanto per i loro
dolori e la partecipazione alla Passione redentrice di Cristo.
I - Nostra Signora nel tempio
ascolta la profezia di Simeone
Egli è qui per la rovina
e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione
perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una
spada trafiggerà l’anima (Lc 2, 34-35).
Sono le parole di Simeone alla Vergine, nelle quali è annunciata
la Passione redentrice del divino Salvatore e la corredenzione della
Sua santissima Madre. Ma esse valgono anche per la Chiesa, che è
qui per la rovina e la
risurrezione di molti, e
segno di contraddizione. Anch’essa partecipa nel Corpo Mistico a
«ciò che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1, 24),
nuovo Israele, lumen ad revelationem gentium, città posta sul
monte, nuova Gerusalemme.
Per questo anche noi, figli della Chiesa, sentiamo trafiggerci l’anima
nel vedere la Sposa dell’Agnello, destinata ad essere Domina gentium, salire il suo Calvario,
respinta come il Verbo eterno da coloro che camminano nelle tenebre: et mundus eum non cognovit (Gv 1,
10), et sui eum non receperunt (Gv
1, 11).
E se alla Madre di Dio fu risparmiato l’oltraggio al quale non volle
sottrarsi Nostro Signore, era nondimeno opportuno che il Corpo fosse
flagellato e umiliato dal nuovo Sinedrio, come lo fu il suo Capo.
Quis est
homo, qui non fleret,
Matrem
Christi si videret
in tanto
supplicio?
II - La fuga in Egitto
Dinanzi alla persecuzione di Erode, la Vergine e San Giuseppe fuggono
in Egitto, per mettere in salvo il Bambino Gesù. Abbandonano
tutto, lasciano la loro casa e l’attività, i parenti e gli
amici, per custodire il Signore e sottrarlo alla furia omicida di
Erode. Immaginiamo il dolore della Madonna, nel vedere minacciata la
vita del suo Figlio. Immaginiamo la preoccupazione di San Giuseppe,
esule in terra straniera, in mezzo ai pagani, solo con la Sposa e
Gesù Bambino.
Anche noi, come i Cristiani perseguitati, siamo costretti all’esilio,
alla fuga, alle mille incognite di doverci allontanare dalla nostra
casa e dai nostri cari per porre in salvo il Sacerdozio e la Santa
Messa, tramite i quali il Signore perpetua il Suo Sacrificio.
Ci troviamo a dover fuggire addirittura dalle chiese, dai monasteri,
dai seminari: perché un nuovo Erode cerca di eliminare quel segno di contraddizione che lo
accusa, e che vorrebbe sostituire con una religione umana, ecumenica,
ecologista e panteista; un Cristianesimo senza Cristo, un Sacerdozio
senz’anima soprannaturale, una Messa senza sacrificio.
Questa spada che trafigge il Sacratissimo Cuore di Gesù e il
Cuore Immacolato di Maria trapassa anche il nostro. Ma come la fuga in
Egitto fu relativamente breve, così sarà anche la nostra;
aspettiamo che l’angelo ci ripeta le parole che rivolse a San Giuseppe:
Alzati, prendi con te il
bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti
coloro che insidiavano la vita del bambino (Mt 2, 19-20).
Tui Nati
vulnerati,
tam dignati
pro me pati,
pœnas mecum
divide
III - Il ritrovamento di Nostro
Signore nel tempio
Dopo essersi recati a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, la Vergine e
San Giuseppe si uniscono alla carovana per tornare a casa, ma si
accorgono che Gesù non è né con loro, né
con i loro parenti. Lo cercano per tre giorni, tornando a Gerusalemme,
e Lo trovano nel tempio, con i dottori della Legge, intento a schiudere
le profezie messianiche dell’Antico Testamento e a rivelarSi loro.
Quale tormento devono aver provato Maria e Giuseppe, nel temere di aver
smarrito Colui del Quale l’Arcangelo Gabriele aveva detto: «Sarà grande e chiamato Figlio
dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo
padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno
non avrà fine» (Lc 1, 32-33).
Grande dev’essere stata la gioia nel ritrovare il giovinetto
Gesù nel tempio, ma in quei tre giorni di angoscia senza il
proprio Figlio accanto – Lui ch’era sempre stato subditus illis (Lc 2, 51) – tutti i
più atroci timori devono averli consumati. Dinanzi a queste
reazioni così umane, così vere, noi dovremmo chiederci
quale sia il nostro atteggiamento quando, con il peccato, perdiamo
anche noi Gesù, che si allontana da noi non per seguire la
propria vocazione, ma perché abbiamo sporcato e colmato di
sozzure la dimora della nostra anima.
Guardando alla situazione presente in cui versa la Chiesa, potremmo
chiederci – con le parole della “profezia”[1] del Venerabile Pontefice
Pio XII che ripetono quelle di Maria di Magdala (Gv 20, 13) –
«dove Lo hanno messo?», quando entrando in una chiesa
cerchiamo invano un segno della Presenza Reale, una lampada rossa
accesa vicino al Tabernacolo. Ci chiediamo «dove Lo hanno
messo?» anche quando, assistendo ai riti riformati, vediamo
esaltata la figura del “presidente dell’assemblea”, il ruolo della
zelatrice del tempio che legge la preghiera dei fedeli, la suora senza
velo che distribuisce con ostentazione la Comunione; ma non vi troviamo
alcuno spazio, alcuna centralità, alcuna attenzione al Dio
Incarnato, al Re dei re, al divino Redentore presente sotto i veli
eucaristici. Chiediamo «dove Lo hanno messo?» quando
entrando nella chiesa in cui sino a ieri ci era garantita la
celebrazione in rito antico, vi ritroviamo la tavola protestante, e la
sede del celebrante posta dinanzi al Tabernacolo vuoto.
«Angosciati Ti cercavamo» (Lc 2, 48).
Dov’è dunque il Signore? Nel tempio. In una chiesetta
clandestina, in una cappella privata, su un altare di fortuna allestito
in una soffitta o in un granaio. Dove Nostro Signore ama stare: con
coloro che aprono il cuore e la mente alla Sua Parola, lasciandosi
sanare da Lui, permettendoGli di guarirci dalla cecità
dell’anima che ci impedisce di vederLo. «Perché mi cercavate? Non sapevate
che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,
49). Quando non troviamo Nostro Signore, e ci abbandoniamo all’angoscia
e alla disperazione, dobbiamo tornare sui nostri passi, andare a
cercarLo dove Egli ci aspetta.
Dov’è dunque il Signore? Nel tempio. In una chiesetta
clandestina, in una cappella privata, su un altare di fortuna allestito
in una soffitta o in un granaio. Dove Nostro Signore ama stare: con
coloro che aprono il cuore e la mente alla Sua Parola, lasciandosi
sanare da Lui, permettendoGli di guarirci dalla cecità
dell’anima che ci impedisce di vederLo. «Perché mi
cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre
mio?» (Lc 2, 49). Quando non troviamo Nostro Signore, e ci
abbandoniamo all’angoscia e alla disperazione, dobbiamo tornare sui
nostri passi, andare a cercarLo dove Egli ci aspetta.
Fac, ut
ardeat cor meum
in amando
Christum Deum,
ut sibi
complaceam.
IV - Nostra Signora incontra
Gesù che porta la Croce
V - Nostra Signora ai piedi
della Croce
VI - Nostra Signora assiste alla
crocifissione e morte di Gesù
Ecco un altro Dolore della Vergine e della Chiesa: la vista di Nostro
Signore flagellato, coronato di spine, caricato della Croce, fatto
oggetto di insulti, schiaffi e sputi. L’Uomo dei Dolori da una parte;
la Mater dolorosa dall’altra.
Una Madre in cui la consapevolezza della divinità del Figlio,
custodita gelosamente sin dal Fiat,
strazia il Suo Cuore contemplando il Re dei Giudei ucciso proprio da
loro, sobillati dai Sommi Sacerdoti e dagli Scribi del popolo, complice
pavida l’autorità imperiale: «Il Signore Dio gli
darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre
sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc
1, 32-33). Ecco il trono di Davide, ecco il regno sulla casa di
Giacobbe: il Padre che accetta l’offerta del Figlio, nell’amore dello
Spirito Santo, per restaurare l’ordine infranto dal peccato di Adamo ed
espiare la colpa infinita del nostro Progenitore. Regnavit a ligno Deus, cantiamo nel
Vexilla Regis. Ed è proprio dalla
Croce che Cristo regna, coronato di spine.
Ma se il capro espiatorio che veniva simbolicamente caricato delle
colpe e dei peccati del popolo era fatto oggetto di disprezzo e inviato
a morire fuori delle mura di Gerusalemme, quale destino poteva
attendere Colui di cui quel capro era figura, se non prendere su di
Sé i peccati del mondo per lavarli nel proprio Sangue, fuori
dalle mura di Gerusalemme, sul Calvario? Il dolore della Madre di Dio
nel vedere il proprio Figlio oltraggiato e condotto a morte come un
criminale Le valse il titolo di Corredentrice: «Così ella
soffrì e quasi morì con il Figlio suo sofferente e
morente, così rinunciò per la salvezza degli uomini ai
suoi diritti di madre su questo Figlio e lo immolò per placare
la divina giustizia, sicché si può dire, a ragione, che
ella abbia redento con Cristo il genere umano» (Benedetto Pp XV, Inter sodalicia).
Anche la Chiesa, ad iniziare proprio ai piedi della Croce con la
Vergine e San Giovanni, ebbe a soffrire enormi dolori nel contemplare
la Passione del suo Signore. Anche noi, suoi figli nel Battesimo per
grazia di Dio, abbiamo il cuore trafitto nel vedere come è
trattato dai Suoi stessi ministri Gesù Sacramentato, come
è considerato quasi un ospite ingombrante, che toglie
visibilità agli egocentrici della actuosa participatio e ai fanatici del
dialogo ecumenico. Ci sentiamo strappare il cuore quando sentiamo i
più alti esponenti della Gerarchia negare la divinità di
Cristo, la Sua Presenza nel Santissimo Sacramento, i quattro fini del
Santo Sacrificio, la necessità della Chiesa per la salvezza
eterna. Perché in quegli errori, in quelle eresie, in quelle
stolide menzogne leggiamo non solo la pavidità e la sordida
cortigianeria verso i nemici di Cristo, ma quello stesso atteggiamento
spezzante e ipocrita del Sinedrio, disposto a ricorrere
all’autorità civile pur di mantenere un potere usurpato e
amministrato contro il fine per cui Cristo lo ha istituito. La
perversione dell’autorità ecclesiastica è quanto di
più atroce e straziante possa esistere, come se un figlio
dovesse assistere all’adulterio della madre o al tradimento del padre.
Cujus animam
gementem,
contristatam
et dolentem
pertransivit
gladius.
VII Nostra Signora riceve nelle
sue braccia Gesù deposto dalla Croce
Colei che aveva portato in grembo e dato alla luce il Figlio
dell’Altissimo nello squallore di una mangiatoia ma circondata dai cori
degli Angeli, si trova a dover accogliere le morte membra del
Salvatore, come custode della Vittima Immacolata. Quale dev’essere
stato il dolore sordo e cupo, nel reggere il cadavere adulto di quel
Figlio che Ella aveva tante volte stretto a sé da bimbo e poi da
fanciullo! Le membra abbandonate dalla vita saranno sembrate ancor
più pesanti per Lei, che custodiva la Fede mentre tutti gli
Apostoli erano fuggiti. Mater intemerata, diciamo nell’invocazione
delle Litanie: una Madre che non conosce timore, che è disposta
a tutto per il proprio Figlio; una Madre che il mondo infernale del
Nuovo Ordine odia di un odio inestinguibile, vedendo in Lei la forza
invincibile della Carità, pronta a immolarsi per amore di Dio e
del prossimo per amor Suo. Questo mondo apostata cerca di cancellare la
Mater intemerata corrompendo l’immagine
stessa della maternità, facendo di colei che deve proteggere il
proprio figlio la sua spietata assassina; rovesciando la Mater purissima con il peccato,
l’immodestia e l’impurità; rendendo brutta e avvilendo la
femminilità per togliere da ogni donna ciò che ricorda la
Mater amabilis.
Oggi la Chiesa soffre con l’Addolorata nell’essersi piegata alla
mentalità secolarizzata, nell’esaltare una femminilità
ribelle, che aborrisce la verginità, deride la santità
coniugale, demolisce la famiglia e rivendica un distorto diritto
all’uguaglianza dei sessi. Oggi la Gerarchia tace i trionfi di Maria
Santissima e rende culto alla Madre Terra, al sordido idolo infernale
della Pachamama. Perché la Vergine e la Chiesa sono il
più grande nemico di Satana; perché la Vergine e la
Chiesa sono le custodi del piccolo gregge, riunito nel Cenacolo, per
paura dei Giudei.
Offriamo queste nostre sofferenze, unendole a quelle di tutta la Chiesa
e di Maria Santissima Addolorata, perché la Maestà di Dio
ci conceda il privilegio di assistere al trionfo della Chiesa, Corpo
Mistico di Cristo, come dopo tre giorni risorse glorioso il suo Capo,
mentre le guardie dormivano. Allora vedremo la Vergine Addolorata
riprendere le vesti regali, per intonare l’eterno Magnificat.
Fac me cruce
custodiri
morte
Christi praemuniri,
confoveri
gratia.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
15 settembre 2022
In festo Septem Dolorum B.M.V.
settembre 2022
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