Il tragico circo delle menzogne blasfeme

di Elia


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Bestemmia, menzogna, omicidio, furto e adulterio hanno dilagato e si versa sangue su sangue. Perciò la terra piangerà e tutti i suoi abitanti si indeboliranno […]. Secondo la loro moltitudine, così han peccato contro di me; cambierò la loro gloria in ignominia. […] E sarà come il popolo, così il sacerdote: castigherò su di lui la sua condotta e gli ripagherò i suoi pensieri (Os 4, 2-3.7.9).

Il giudizio pronunciato da Dio per mezzo del profeta Osea è quanto mai attuale.
Lo straripare dei peggiori peccati ha superato i livelli dell’antichità precristiana, in forza di quella legge per la quale chi precipita dall’elevata posizione morale raggiunta ricade più in basso di prima.
L’accusa divina coinvolge tutti i membri del popolo, per numero e per categoria; dalla punizione, di conseguenza, nessuno rimane esentato: neppure le guide religiose, colpevoli non solo delle proprie cattive azioni, ma soprattutto delle proprie false idee, che hanno traviato gli altri.
In cima alla lista dei crimini, per questo, si trovano bestemmia e menzogna: le ideologie (e le ideoteologie) che offendono Dio e, al contempo, ingannano gli uomini; di là derivano omicidi, furti e adultèri che più non si contano, anzi son diventati la norma. La terra, a causa del castigo, è in lutto per il venir meno dei suoi abitanti, già degradati dalla propria indescrivibile decadenza spirituale: l’Occidente un tempo cristiano, rinnegati i princìpi e le virtù che ne costituivano la gloria, esibisce ora le proprie vergogne senza pudore.

La menzogna blasfema che ha causato questo crollo rovinoso si articola su diversi piani.
Il primo è quello della conoscenza: il realismo del pensiero classico e medievale, che corrisponde al retto funzionamento della ragione, è stato rimpiazzato da un nominalismo fumoso in cui i concetti sono ridotti a scatole vuote che ognuno riempie a piacere, fino a stravolgerli completamente. Non è solo il caso dei diritti in ambito civile, ma pure quello dei valori in ambito ecclesiale: la mancanza di adesione al reale ha fatto sì che molte parole, nel giro di pochissimi decenni, venissero a designare l’esatto opposto di ciò che esprimono.
Tale risultato non è certo casuale, ma è frutto di una precisa strategia pianificata almeno dalla fine dell’Ottocento e realizzata nel tempo con metodica costanza mediante l’immenso apparato della propaganda mediatica. Le vittime che ne han riportato i danni più gravi sono – con rare eccezioni – i poveri giovani, completamente risucchiati nel mondo virtuale e indottrinati dalla scuola e dall’università con le assurdità della pseudoscienza.

In campo morale, tale impostazione ha per inevitabile conseguenza la sovversione totale: omicidio, furto e adulterio (come tutti gli altri termini designanti delle colpe) non corrispondono più ad atti concreti, bensì a idee che variano secondo lo spirito del tempo.
È così che perfino la sodomia si è trasformata in scelta non solo ammissibile, ma addirittura eccellente; la peggiore delle perversioni non è più condannata nemmeno dalla gerarchia, anzi appare perfettamente compatibile, stando alle azioni del suo capo, anche con lo stato sacerdotale. L’unico paletto che ancora resiste – almeno per il momento – è quello dell’età, come se lo stesso comportamento deviante fosse riprensibile o meno a seconda che la vittima avesse compiuto o no il diciottesimo anno… Non si coglie più per nulla la spaventosa realtà oggettiva di un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, infligge al prossimo la peggiore forma possibile di oltraggio alla sua dignità e, per la persona di un consacrato, costituisce altresì un orribile sacrilegio.

Tale degradazione del clero è strettamente legata alla menzogna riguardante il piano del culto, la quale ha comportato l’abolizione pratica del Sacrificio. Sebbene la nuova Messa sia valida al di là di ogni ragionevole dubbio (come confermano anche i recenti miracoli eucaristici), il rito “riformato” ne ha completamente oscurato il carattere sacrificale, che di conseguenza non è più percepito dalla grande maggioranza dei chierici e dei fedeli.
Oggettivamente, dunque, il Sacrificio è ancora offerto, ma la coscienza dei cattolici non ne ha generalmente alcuna contezza, essendosi abituata all’idea di una riunione tra amici che deve riuscire il più possibile piacevole e gratificante.
Non avremo certo la presunzione di definire un rito pagano quello in cui ancora, malgrado tutto, il Figlio di Dio si immola al Padre per la nostra salvezza, ma non possiamo neppure ignorare come quasi tutti gli elementi significanti il Sacrificio della Croce siano stati sostituiti con altri che fan pensare a un banchetto fraterno, il cui soggetto è l’assemblea e non più il Cristo agente mediante il sacerdote.

Il cattolico medio ignora ormai del tutto il concetto di redenzione, se non come termine stravagante di una teologia sorpassata; la memoria della Passione è stata completamente rimossa ad esclusivo vantaggio della Risurrezione, che andrebbe attualizzata come liberazione dalla schiavitù non del peccato, ma di un non meglio precisato disagio esistenziale. La liturgia ha il solo scopo di erogare un momentaneo benessere emotivo e di trasmettere un messaggio rassicurante rispetto ai problemi e alle paure dell’uomo postmoderno, una sorta di blando palliativo che allenti per un attimo la morsa dell’angoscia in gente assuefatta al materialismo più soffocante e ridotta a sperare in un progresso puramente immanente.
L’esigenza di associarsi al Sacrificio del Signore, nella Messa, è divenuta qualcosa di incomprensibile, dato che la vita quotidiana non è più un prolungamento di esso nel solco dell’abnegazione e del dono di sé, ma un’incessante ricerca di godimento in una continua fuga da qualunque forma di sforzo o sopportazione che non conceda, come risultato, un immediato sentirsi bene o l’allontanamento di qualche fonte di disturbo.

Da che cosa dovrebbe esser salvato, d’altronde, chi è stato convinto di essere comunque buono e meritevole di rispetto, qualunque cosa faccia o non faccia?
Il discorso viene così a toccare il piano dell’etica, che al pari degli altri ha subìto un radicale stravolgimento: secondo l’idea espressa nella dichiarazione Dignitatis humanae, infatti, nella definizione di ciò che rende degno un uomo è stato rimosso l’elemento del merito e ritenuto esclusivamente il fondamento ontologico. È innegabile che l’essere umano in quanto tale (cioè in quanto creatura ragionevole e libera, fatta ad immagine di Dio) sia di per sé dotato di una dignità superiore a quella di tutti gli altri esseri del mondo visibile e che, di conseguenza, gli sia dovuto un rispetto maggiore di quello riservato ad essi; ma, quando si definisce qualcuno degno, ci si riferisce alla dignità morale da lui acquisita mediante particolari meriti. Se così non fosse, non avrebbe alcun senso che, prima di ordinare un sacerdote, il vescovo domandasse al responsabile della sua formazione: «Sei certo che ne sia degno?».

Quella che purtroppo è diventata una mera interrogazione di rito contiene invece una profonda verità con la correlativa, serissima esigenza: al sacerdozio non deve assolutamente accedere chi non abbia dimostrato, dopo lungo tirocinio, di essere esente dai vizi e di possedere le virtù in grado eminente.
Secondo sant’Alfonso, anzi, chi è schiavo dell’impurità va categoricamente escluso in quanto privo di autentica vocazione; seguendo san Tommaso, la cui sentenza è divenuta dottrina comune, egli afferma in modo perentorio che gli ordini sacri preesigono la santità (cf. Pratica d’amar Gesù Cristo, capo XI).
L’omissione di tale obbligatoria verifica ha causato una decadenza del clero che farebbe impallidire quello del Rinascimento; infatti l’oblio della necessaria dignità morale può avere per conseguenza un’atroce profanazione della dignità ontologica non soltanto di essere umano, ma soprattutto di battezzato, per giunta conformato a Cristo nella dignità sacerdotale ed elevato al di sopra degli altri membri della Chiesa.

Per rendere sia i chierici che i fedeli insensibili alla propria stessa degradazione, si è fatto ricorso all’ennesima menzogna, quella sul piano dell’ascesi: anziché concentrare gli sforzi sulla lotta alle passioni e sulla santificazione dei costumi, li si è rivolti contro bersagli esterni, individuati di volta in volta nella guerra, nelle ingiustizie, nelle discriminazioni e così via. È chiaro che, in tal modo, la nozione di ascesi è stata anch’essa completamente stravolta: in nome di una malintesa libertà, nessun atto individuale può esser giudicato né va corretto, mentre tutte le colpe vengono riversate sulle strutture socio-politico-economiche e su quanti le gestiscono.
La lotta si esaurisce allora nelle pubbliche proteste e nell’espressione del malcontento, a meno che una presunta minaccia alla salute non imponga l’acquiescenza totale ai diktat del potere, trasformatosi in salvatore. Tutte le blasfeme menzogne considerate si risolvono così in un’ipnosi di massa che comanda l’autodistruzione: «Sarà come il popolo, così il sacerdote: castigherò su di lui la sua condotta e gli ripagherò i suoi pensieri» (Os 4, 9).






giugno 2022

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