Anche il cardinale Hollerich vuole cambiare la Chiesa


Articolo della FSSPX





Cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo


Il cardinale Mario Grech, segretario Generale del Sinodo dei vescovi, è stato pesantemente accusato dal cardinale Gerhard Müller, in una recente intervista, di voler cambiare la Chiesa.
La stessa accusa può essere rivolta al cardinale Hollerich, relatore generale del Sinodo sulla sinodalità.

Il cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, è Presidente della commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) e vice presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) ed anche relatore generale del Sinodo sulla sinodalità.

Egli ha rilasciato recentemente un’intervista a L’Osservatore Romano, riprodotta su Vatican News.
Ha risposto a domande sul Sinodo e su ciò che secondo lui dovrebbe essere riformato nella Chiesa.


Annunciare il Vangelo

Egli comincia con una constatazione: «credo che nell’Europa odierna noi soffriamo di una patologia: siamo incapaci di vedere chiaramente qual è la missione della Chiesa».
Probabilmente è vero, ma non per le ragioni date dal cardinale.

Per il porporato, il discorso attuale parla troppo di strutture, ma aggiunge «noi on parliamo molto della missione della Chiesa, che è di proclamare il Vangelo».
Bisognerebbe comprendere che cosa intenda con questo.
Ma subito dopo egli spiega: «Annunciare, e soprattutto testimoniare, la Morte e la Risurrezione di Gesù Cristo. Una testimonianza che il cristiano deve interpretare principalmente attraverso il suo impegno nel mondo per la protezione della creazione, per la giustizia, per la pace».
In altre parole, una missione puramente terrena, orizzontale, in cui la grazia è assente. Una missione naturalista.

Come esempio per il compimento di questa missione egli dà le due encicliche di Papa Francesco: Laudato si’ e Fratelli tutti, che sono ben comprese nel mondo. Ne vede la prova nel fatto che i politici del Parlamento Europeo, con cui è a stretto contatto, abbiano tutti letto queste due encicliche e «riconoscono in Papa Francesco il padre di un nuovo umanesimo».

Tragica confessione: non si chiede ai Papi di essere umanisti, ma di predicare Gesù Cristo, la Sua Rivelazione, la Chiesa e la salvezza eterna per mezzo della grazia, del pentimento dei peccati e della penitenza.

Ed egli conclude con un’altra confessione: «Siamo noi che dobbiamo spiegare che l’umanesimo di Francesco non è solo una proposizione politica, ma è un annuncio del Vangelo».
Ma di quale Vangelo si tratterebbe? Di un vangelo terreno che crede di poter salvare gli uomini facendoli rimanere al livello puramente umano?


Un cambiamento nel sacerdozio

Il cardinale Hollerich vede la sinodalità come un’esigenza della collegialità tra i vescovi e come una riscoperta del sacerdozio universale dei fedeli: «noi dobbiamo essere coscienti che il sacerdozio battesimale non toglie nulla al sacerdozio ministeriale. (…) Non vi è sacerdozio ministeriale senza il sacerdozio universale dei cristiani, poiché è da questo che quello deriva».

Al contrario, il sacerdozio «ministeriale» è primario, e il «sacerdozio universale» fondato sul Battesimo ne deriva: questo sacerdozio in senso derivato, secondario, può essere esercitato solo sotto l’impulso dell’azione sacerdotale del sacerdote. Se non ci fosse più alcun sacerdote o vescovo sulla terra, la Chiesa potrebbe solo scomparire, perché non potrebbe più compiere l’atto supremo della religione: il santo Sacrificio della Messa. E senza questo Sacrificio, la Chiesa ha perso la sua principale ragion d’essere.

Poco dopo, il cardinale Hollerich pronuncia un altro errore, negando la «diversità ontologica» fra il sacerdozio del sacerdote e quello dei fedeli. Egli si oppone a tutta la Tradizione e perfino al concilio Vaticano II che sulla questione ha detto:
«Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado …» (Lumen gentium 10).
Vi è dunque «diversità ontologica».

L’autorità nella Chiesa

Sul posto dei laici, l’arcivescovo di Lussemburgo afferma: «Io penso che, tanto in ragione dei risultati di questo Sinodo, quanto in ragione della diminuzione delle vocazioni, l’equilibrio tra i laici e il Clero in avvenire sarà molto diverso da quello odierno».
Egli non descrive questo nuovo equilibrio, ma deplora che il confronto attuale si faccia in termini di «potere».

Sull’argomento egli critica il Cammino sinodale che si focalizza sul problema; e spiega il suo pensiero: «La sinodalità va al di là del discorso sul potere. Se le persone percepiscono l’autorità del vescovo o del curato come un “potere”, allora abbiamo un problema. Perché noi siamo ordinati per un ministero, per un servizio. L’autorità non è un potere».

Il lettore può sprofondare in un abisso di perplessità, o addirittura pensare che il cardinale stia giocando sulle parole. C’è da temere che non sia così. Dire che “l’autorità non è potere” può avere senso solo se la parola “potere” si riduce a denotare una deviazione, un abuso. Perché è abbastanza ovvio per tutti, e anche per il dizionario, che l’autorità è un potere.

Il Dizionario dell’Accademia francese definisce l’autorità, nel suo primo senso: «Potere o diritto di comandare, di costringere». E il Centro nazionale delle risorse testuali e lessicali vi fa riferimento e dice: «Potere di agire sugli altri».
In senso cattolico, l’autorità è precisamente il potere dato a coloro che ne hanno la competenza, per aiutare i subordinati a raggiungere il loro fine.


Un cambiamento antropologico?


Il cardinale Hollerich, dopo aver parlato di «pastorale inadatta al nostro tempo», è portato a spiegarsi. Osserva che «da alcuni decenni tutto sta cambiando a una velocità inaudita». E aggiunge: «Oggi non possiamo nemmeno immaginarlo, ma ci saranno grandissime trasformazioni antropologiche».

E per farsi capire aggiunge: «noi non parliamo di antropologia culturale, ma di cambiamenti che riguardano anche la sfera biologica, naturale». Ecco una cosa singolare. L’arcivescovo di Lussemburgo annuncia una evoluzione della specie umana. Verso che? Che vuol dire?
Ma precisa un po’: «il nostro lavoro pastorale parla ad un uomo che non esiste più».

Dopo aver constatato lo sradicamento delle generazioni attuali, il relatore generale del Sinodo spiega la necessità di un adattamento pastorale ai cambiamenti antropologici. Egli constata «i giovani smettono costantemente di considerare il Vangelo se hanno l’impressione che noi facciamo della discriminazione».

La ragione è che «per i giovani di oggi, il valore più importante è la non discriminazione!» E se seguiamo bene il suo pensiero, la Chiesa deve essere al rimorchio di questo dato contemporaneo, altrimenti il suo messaggio non sarà recepito.

Vi sono in questa logica degli elementi profondamente opposti alla dottrina cattolica.
Commentando la decisione dei vescovi belgi di lingua fiamminga di benedire le unioni tra persone dello stesso sesso, il cardinale afferma: «Se ci si attiene all’etimologia [di benedire]: “dire bene”, pensate che Dio possa mai “dire male” di due persone che si amano?

C’è da rimanere stupefatti. Il cardinale Hollerich ha letto il Vangelo che vuol proclamare? O San Paolo? Perché non c’è da equivocare.
Quanto ai divorziati risposati, Nostro Signore li condanna fermamente, è bene citare il passo:
«Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E’ lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt. 19, 3-6).

Ed anche:
«Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio e colui che sposa una donna ripudiata commette adulterio» (Mt. 5, 32).

Questo significa forse “dire male”?

Quanto a San Paolo, nella Lettera ai Romani (1, 26), condanna severamente gli “atti ignominiosi uomini con uomini”, e conclude: « E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (1, 32).

Anche questo significa forse “dire male”?


Un errore filosofico grave

Dietro gli elementi di non discriminazione, anche di ciò che è sbagliato, e dell’approvazione di ogni “amore”, qualunque esso sia, si cela un grave errore filosofico che li consente: la giustificazione automatica di un amore umano, di per sé. Ma un tale amore è buono solo se rispetta la legge divina, perché solo Dio dà ad un oggetto di essere  buono mediante il suo amore.

E per dimostrarlo, chiediamo al cardinale: «Cosa dirà quando si tratterrà di un amore incestuoso?» Come quello tra un fratello e una sorella, o un figlio e la sua matrigna, per esempio. Secondo il suo ragionamento, poiché si amano, Dio non può “dire male”.
Ma ancora San Paolo ha già risolto la questione parlando dell’incestuoso di Corinto (1 Cor 5, 1-13).

Il relatore del Sinodo vorrebbe contraddire San Paolo? O vorrebbe fermarsi davanti a quest’ultimo caso? E per quale ragione allora?

Noi ci troviamo al cospetto della volontà di trasformare la Chiesa di Gesù Cristo in qualcosa di diverso, una sorta di ONG venata di spiritualità, impegnata nelle lotte sociali del momento, e nell’ecologia integrale. Immersa nel mondo di oggi, la Chiesa dovrebbe assumerne tutti i colori e accettarne i codici e le deviazioni; anche se si pongono determinati limiti.

Con un tale segretario generale e un tale relatore generale all’opera, il Sinodo, che si annunciava già torbido, si presenta come una macchina da guerra contro la Chiesa.
Ma anche se il male sembra talvolta trionfare, è Cristo che dirige la Sua Chiesa ed Egli non lascerà sfigurare la Sua Sposa.







novembre  2022
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