BANALITÀ. . . E NON POCO

di Luciano Pranzetti


Abbiamo, tempo addietro, condotto una sapida critica a una certa modalità retorica con cui taluni conduttori di rubriche religiose, convinti di esternare perspicue e originali novità esegetiche, inventano locuzioni tramate di figure verbali e sintattiche che banalizzano l’argomento trattato.
Sono interventi, i nostri, che han preso in esame modi di dire, vocaboli che, oltre a un loro inopportuno uso, proprio per esser inadeguati al contesto, risultano lesivi, e talora sovversivi del pensiero da essi veicolato.
Il lettore di buona memoria ricorderà la critica diretta su quella barocca espressione, “il capolavoro della fantasia di Dio” con cui il conduttore del Rosario da Lourdes, intendeva illustrare l’Assunzione della B. V. Maria, o l’altra, sempre germogliata nel programma tv2000 – Rosario da Lourdes – che definiva la salita di Gesù al Calvario, un “viaggio”.

Ora, con il presente intervento, andremo a svolgere una ricognizione – ancora sul Rosario da Lourdes - su tre momenti che dicono la superficialità con la quale i vari conduttori caratterizzano i loro commenti di cui, due d’ordine semantico rispettivamente riferiti al secondo e al terzo mistero doloroso, ed uno al terzo mistero gaudioso laddove si smentisce il passo evangelico di Luca -2, 9/14.


Vediamo i primi due che, per essere di mera inopportunità semantica, son da prendere quali esempi retorici di disconnessione logica e, pertanto, seppur non dannosi ai fini della devozione, dànno conto di una banalità non consentanea all’argomento. Si tratta di espressioni anfibologiche, cioè di locuzioni indicanti ambiguità ed incertezza nel significato del discorso, specie per la scorretta collocazione dei termini. Alfredo Panzini ricorda esempi bizzarri del tipo “Biscottini per bambini col burro” oppure “Ti mando queste salsicce fatte con le mie mani di vero maiale”. Appare evidente che, nei due esempi addotti, ciò che porta il significato logico su comiche derive semantiche sono rispettivamente: “col burro”, che andrebbe posto dopo “biscottini” e “di vero maiale” da porsi dopo “salsicce” perché, diversamente, avremmo “bambini col burro” e “mani di vero maiale”.

Definita questa necessaria premessa, passiamo all’analisi dei due luoghi relativi al secondo e al terzo mistero dolorosi che configurano l’anfibologia di cui sopra.






1 - Ultimato il primo mistero, il conduttore annuncia: “Nel secondo mistero doloroso si contempla la flagellazione di Gesù alla colonna”.
Volendo procedere ad una rigorosa e seria analisi logica, dovremmo concludere che: la flagellazione = soggetto/ di Gesù = complemento di specificazione attiva / alla colonna = complemento di termine figurato. Da tale configurazione ne viene che Gesù flagella la colonna, risultato quanto mai inverosimile dovendosi, invece, intendere essere Gesù flagellato. In tal caso non è più semplice e maggiormente rispettoso della storia annunciare: “Nel secondo mistero doloroso si contempla la flagellazione Gesù legato alla colonna” o solamente: “Nel secondo mistero doloroso si contempla Gesù flagellato”?






2 – Trascorso il secondo mistero doloroso, il conduttore annuncia il terzo con questa sintassi: “Nel terzo mistero doloroso si contempla l’incoronazione di spine di Gesù”.
Anche per questo periodo, l’analisi logica ci dice che: l’incoronazione = soggetto / di spine = complemento di mezzo e/o di materia / di Gesù = complemento di specificazione e/o di possesso. In questo caso siamo di fronte a una generica scena in cui non è chiaro chi sia la persona alla quale viene applicata un’incoronazione di spine che non si sa se siano una qualità di specie o appartengano a Gesù. Non è più chiara la formula: “Nel terzo mistero doloroso si contempla Gesù coronato di spine”?

Naturalmente, per la familiarità col Santo Rosario, il devoto lettore trascura tale scorretta costruzione in quanto la perfetta conoscenza degli eventi e la secolare iconologia ad essi riferita gli dànno la giusta configurazione in cui Gesù appare, nel primo caso legato alla colonna e nel secondo, con il capo coronato di spine.
Ciò potrebbe bastare per fugare qualsiasi equivoco anfibologico stante la persistenza della tradizionale rappresentazione nell’immaginario della comunità cattolica a patto, però, che non vengano stampate le varianti che abbiamo esaminato ma che, come lodevolmente fanno le “Edizioni Santuario di Pompei”, si scriva: “Secondo mistero doloroso – Gesù è flagellato” e “terzo mistero doloroso – Gesù è coronato di spine”.





3 - Nella contemplazione dei misteri gaudiosi, il conduttore, giunto al terzo – la nascita di Gesù a Bethlem – compie un breve commento in cui, fra le cose opportune, si concede a voli di fantasia con i quali azzera, quasi del tutto, Luca 2, 9/14.
Nel far descrizione della nuda povertà, in cui nasce il Figlio di Dio, egli narra di un ambiente dove, per il piccolo re, non risuonano cori, non splendono luci, dove tutto è silenzio.
A noi son parse quanto mai fuori binario e velleitarie simili chiose perché, scorrendo la cronaca evangelica, si legge dell’Angelo del Signore che, presentatosi ai pastori “li avvolse di luce”, al quale Angelo si unì “una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Se il conduttore intendeva dire che, ad accogliere il neonato Gesù, non v’erano bande musicali e cori, certamente afferma cosa esatta, ma a fronte di un gruppo di musicanti umani c’era lo stuolo degli angeli che inondarono di luce la campagna circostante cantando da par loro, e “come si canta in cielo / a Dio gloria cantar” (A. Manzoni: Il Natale, vv. 83-84)
 
Il passo citato porta alla memoria l’infelice, ingiustificata, scorretta e presuntuosa opera di revisione, condotta da una commissione di esperti (?) biblisti e teologi, a cui è stato sottoposto il termine greco “eudokìa” = buona volontà, a vantaggio di una variante - di cui non c’è traccia nei Vangeli, che così suona “. . . e pace in terra agli uomini amati dal Signore”.




Qualche lettore riterrà questo nostro intervento eccessivo rispetto alla banalità di cui si è fatta critica e non tanto per il terzo caso dove le variazioni modificano la immutabile parola di Dio – resa nota tramite il sacro scriba – che, per essere divina, gode del privilegio della inerranza, quanto per i due che, in fondo, pur espressivi e connotati dalla goffaggine dell’anfibologia, non rappresentano ostacolo alcuno a una degna e raccolta meditazione. Certamente, e non opponiamo repliche a simile obiezione, tuttavia ci si riconosca il diritto di richiedere, per tali contingenze, lo stile di che s’innerva un eloquio chiaro, univoco, rispettoso della forma sostanziale con cui ogni termine trova la sua giusta collocazione secondo i gradi di una gerarchia, quella che, nella fattispecie degli argomenti trattati, si dà per il proprio intimo significato come “sacro governo, sacra sovranità”.

Se per tematiche di quotidiana cronaca si esige una formalità linguistica congrua, appropriata nel lessico e corretta nella sintassi, perché dovremmo permettere, nelle ricognizioni di ordine spirituale in cui si raggiungono momenti di intima elevazione, uno stile sciatto, bolso ed inespressivo?







novembre 2022

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI