L’arma della “libertà di espressione”


di Mauro Faverzani


Pubblicato su Corrispondenza Romana


 



La Corte europea dei Diritti dell’Uomo le ha dato ragione: così una “Femen” si vedrà risarcire dalla Giustizia francese 9.800 euro a seguito della condanna subita per aver profanato nel 2013 la chiesa di Santa Maria Maddalena, a Parigi.


Quel giorno la donna, in topless, con indosso una corona di spine ed un velo azzurro, si pose davanti all’altare ed al tabernacolo, tenendo tra le mani due pezzi di fegato di bue, per simulare l’aborto di Cristo da parte della Vergine.
Sul suo petto era scritto «Il Natale è cancellato» ed altri slogan blasfemi.

Secondo la Corte dei Diritti dell’Uomo, però, il raccapricciante gesto rientrerebbe nella libertà di espressione, poiché «l’unico scopo» della donna sarebbe stato quello non di offendere gratuitamente la sensibilità religiosa dei fedeli cattolici, bensì di contribuire «al dibattito pubblico sui diritti delle donne, più specificamente su quello all’aborto», rimproverando anche ai tribunali francesi di non aver tenuto conto di questa distinzione e di aver inflitto alla donna una pena giudicata «severa», vale a dire un solo mese di reclusione con la sospensione della pena ed una multa di 2 mila euro.

È divenuta ormai una triste consuetudine, quella della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di difendere attacchi, insulti e profanazioni contro la Chiesa.
Nel 2018 la Corte ha condannato la Lituania per aver sanzionato pubblicità blasfeme con Cristo e la Madonna, benché, sempre quell’anno, abbia confermato una condanna penale ad un docente austriaco, “reo” di aver equiparato alla pedofilia la relazione sessuale tra Maometto e la piccola Aisha di soli 9 anni. In questo caso, secondo la Corte, l’insegnante non sarebbe stato obiettivo, anzi avrebbe compiuto una «generalizzazione» atta a dimostrare per quali ragioni Maometto non sia «degno di culto», il che avrebbe potuto «suscitare una giustificata indignazione» nei fedeli islamici. Tutto questo avrebbe rappresentato, pertanto, «una maliziosa violazione dello spirito di tolleranza, che è alla base della società democratica», avrebbe potuto «suscitare pregiudizi» e «mettere in pericolo la pace religiosa».

Risale, infine, solo ad un mese fa la sentenza con cui la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la condanna per blasfemia inflitta alla popstar polacca Doda avrebbe violato il suo diritto d’espressione.

Insomma, profanare un altare cattolico sarebbe libertà d’espressione, approfondire gli hadīth della fede islamica sarebbe criminale. L’attacco blasfemo di una femminista in una chiesa o di una cantante sul palco rappresenterebbero un contributo al dibattito pubblico sui diritti delle donne, mentre indossare simboli religiosi visibili sul lavoro sarebbe un reato, come deciso e ribadito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Il criterio dei due pesi e due misure, seguito dai vertici europei, è evidente, assurdo, discriminatorio e quindi, questo sì, odioso e foriero d’incitazione all’odio.

Ma proprio dalla Polonia giunge, ancora una volta, la speranza, in particolare con la proposta di legge presentata dal partito Polonia unita (Solidarna Polska), che prevede il carcere fino a tre anni per chiunque offenda o ridicolizzi pubblicamente la Chiesa. Secondo il ministro di Giustizia, Zbigniew Ziobro, «per attuare pienamente la libertà di religione, è necessario modificare il codice penale, che oggi non garantisce sufficientemente la protezione dei credenti».

In Polonia è già un reato penale, punibile fino a due anni di reclusione, quello di «offendere i sentimenti religiosi di altri, insultando pubblicamente un oggetto di culto religioso o un luogo destinato alla celebrazione pubblica di riti religiosi». Tale norma, ora, potrebbe essere inasprita.
Anche il principale partito di governo, Diritto e Giustizia, infatti, ritiene la proposta di legge «in linea con i valori che condividiamo». Contraria, invece, prevedibilmente, la Sinistra, che si schiera dalla parte dei facinorosi: «Se questo emendamento entrerà in vigore – ha dichiarato un suo esponente, l’on. Joanna Scheuring-Wielgus – chiunque, ad esempio, ponga a Maria Vergine un’aureola arcobaleno Lgbt o protesti in una chiesa, come abbiamo fatto io e mio marito, verrà punito col carcere». Esattamente.
Si noti che da un paio d’anni il leader di Polonia Unita, nonché ministro di Giustizia, Zbigniew Ziobro, sta cercando di far levare all’on. Scheuring-Wielgus l’unico scudo, che finora l’ha sottratta alla condanna ovvero l’immunità parlamentare, per farla giudicare circa le accuse di offesa ai sentimenti religiosi e ostacolo doloso ad un atto religioso proprio per aver protestato in chiesa contro la norma polacca sull’aborto.

Sarebbe ora che venisse ribadito in tutte le sedi, soprattutto in quelle istituzionali, un doveroso rispetto verso la fede altrui, in particolar modo quando questa nei secoli abbia costruito la storia, la morale, il diritto e la cultura dell’intera Europa.





ottobre 2022
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