E, dopo il Natale,
cosa vieterà l’Occidente libero e tollerante?



di Roberto Pecchioli



Pubblicato il 23 dicembre 2022 sul sito
Ricognizioni


 







Buone giornate di fine anno… Ci siamo portati avanti: in Gran Bretagna – orgoglioso impero su cui non tramontava il sole – è vietato augurare il buon Natale. Brutta parola, che nella lingua di Shakespeare e del grugnito coloniale si dice Christmas. Orribile allusione al Fondatore. Di una religione, ma anche di una civiltà, il cui tramonto è una notte senza stelle. Bisogna augurare “buone feste di fine anno”.
Noi, desiderosi di sorpassare il progressismo, eliminiamo anche il riferimento alle festività. Chi ha introdotto il Natale come festa, cancellando e insieme imitando il Solstizio d’inverno della civiltà precedente? Le festività a cui ci apprestiamo sono un’imposizione pagano-cristiana, che offende ed esclude il resto del mondo. Un colpo di cancellino e via, senza contare la mancanza di rispetto a chi non può fare festa, nel senso di non lavorare. Non sia mai che si rechi offesa a una qualsiasi categoria dello sterminato elenco di vittime, oppressi storici, perseguitati “strutturali”.

Buone giornate di fine anno, dunque, pur se il calendario è un’imposizione, una convenzione delle culture dominanti. Perché non scegliere un’altra data, una qualunque, per sorteggio a reti unificate con interruzioni pubblicitarie. 
Nel vangelo di Luca si dice: “gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.  Triplo errore del reazionario evangelista: parla di Dio – entità inesistente, una fake news secondo gli Illuminati di Davos – invoca la pace solo per gli “uomini”, chiaro segno di sessismo maschilista, esclusivamente se “di buona volontà”.

Fortuna che la Chiesa stessa, provvida come sempre, ha pensato di modificare il testo sacro (ma sarà ancora tale?). Pace agli uomini, alle donne, a tutti gli altri generi, suggeriamo noi, “amati dal Signore”, secondo il testo modernizzato.
Altro inciampo: non esistendo, il Signore non può amare nessuno, e se esistesse - poiché, stando alla tradizione, è bontà infinita -  amerebbe tutti: quindi la precisazione è inutile. Povero Luca, per il quale, nel buio di due millenni fa – un’epoca in cui si credeva che i sessi, o generi, fossero due – tutto era chiaro.

Oggi l’Homo Deus autoproclamato, per bocca del dizionario Cambridge, vangelo linguistico dell’Occidente anglofono, avanguardia dell’umanità libera e progressiva, così definisce la donna: “una persona adulta che vive e si identifica come femmina anche se di sesso differente alla nascita”. La natura, la biologia, la tramontata creazione cedono il passo alla volontà soggettiva sovrana. L’impero di Forrest Gump: donna è chi la donna fa.

Maria di Nazareth è una giovane donna oppressa che una narrazione sessista e autoritaria considera la madre terrena di un ebreo palestinese di nome Gesù.
Il racconto evangelico insiste sul fatto che un’entità soprannaturale, un arcangelo inviato da Dio, le chiese di diventare madre con una sorta di procreazione assistita (lo Spirito Santo). Oppressa dal patriarcato, non poté dire di no scegliendo liberamente l’aborto, e la storia prese tutta un’altra piega.

Se pensate che siamo impazziti, ricredetevi.
Una Erinni del movimento Femen che nel 2013 irruppe a Notre Dame a seno scoperto, recando sulle spalle un cartello con la scritta “Il natale è cancellato”, mimò un aborto e concluse lo spettacolino urinando presso l’altare, è stata assolta dalla CEDU – Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – e otterrà un risarcimento. Secondo i giudici (alla cui nomina è tutt’altro che estranea la rete del filantropo Soros) la militante “intendeva trasmettere, in un luogo di culto simbolico, un messaggio relativo alla posizione della Chiesa cattolica su una questione delicata e controversa, ossia il diritto delle donne di avere il libero controllo sul proprio corpo, compreso il diritto di abortire”.

Insomma, meglio avrebbe fatto Maria a rifiutare le avances dello Spirito Santo. Ci saremmo risparmiati duemila anni di guai. Solo nove anni dopo la performance della ragazzotta, la parola Natale è cancellata nel Regno Unito il cui sovrano è capo della religione anglicana di Stato. Attendiamo le mosse del buon re Carlo, che si considera “difensore delle fedi”, al plurale, negando così la verità della fede che rappresenta.
Un luna park che sarebbe divertente se potessimo osservarlo dall’esterno.  

Forse Romolo Augustolo, il ragazzino ultimo imperatore di Roma, è rinato, a meno che non sia stato abortito in nome del “controllo del corpo” e del diritto a disfarsi di cellule sgradite delle donne, che tali sono – parola di Cambridge – se si identificano con il genere femminile anche se si radono ogni mattina e un’anagrafe arretrata li chiama Salvatore o Filippo.
Non c’è nulla di cui ridere e scherzare: quando la follia diventa legge, si assiste al capovolgimento di tutto e viene imposto di chiamare bianco il nero, si può solo reagire e combattere la battaglia della verità, fosse l’ultima azione della vita. Davvero i pazzi guidano i ciechi, cioè i conformisti e gli sciocchi.
Va gridato con tutto il fiato che ci resta che è in corso una gigantesca guerra cognitiva, un’operazione di altissimo livello tesa a cambiare la nostra mente. Una delle modalità decisive è l’uso delle parole (i significanti) per modificare i concetti che esprimono (i significati).

Esplode, deflagra – alimentata dai fuochisti del potere – un’impressionante vergogna del passato di cui siamo figli. L’eredità è rifiutata con orrore e l’esito è l’inversione normativa, con una curiosa eccezione: il nostro tempo conserva un formidabile suprematismo, lo stesso che rimprovera ai padri. La differenza è che è riferito al tempo. Il presente, la “modernità” – cioè il modo odierno prevalente – è perfetto, un utopismo in nome del quale l’uomo di oggi si sente autorizzato a giudicare il passato nella sua totalità, rinnegandolo alla luce delle sue opinioni attuali.

La contraddizione – che scadrebbe nel ridicolo se gli occidentali “risvegliati” si fermassero a riflettere – è che la perfezione presente vale ad horas: il progresso, infatti, non ammette pause, limiti o traguardi. Più di ieri, meno di domani, quando una nuova perfezione “più perfetta” sgominerà l’oggi diventato passato, programmaticamente inservibile. Follia.
Ma è la follia che domina la civilizzazione occidentale. Il lavaggio del cervello di cui siamo vittime, a partire dalle parole e dai concetti, è talmente rapido che milioni di persone neppure se ne avvedono. Altre si limitano a ridacchiare, come se si trattasse di un cabaret televisivo che termina dopo l’ultimo blocco pubblicitario.

Vietare il Natale non fa più notizia. Alcune maestre molisane si sono rifiutate di partecipare a recite e celebrazioni con la consueta, grottesca, motivazione: non bisogna offendere “gli altri”, atei, musulmani o chissà che altro. La verità è un’altra: non celebra se stesso chi ha rinnegato i suoi principi, altro che tolleranza o riguardo.
L’Occidente “risvegliato” non crede più a nulla, tranne al suo nichilismo. L’assenza di verità diventa un assoluto invalicabile, un pensiero debole ma fortissimo, declinato nella forma dell’autoflagellazione, del denudamento progressivo.

Le altre culture, rimaste vive, lo sanno e non solo ci disprezzano, ma ci deridono. Vogliono condividere pezzi della nostra ricchezza declinante, in attesa di impadronirsene. Fanno benissimo. Non hanno migliore alleato di chi ha rinunciato a se stesso, si considera un virtuoso che ha definitivamente smascherato la storia intera come impostura e non aspira che a liberarsene, facendola a brandelli come un oggetto che evoca brutti ricordi.

Resta un’indigeribile ideologia dell’equivalenza, o della “medesimezza”, allergica a tutto ciò che specifica, identifica, volta “alla cancellazione pura e semplice di tutte le differenze, alla neutralizzazione del mondo e alla cancellazione delle comunità, in nome di una visione puramente matematica e sradicante dell’uguaglianza.” (A. De Benoist).
Il suo motore è l’idea di Unico: tutto ciò che non sopporta l’Altro e riduce ogni cosa all’unità proibendo qualsiasi criterio di valore.

L’Università di Stanford – altro santuario della cultura “risvegliata” – ha messo a punto un glossario che sembra l’ideale conclusione del politicamente (ed eticamente) corretto, un monumento all’Unico e all’Equivalente. Vale la pena di esaminarlo, anche perché è una delle ultime prestazioni intellettuali di una civilizzazione suicida.
Chi vuol morire, prima o poi ci riesce, e nulla cambia se chiama eutanasia – buona morte – la sua meritata scomparsa. La nuova guerra degli accademici di servizio (impazziti perché Dio toglie il senno a chi vuole perdere, ma assai ben retribuiti) ha come primi bersagli i pronomi personali: non si dovrà dire lui o lei, ma “loro” (they, in globish). Meglio ancora, si dovrà far precedere la conversazione dalla domanda: con quale pronome vuoi essere chiamato?

Nelle lingue neolatine, il dilemma persiste, poiché la frase prevede la scelta del genere grammaticale. Maschile o femminile: non si scappa, a meno di inventare un neutro inesistente. Pazzia linguistica al servizio di un’ingegneria antropologica che spaventa per il suo carico di violenza e assertività. Una risata li seppellirà, proclamava il Sessantotto contestando la vecchia società. Temiamo che non basti. Serve una rivolta morale, impossibile da animare in popoli narcotizzati, addomesticati, greggi disciplinati pronti ad applaudire.

Ad esempio che venga proscritta perfino la parola “americano”, da sostituire con “cittadino degli Stati Uniti” per non avvilire il resto del continente. Pollice verso per il termine “abortito” se indica qualcosa che è cancellato o finisce: potrebbe determinare preoccupazioni morali o religiose sull’aborto, che va chiamato IVG, acronimo di interruzione volontaria di gravidanza. L’immigrato non potrà essere definito così. La ricerca affannosa di una denominazione alternativa si arena in “persona che è immigrata”, “non cittadino”.

Tortuose circonlocuzioni sostituiscono parole chiare e nette, che orientano, definiscono e giudicano, poiché il giudizio, ossia il pensiero, è ciò che caratterizza la creatura umana. Neppure “paraplegico” è termine accettabile. Ecco il solito giro di parole: persona con una lesione al midollo spinale. In attesa di introiettare i nuovi modelli mentali, meglio munirsi di un prontuario per tutte le occasioni.

In un intervento pubblico, si potrebbe commettere l’errore di rivolgersi a “signore e signori”. Proibito: meglio “tutti”, che in inglese va benissimo (all) ma nella nostra lingua rischia di alimentare nuove permalose discussioni sul genere maschile oppressivo e discriminatorio.
Preoccupati di ostentare assoluta neutralità, a Stanford consigliano di non usare l’espressione “suicida”, piuttosto “morto suicida”, per non “banalizzare le esperienze estreme di persone che vivono in condizioni precarie di salute mentale”. Deve essere la condizione che lorsignori vogliono per tutti noi.

Il Dio della Bibbia, il dittatore che consegnò a Mosè le tavole della legge, cioè affermò che il bene e il male procedono da lui, colpì l’orgogliosa Babilonia facendo sì che nessuno comprendesse il linguaggio altrui.
Piaccia o meno, la guerra cognitiva e valoriale di cui viviamo una fase acutissima con prognosi severa è essenzialmente una lotta di civiltà.
La nostra era improntata dall’eredità classica e cristiana. Ecco perché odiano tanto il Natale, la Pasqua e le parole che rappresentano riti, credenze, principi di millenni di storia. Se non capiamo almeno questo – al di là del contenuto veritativo del cristianesimo – non abbiamo speranza di risveglio e riscatto.

La nebbia copriva la terra” è l’incipit di Vita e destino di Vasilij Grossman. Il grande romanzo avverte che “la verità è una. Una sola, non due. Perché un pezzo di verità non è più verità”. Il bianco resta bianco, qualunque nome gli si voglia attribuire, il bene non si trasforma in male per volontà delle classi dominanti di un determinato tempo. Grossman pagò cara la sua opposizione al regime sovietico e il manoscritto di Vita e destino fu salvato miracolosamente. Il suo testamento spirituale può essere riassunto in una frase. “Non c’è niente di peggio dell’essere figliastri del proprio tempo. Non c’è sorte peggiore di chi vive in un tempo non suo”.

Figliastri, ma eredi. Perciò, buon Natale – con la maiuscola - a tutti coloro che amano la verità, a chi resta libero senza regalare cuore, corpo e cervello a un potere assassino di anime. E orribili, pessime giornate – e un peggiore 2023 (dopo Cristo) – a chi augura “buone feste di fine anno”.



dicembre 2022
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