ORA ET LABORA!

Contro Il “Disimpegno”
Né “attivismo” né “quietismo”


di
Don Curzio Nitoglia
 



Monaci Benedettini


I due errori per eccesso e per difetto in generale


A - L’«Attivismo»

Occorre superare la tendenza di sopravvalutare l’Attivismo esteriore, sia nel campo individuale strettamente ascetico sia in quello dell’apostolato sociale spirituale o politico, a discapito della vita contemplativa della singola anima.

Questa tendenza all’Attivismo sia politico sia ascetico/spirituale, più che nella teoria (ove si chiama Americanismo o Modernismo ascetico, condannato da Leone XIII nell’Enciclica Testem benevolentiae nostrae, 22 gennaio 1899) oggi si manifesta soprattutto nella pratica vissuta e non più teorizzata come un secolo fa.

Tuttavia, proprio perché sprovvisto di una giustificazione dottrinale o teoretica, l’Attivismo pratico (a differenza dell’Americanismo o Attivismo dottrinale) è più insidioso perché è meno definibile, identificabile, individuabile e, quindi, più difficilmente condannabile.

Insomma, l’Attivismo politico o spirituale rappresenta il primato della prassi e dell’azione esteriore - non solo individuale ma anche e forse soprattutto sociale - sulla vita contemplativa. Dom Jean-Baptiste Chautard (L’anima di ogni apostolato, 1907) lo chiamava “l’eresia dell’azione”.

Inoltre, questa “iperattività” spesso è dissociata dai princìpi razionali o filosofico/metafisici e soprattutto soprannaturali dogmatici, morali e spirituali; in questo caso, essa è il “primato della prassi” che caratterizzava la filosofia marxista, traslato non solo nell’attività socio/politica ma anche nella pratica religiosa “cristiana” (vedi la “teologia della liberazione”), in cui se una teoria si conforma al modo di agire della rivoluzione marxista o modernista è vera, altrimenti è falsa.

B - L’«In/attivismo»

Tuttavia, il Cristianesimo se non è Attivismo sfrenato non è neppure inattività. Per evitare l’eccesso del solo Attivismo non bisogna cadere nel difetto dell’inattività. Ogni eccesso è un difetto e viceversa. “In medio stat virtus”.  La verità, perciò, si colloca tra due errori, che stanno come due burroni attorno a una montagna, la quale si erge nel “giusto medio di altezza e non di mediocrità” (Reginaldo Garrigou-Lagrange) tra il burrone (o l’errore) per eccesso e quello per difetto.

Infatti, il Cristianesimo e il cristiano sono chiamati ad attuare anche con l’azione (individuale e sociale, ascetica e politica), oltre che con la preghiera, il Regno di Dio nell’anima e nel mondo. Perciò, la vita attiva non va disprezzata, ma deve essere messa al posto giusto: il primato spetta alla vita contemplativa che è superiore a quella attiva, anche se l’ideale sarebbe l’unione di vita contemplativa e attiva, la quale è il coronamento della prima e perciò non solo non può essere disprezzata, ma sommamente tenuta in considerazione se vivificata dalla contemplazione (S. Th., II-II, q. 179 - 182).

La Chiesa è il “Corpo mistico di Cristo” (Col., I, 18); perciò, ogni membro di essa deve essere vivo e attivo per mantenere tutto il Corpo in buona salute e persino in vita; Aristotele insegnava: “Vita est in motu seu est movere seipsum”. L’inattività è sinonimo di mancanza di vita ossia di morte, spirituale e politica, individuale e sociale.

Il motto che riassume questa dottrina lo troviamo rivelato in san Paolo: “Io ho faticato più di tutti gli altri, però non io da solo ma la grazia di Dio con me” (I Cor.,  XV, 10). L’Apostolo delle Genti ha percorso circa 8 mila chilometri a piedi e oltre 9 mila con le navi in circa 30 anni di vita.

Dom Chautard parla di Attivismo sociale/politico o apostolico/ascetico quando si cerca di dare, non solo il primato all’azione, ma addirittura di ridurre tutta la vita “cristiana” ascetica/ mistica e politica (1)  - sia per la singola anima sia per l’apostolato pubblico - alla sola azione, eliminando completamente ogni richiamo alla vita ascetica e mistica, che invece, secondo san Tommaso d’Aquino si divide in tre fasi o tappe consecutive: 1°) la via purgativa o dei principianti, che si purgano dal peccato mortale, osservano i Comandamenti e fanno meditazione discorsiva; 2°) la via illuminativa o dei progredenti, che progrediscono nella santità, imitando le virtù di Cristo, la “Luce di questo mondo”, liberandosi pure dal peccato veniale e facendo meditazione affettiva; 3°) la via unitiva o dei prefetti, che si uniscono perfettamente a Dio, non solo con l’esercizio delle virtù, ma sotto l’influsso abituale e predominante dei sette Doni dello Spirito Santo toccano il vertice della santità (S. Th., II-II, q. 24, a. 9).

Invece, secondo l’insegnamento di Gesù, degli Apostoli, dei Padri e dei Dottori della Chiesa la vita attiva (sia spirituale che socio/politica) «deve procedere dalla vita contemplativa, continuarla di fuori e distaccarsene il meno possibile» (Dom J-B. CHAUTARD, L’anima di ogni apostolato, cit., p. 71).

Tuttavia, lo stesso Abate trappista, se da una parte si premura di non farci cadere nell’eresia dell’azione o Attivismo, dall’altra parte evita lo scoglio dell’«in/attivismo» o Quietismo. Infatti, «come l’amore di Dio si rivela con gli atti della vita interiore; così l’amore del prossimo si manifesta con le operazioni della vita attiva o esteriore e perciò, non potendosi separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, ne risulta che queste due forme di vita (attiva e contemplativa) non possono stare l’una senza l’altra» (S. ISIDORO DA SIVIGLIA, De differentiis, Lib. II, cap. XXXIV, n. 135). Come la Carità soprannaturale è una sola, ma ha due oggetti subordinati l’uno all’altro: l’amore del prossimo beneamato propter Deum, così, la vita spirituale è una sola e ha due oggetti gerarchizzati: la vita attiva e quella contemplativa, di modo che la prima predisponga alla seconda essendole subordinata e la seconda si diffonda nell’azione esterna o apostolica, ultima perfezione della contemplazione.    

Perciò, commenta Dom Chautard, «le due vite, non soltanto non si escludono a vicenda, ma si completano, pur essendo la contemplazione la più perfetta» (p. 78).

Inoltre, come spiega Dom Chautard che commenta la Somma Teologica (III, q. 67, a. 2, ad 1): «L’unione delle due vite, contemplativa e attiva, costituisce il vero apostolato, opera principale del Cristianesimo». Insomma, se l’Attivismo è un errore pernicioso e distruttivo della vita interiore, non meno grave e l’«in/attivismo» o Quietismo, che scinde la vita attiva da quella contemplativa. Ora, non si corregge un errore (Attivismo) con un altro errore (“in/attivismo”). Infatti, «la vita in sé più perfetta è l’unione della vita attiva e contemplativa, che va preferita alla sola contemplazione. […]. Contemplare la verità è cosa buona, ma il comunicarla agli altri è meglio ancora; riflettere sugli altri la luce è meglio che il riceverla soltanto; rischiarare una stanza è meglio che risplendere sotto il moggio (cfr. S. Th., II-II, q. 188, a. 6)» (Dom CHAUTARD, cit., p. 84-85).

Insomma, se l’ideale è «contemplari et contemplata aliis tradere», non bisogna cadere né nell’errore del «tantum aliis tradere et nihil contemplari», ma neppure in quello del «contemplari et contemplata sibi conservare, sine nihil facere».  


L’errore per difetto in maniera specifica:

Il Quietismo

È una tendenza pseudo/mistica, che ripone la perfezione nella contemplazione passiva, in cui l’anima rinunzia alla sua libera attività anche nella pratica delle Virtù, al controllo della sensualità e delle passioni, sino al punto di conciliare il più basso sensualismo con l’adesione “misticoide” a Dio.
Il Quietismo disprezza l’ascetica. In Spagna si diffuse sin dal Cinquecento con la setta degli Alumbrados (Illuminati), in Francia con François Fénelon († 1715) e madame Jeanne Marie Guyon († 1717), “un’esaltata, che al misticismo contemplativo univa il misticismo sensuale, con la teoria della passività dell’anima nelle tentazioni e nei peccati di lussuria” (2) , in Italia fu fatta conoscere per opera dello spagnolo Miguel Molinos, che visse e morì a Roma († 1696).

Il pervertimento della passività o non-resistenza dell’uomo alla Grazia speciale del Paraclito, estesa anche alla pratica delle Virtù e alla lotta contro il male, è l’essenza della falsa mistica e del Quietismo.
Nei primi secoli della Chiesa il Montanismo (3) cadde in eccessi perniciosi dal punto di vista dommatico, ascetico e anche morale. Nel medioevo i Begardi (4) e le Beguine conobbero consimili deviazioni e disordini. Nell’epoca moderna dal Quietismo procede l’Americanismo (5) , ossia il Modernismo ascetico. Il Quietismo ha conosciuto varie forme: le più note sono quella più radicale e quella moderata o semi/quietista.


I - Quietismo radicale

Ha origine con Miguel Molinos (6) , nato in Spagna nel 1640 ma vissuto soprattutto a Roma, ove disseminò i suoi errori mediante le sue opere principali La guida spirituale e L’orazione di quiete, condannate da Innocenzo XI (Costituzione Coelestis Pastor, 19 novembre 1687, DB 1221-1288).
Secondo Molinos, la vita cristiana e la perfezione o mistica consistono nell’assoluta passività dell’anima umana, la quale, è dispensata anche dal resistere alle tentazioni; il suo motto precorre quello del Liberismo economico: “Laissez faire”, ma trasposto nella religione: “Lasciamo fare tutto e solo a Dio”, e toccherà l’apice nel Liberalismo o Modernismo ascetico chiamato da Leone XIII Americanismo. Secondo Molinos vi è una sola via che è quella mistica o dei perfetti, alla quale ci si arriva da sé, con le proprie forze. Onde per lui la vita spirituale s’inizia con la via unitiva, che per la Chiesa, invece, è la terza e ultima e alla quale si giunge dopo una lunga vita ascetica (prima e seconda via, degli incipienti e dei progredenti).

Secondo Molinos, nella via quietista - che è assolutamente passiva - si vive abitualmente nella contemplazione infusa. Siccome la contemplazione è perpetua, per Molinos, l’anima è dispensata da tutti gli atti espliciti di Virtù, dalla resistenza alle tentazioni e dalla mortificazione. Si giunge quindi, immancabilmente, a dei disordini morali, poiché l’uomo ferito dal peccato originale mantiene sempre in sé sino alla morte il fomes peccati, che è la tendenza al male morale, cui deve resistere non soltanto negativamente non facendo il male, ma anche positivamente ponendo atti di Virtù. Invece, per il Quietismo il misticoide è talmente perfetto da non poter più peccare e, quindi, non deve curarsi delle tentazioni cui è sicuro di non dare mai il consenso della volontà, presumendo di essere confermato in Grazia, anche se compie esteriormente atti oggettivamente immorali.


II - Quietismo moderato

Il Quietismo di Molinos detto anche Molinosismo (da non confondere con il Molinismo) fu ripreso e temperato, per sfuggire alle condanne della Chiesa, da madame Jeanne Marie Guyon, da padre Lacombe e monsignor François Fénelon, il quale sistematizzò e addolcì da certi eccessi la pietà sentimentalistica e fantasiosa dell’amor puro o disinteressato della signora Guyon nel suo libro Maximes des Saints del 1697. In esso Fénelon sosteneva che la perfezione consiste nello stato abituale di puro amore di Dio, disinteressato o senza la Speranza del Paradiso, che guasterebbe il puro Amor di Dio. Inoltre, l’anima perfetta deve essere indifferente alla pratica delle Virtù e all’Umanità di Gesù Cristo. Tali proposizioni furono condannate nel 1699 da Innocenzo XII (DB 1327-1349), poiché sostanzialmente identiche a quelle di Molinos anche se espresse, quanto al modo, in maniera meno radicale o più moderata.


La sana dottrina su “vita attiva e contemplativa” spiegata da:

I - San Tommaso d’Aquino


L’Angelico, scrivendo Sulla vita attiva e contemplativa (S. Th., II-II, q. 179), insegna che “la vita umana è divisa in attiva e contemplativa, poiché alcuni tendono soprattutto alla contemplazione della verità, mentre altri alle occupazioni esterne” (S. Th., II-II, q. 179, a. 1, in corpore).

Tuttavia, egli specifica che, se la “contemplazione - rispetto all’attività esteriore - dice quiete; invece, lo stesso contemplare è pure un movimento dell’intelletto” (Ibid., ad 3). Perciò, anche la vita contemplativa non è senza una certa attività e movimento intellettivo e volitivo.

Nella questione 180, Sulla vita contemplativa (articolo 1, in corpore), l’Aquinate specifica che la contemplazione della verità - se si considera l’essenza del suo atto  - appartiene all’intelletto; ma, se si considera ciò che muove alla produzione dell’atto intellettivo allora la vita contemplativa appartiene alla volontà, perché, il tendere verso un fine è un atto di volontà; ora, la volontà muove anche l’intelletto alla conoscenza del suo oggetto che è la verità. Perciò, nella vita contemplativa, pure la volontà gioca un grande ruolo, assieme all’intelletto.

Giustamente San Gregorio pone l’essenza della vita contemplativa nella Carità verso Dio, poiché l’amore verso Dio c’infiamma a contemplare. Invece, la vita attiva consiste essenzialmente nell’amore del prossimo ma, amato propter Deum. Ora, l’amore sia del prossimo sia di Dio è elicitato dalla volontà.

Nel secondo articolo l’Angelico spiega che le virtù morali, benché non siano l’essenza della vita contemplativa, in quanto la contemplazione è finalizzata alla considerazione o alla conoscenza della verità e le virtù morali a bene agire, tuttavia appartengono ad essa dispositivamente, poiché frenano le passioni che impediscono la vita contemplativa e perciò predispongono l’anima alla contemplazione.

Inoltre (q. 180, a. 7), la vita contemplativa è la vita più nobile poiché consiste nella conoscenza amorosa di Dio, che è la più alta operazione umana ed essa ha la sua radice nell’amore di Dio.

Nella questione 181 Sulla vita attiva san Tommaso insegna che le virtù morali che hanno come oggetto il vivere bene moralmente appartengono alla vita attiva, poiché il suo fine è l’azione (a. 1). Perciò, pure l’insegnamento della verità appartiene alla vita attiva, in quanto, insegnare è un’azione che intercorre tra maestro e scolaro e consiste nel conoscere e nel far conoscere per agire bene; infatti, “conoscere per agire” appartiene alla scienza pratica. Tuttavia, quando la docenza giunge a contemplare la verità amata (sia appresa sia insegnata agli altri), allora essa appartiene alla vita contemplativa (a. 3), poiché “conoscere per sapere e contemplare” appartiene alla scienza teoretica o speculativa.

Nella questione 182 Sul confronto tra le due vite l’Aquinate spiega che la vita contemplativa è migliore di quella attiva (a. 1); tuttavia, le necessità della vita mortale esigono maggiormente la vita attiva. Inoltre, la vita contemplativa è più meritoria della vita attiva, perché si riferisce direttamente all’amore di Dio, che è più nobile dell’amor del prossimo, il quale è finalizzato direttamente alla vita attiva. Tuttavia, se uno per la sovrabbondanza della vita contemplativa e dell’amor di Dio si dedica anche e consecutivamente alla vita attiva, allora l’unione delle due vite è ancora più perfetto della sola vita puramente  contemplativa (a. 2). L’ideale è dunque: “Contemplari et contemplata aliis tradere”.
Infatti, i grandi santi contemplativi hanno riversato sulle altre anime la luce ricevuta dall’Alto: “Illuminare è più nobile che splendere soltanto / magis est illuminare aliis quam splendescere in se ipso” (q. 188, a. 6). Non a caso Gesù ha scelto per sé la vita apostolica (S. Th., III, q. 40), ossia mista di contemplazione e di azione: «Di suo la vita contemplativa è superiore a quella attiva, occupata in attività materiali. Tuttavia; la vita attiva, con la quale uno - predicando e insegnando - comunica agli altri le verità che egli ha già contemplato, è più perfetta della vita in cui si contempla soltanto. Infatti, la vita mista di contemplazione e azione presuppone la pienezza della contemplazione. Et ideo Christus talem vitam elegit» (a. 1). Perciò, la vita mista, ossia sintesi di contemplazione e di azione nella quale il contemplare ridonda nell’agire, tramite l’insegnamento e la predicazione, è quella più perfetta.

Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange scrive: «Relativamente alla perfezione cristiana, san Tommaso distingue tre specie di vita: la vita contemplativa, la vita attiva e la vita mista o apostolica (S. Th., II-II, q. 179 seg.). Infatti, alcuni si dedicano specialmente e prevalentemente alla contemplazione delle cose divine; altri alle opere esteriori di misericordia verso il prossimo; mentre gli apostoli si danno all’insegnamento e alla predicazione della Rivelazione divina, che devono scaturire dalla contemplazione (q. 188). Ora, se la vita attiva, con l’esercizio delle virtù morali, predispone alla contemplazione, disciplinando le passioni e pacificando l’anima. Tuttavia, la vita contemplativa unisce più direttamente e immediatamente a Dio, perciò in se stessa è più nobile della vita attiva. In fine, la vita mista o apostolica è ancora più perfetta, ossia più completa della vita puramente contemplativa, poiché è più perfetto illuminare gli altri che essere illuminati e risplendere in sé. La vera vita apostolica deriva dalla pienezza della contemplazione (q. 188, a. 6)» (R. GARRIGOU-LAGRANGE, La sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 373; cfr. ID., Perfezione cristiana e contemplazione, 2 voll., Parigi, 1923; ID., Trattato di teologia ascetica e mistica: Le tre età della vita interiore, 2 voll., Parigi, 1938-39).

Ancora padre Garrigou-Lagrange, commentando la Somma Teologica scrive: «Sebbene l’intelligenza in sé sia superiore alla volontà che essa illumina e dirige; tuttavia, quaggiù la conoscenza di Dio è inferiore all’amore di Lui: “Melior est in via amor Dei, quam Dei cognitio” (S. Th., I, q. 82, a. 3), perché quando noi quaggiù conosciamo Dio, in un certo modo Lo attiriamo verso di noi e per rappresentarcelo Gl’imponiamo i limiti delle nostre idee umane e, perciò stesso, limitate; invece, quando Lo amiamo siamo elevati e attratti verso di Lui così come Egli è in Sé. Quindi, sino a che non avremo la Visione Beatifica, l’amore di Dio è più perfetto della conoscenza che possiamo avere di Lui. Se l’amore suppone la conoscenza (“nihil volitum nisi praecognitum”); tuttavia, la supera e il nostro amore di carità soprannaturale “raggiunge Dio immediatamente, immediatamente aderisce a Lui e poi discende da Dio al prossimo” (S. Th., II-II, q. 27, a. 4)» (La sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 372). 

Al terzo articolo san Tommaso spiega che la vita attiva, che s’occupa principalmente delle attività esteriori, potrebbe essere d’impedimento alla vita contemplativa; ma, se essa moderasse - con le virtù morali - le passioni umane, che impediscono la contemplazione, allora gioverebbe non poco alla contemplazione.

Poi (a. 4) scrive che a) cronologicamente viene prima la vita attiva, che dispone alla contemplazione; tuttavia, b) ontologicamente, viene prima la vita contemplativa, che è il fine della vita attiva.


II - Dom Jean-Baptiste Chautard

Dom Chautard era un trappista, quindi portato alla contemplazione ma ha avuto anche un ruolo apostolico e sociale non indifferente. Egli nel suo capolavoro L’anima di ogni apostolato, che era il libro preferito di san Pio X, ha certamente condannato l’Attivismo, ossia l’Americanismo o Modernismo ascetico, ha messo bene in rilevo l’eccellenza della vita contemplativa, che può sfociare nella vita apostolica e trovare in essa il suo perfezionamento ultimo; però, non ha svalutato la vita attiva come propaggine dell’abbondanza di quella contemplativa.

Conclusione

Oggi tre errori serpeggiano in ambiente ecclesiale e cercano di soffocare la reazione agli errori precipui dell’ora presente; essi sono: ) il “disimpegno”; 2°) il “silenzio sotto apparenza mistica”; 3°) il mito del “Buon Pastore immaginario” che lascia fare al lupo.

Vediamoli uno per volta:

I - Il «Disimpegno»

Sùbito dopo la morte di Pio XII, durante gli anni Sessanta, la “scuola di Bologna” (don Dossetti e il cardinal Lercaro, sostenuti dall’allora monsignor Montini), ebbe la brillante idea - che denominò “disimpegno dalla vita pubblica politica” - di ritirarsi nel silenzio (almeno di fronte all’errore e al vizio) e nella contemplazione, lasciando, così, lo spazio, il posto e il tempo al Comunismo permettendogli di occupare, senza colpo ferire, la scena della vita pubblica e sociale che essa aveva disertato.

Oggi il clero cattolico - nella maggior parte dei casi, tranne qualche lodevole eccezione - non fa più processioni religiose, che sono sorpassate perché andrebbero contro la dottrina del “disimpegno sociale”; non combatte il Nuovo Ordine Mondiale anticristiano; non s’impegna più nella disputa dottrinale e nel dibattito filosofico/teologico contro gli errori precipui dell’era attuale.

Questi, dal punto di vista teologico, sono sostanzialmente: i Decreti del Concilio Vaticano II, il Novus Ordo Missae del 1969, gli insegnamenti e gli atti della dottrina postconciliare (sinagoga di Magonza, 1980; sinagoga di Roma, 1986; giornata interreligiosa di Assisi 1986…, Pachamama 2018 - Astana 2020).

I pericoli socio/politici e filosofici che attanagliano l’uomo contemporaneo sono principalmente: a) la Guerra batteriologica partita da Wuhan che, dal 2020 al 2022, ha reso il mondo intero un enorme “campo di concentramento”; b) la guerra convenzionale armata tra Russia e Nato tramite l’Ucraina, che rischia di polverizzare tre quarti del globo terraqueo; c) questi due pericoli pratici sono sostenuti da e finalizzati a un errore teoretico: il Trans/umanesimo luciferino.

Perciò, le vecchie processioni e le polemiche teologiche di stampo preconciliare sono state rimpiazzate dai famigerati “pride” laici o “pretigni”; ossia le “processioni laiche” o dei “cristiani adulti” in cui si bestemmia la Madonna Immacolata, Gesù, la vita, s’inneggia a satana, s’incita all’aborto, all’eutanasia, al gender e al consumo delle droghe; insomma, ai pilastri portanti sui quali si vorrebbe fondare il Nuovo Ordine Mondiale trans/umanista.

Ecco dove porta la teoria del solo e puro silenzio “contemplativo”, della sola preghiera senza lotta dottrinale, senza azione sociale sia religiosa che politica. La Santa Scrittura scrive di Davide, che abbatté Golia “in funda, in lapide et in nomine Domini” (I Sam., XVII, 40 seg.), non solo nel nome di Dio, ma con l’aiuto del sasso e della fionda. 

Padre Reginaldo Pizzorni insegna: “Il cristiano non deve sempre tirarsi indietro, far la parte del moderato, del perennemente condannato alla perplessità, all’astensione, al silenzio e all’impotenza, lasciando così praticamente le fila del movimento della storia in mano a coloro che sono meno dotati di scrupoli; il cristiano, quindi, non deve rifiutare di usare la forza giusta, quando sia necessario in modo assoluto” (R. PIZZORNI, Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso, Bologna, ESD, 2000, pag. 358).

Occorre, perciò confutare e contrastare - concretamente, pubblicamente e socialmente - il Trans/umanesimo del Nuovo Ordine Mondiale, in teoria e in pratica; rovesciare tale modo di vita sovversivo e rivoluzionato; fare la storia piuttosto che subirla passivamente, e tentare di creare le condizioni di un vivere sociale, che faciliti quello spirituale: il Regno sociale di Cristo, che altrimenti sarà rimpiazzato dal “Regno sociale di satana”.

“La Grazia presuppone la natura, la perfeziona e non la distrugge” (san Tommaso); così, la Fede diffusa presuppone l’umanità civilizzata (7) , la perfeziona, la mantiene in vita e non la deve distruggere; parimenti la vita di preghiera presuppone la vita familiare, sociale e politica, la perfeziona e non la deve annientare.

L’Uomo è un animale naturalmente socievole: perciò, abbandonare la vita sociale e rifugiarsi nella sola preghiera è contro/natura. Da ciò nasce la necessità d’insegnare, oggi più che mai, la dottrina sociale della Chiesa e di non rinchiudersi nelle sacrestie, come volevano i cattolici/liberali, mascherando tale cedimento al Liberalismo sotto un eccessivo “spiritualismo disincarnato” o “angelismo”, il cui motto è “non bisogna fare politica!”, occorre “disimpegnarsi”; bisogna soltanto tacere, senza immischiarsi della vita sociale e politica. Invece, la realtà, e quindi la verità, è che l’uomo è composto di anima e di corpo, che è un animale naturalmente razionale e anche sociale ossia politico, fatto per vivere in Societas o in Polis, e non è un angelo, un ente disincarnato o un monaco, che vive isolato. I monaci sono casi “eccezionali” ed “eroici” che confermano la regola.

Perciò, è una degenerazione pratica - sostenuta da un errore teoretico - voler eliminare l’elemento sociale dalla natura umana, che invece è stata creata da Dio naturalmente socievole (ARISTOTELE, Politica, VI; SAN TOMMASO D’AQUINO, De regimine principum, lib. I, cap. 14) e di voler rendere l’uomo solo un singolo individuo anche pio e spirituale (come il Liberalismo individualista) ma, senza spazio sociale e politico per indirizzarlo verso una vita di religiosità o “spiritualità” puramente intimistica, disincarnata e innaturale e perfino religiosamente contro/natura.

Il “disimpegno politico” o il “reflusso nella spiritualità disincarnata” è la trasposizione logica dell’Americanismo all’epoca odierna. Infatti, secondo monsignor Delassus (H. DELASSUS, L’Américanisme et la Conjuration antichrétienne, Lilla-Parigi, Desclée De Brouwer, 1899, p. 25) ciò che caratterizza l’Americanismo è la volontà di sostituire la «polemica» (polemikòs = attinente alla lotta e alla disputa dottrinale) con l’«irenica» (eirenikòs = che riguarda la pace o meglio il pacifismo, la tolleranza e la conciliazione teoretica e morale ad oltranza).

Perciò, ci si astiene da ogni polemica, lotta o disputa dottrinale contro l’errore e si pratica il “silenzio orante”, la tolleranza per principio di ogni male. Questo è il male dell’uomo odierno. Gli slogan per evitare la polemica sono vari: “Occorre non prestare il fianco alla critica, non esagerare, non dividere il fronte conservatore, non sparare a destra e, infine, bisogna tacere come san Giuseppe…”.


Le “mezze verità” son più pericolose dell’errore manifesto

In realtà, si ha orrore della sana e corretta disputa e si preferisce adagiarsi nell’irenismo, nel “disimpegno” o “astensionismo” da qualsiasi intervento in difesa della sana dottrina.

Ora, questa è un’attitudine simile a quella che tenne Caino, quando Dio gli chiese: “Dove sta Abele tuo fratello?” Ed egli rispose: “Son forse io il guardiano di mio fratello?”.

Il catto/liberalismo o il social/modernismo, confondono volutamente e scientificamente principi e pratica, così formulano delle “mezze verità” che sono più pericolose dell’errore manifesto, poiché esse sono nascoste e segrete, come il Modernismo qualificato come “foedus clandesinum” o “setta segreta” da san Pio X (Sacrorum Antistitum, 1° settembre 1910).

Se si traspone la prudenza dell’agire nell’ordine dell’essere, dei princìpi o della verità, mediante mezze-verità o termini equivoci, ambigui, sfumati, imprecisi, i quali volutamente non sono esplicitamente erronei, allora si cade in un errore che è ancora più pericoloso per la sana ragione e la purezza della Fede.

Coloro che di fronte all’errore, invece di condannarlo, smascherarlo o disapprovarlo apertamente, tacciono o cercano un accomodamento, un compromesso teoretico tra verità e falsità, sotto apparenza di apostolato, spiritualità, discrezionalità,  pastoralità, prudenzialità (8) , sono più pericolosi di chi professa apertamente l’errore.

Le mezze-verità, la vaghezza, l’imprecisione, l’indecisione, il pressappochismo o l’indefinibilità dottrinale sono la “quinta colonna” o il nemico che si presenta da amico, il cavallo di Troia, il lupo vestito da agnello che penetra - grazie al suo camuffamento - nel cuore della Chiesa e la vuole cambiare dal didentro, come dice il “Programma dei Modernisti” (1906) attribuito ad Antonio Fogazzaro ed Ernesto Buonaiuti.

Il Delassus definisce l’Americanismo “Compromesso con le mezze-verità, concessioni all’errore, mutilazione e annacquamento del dogma, attenuazione del soprannaturale e faciloneria dottrinale e morale di ogni specie” (p. 226).

Egli propone, quindi, il rimedio a tanto male: “Evitare lo scoraggiamento, come attitudine di coloro, che sanno e conoscono la realtà, ma non hanno il coraggio di reagire. Dunque, mai incrociare le mani, rinunciando alla lotta e alla sana e corretta polemica; anzi, occorre impiegarle per la preghiera, la penitenza e l’azione culturale con tutte le conseguenze pratiche, anche con la vis polemica e certe volte, in casi estremi, anche con la forza (come successe in Messico nel 1926/1929). Occorre essere circospetti per non prestare, neppure involontariamente, aiuto all’Americanismo, che è una forma di Modernismo spirituale e ascetico o di Cattolicesimo/liberale. Quindi, non bisogna predicare il ‘Benessere’ come fine ultimo, il successo in questo mondo, la trasfigurazione del corpo umano, la preoccupazione disordinata degli interessi umani, l’abolizione delle barriere tra religioni e culture, la cessazione della polemica per sostituirle l’irenica,  l’annacquamento del dogma a favore di una dottrina e moralità soggettiva, la conciliazione tra lo spirito di Cristo e quello del mondo” (pp. 262-265). Anzi occorre combatterle “con le unghie e con i denti”. 

Il padre gesuita Andrea Oddone (9) , nel 1944-45, ha scritto - rifacendosi alla dottrina insegnata da san Tommaso d’Aquino - che la resistenza passiva è sempre lecita nei riguardi di una legge ingiusta (per quanto ci riguarda oggi, si va dall’aborto nel 1978 sino alla trans/fobia nel 2020). La resistenza attiva legale, in casi in cui la religione rivelata e la legge naturale sono messe in pericolo, non solo è lecita ma anzi occorre “deplorare, come insegna Leone XIII (nell’Enciclica Sapientiae christianae del 1890), l’attitudine di coloro, che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”. 

La resistenza passiva consiste nella non esecuzione della legge ingiusta (l’obbligo di vaccini con feti abortivi e microchip, di educazione omosessuale dei bambini a scuola…), fino a che non vi si è costretti con la forza (TSO); ma nel caso in cui la legge ingiusta comandi qualcosa di peccaminoso, ossia “un atto intrinsecamente cattivo in sé, allora la resistenza non solo è permessa, ma è sempre obbligatoria; non si possono eseguire ordini criminali” (10) .
In breve, occorre resistere come difronte a un tentativo di violenza carnale (si veda il caso di santa Maria Goretti, che resistette e si fece martirizzare, il 6 luglio 1902 a Nettuno, per non subire la violenza carnale).

La resistenza attiva non violenta consiste in un’opposizione positiva alla legge ingiusta, compiuta sul terreno delle leggi o con mezzi legali, per es. pubbliche riunioni, proteste, petizioni ricorso ai tribunali, denunce pubbliche, ecc... «occorre non rifugiarsi nell’indifferenza e nell’inerzia di coloro che non sanno o non vogliono organizzarsi e lottare per una causa nobile e giusta, per timore e viltà di affrontare i sacrifici e i maggiori doveri che questa lotta porta con sé. [...] “A chi cadrebbe in animo di tacciare i cristiani dei primi secoli di nemici dell’Impero Romano, solo perché non si curvavano dinanzi alle prescrizioni idolatriche, ma si sforzavano di ottenerne l’abolizione?”» (LEONE XIII, Lettera ‘Notre Consolation’ ai cardinali francesi, 3 maggio 1892)” (11) .

Ancora Leone XIII, nell’Enciclica Diuturnum illud del 1881, insegna che quando l’ordine del principe è contrario al diritto naturale e divino, “obbedire sarebbe criminale”. Pio XI, nell’Enciclica Firmissimam constantiam del 1937, appoggiando, i Cristeros, ricorda all’Episcopato messicano che, se i poteri costituiti ″attaccano apertamente la giustizia […], non si vede nessuna ragione di rimproverare i cittadini, che si uniscono per la loro difesa e a salvaguardia della nazione”, ossia è lecita una resistenza attiva ed anche armata che usi mezzi leciti. 

Quando la legge ingiusta cerca di imporsi con la violenza e con la forza, è lecito ai cittadini organizzarsi e armarsi, opporre la forza alla forza” (12).
Padre Reginaldo Pizzorni continua: “Il diritto di resistenza è generalmente ammesso, e, da san Tommaso in poi, salvo rare eccezioni, è stato ammesso anche da tutti i teologi come ultima ratio, come ultimo ed estremo rimedio, quando tutti gli altri mezzi previsti non sono possibili o si sono dimostrati insufficienti” (13) .

Occorre dunque:

1°) sostituire la «polemica», (lotta e disputa dottrinale) all’«irenica», (tolleranza e conciliazione teoretica e morale a oltranza); non astenersi da ogni polemica, lotta o disputa dottrinale contro l’errore e non praticare la tolleranza per principio di ogni male.

2°) Rifiutare le mezze-verità, l’annacquamento del dogma e la faciloneria.

3°) Evitare lo scoraggiamento; ossia, non aver il coraggio di reagire; perciò, mai gettare la spugna, rinunciando alla lotta e alla sana e corretta polemica; anzi occorre impiegarla assieme alla preghiera, alla penitenza e all’azione culturale e dottrinale con conseguenze pratiche e sociali. Non bisogna predicare la cessazione della polemica per sostituirle l’irenica, l’annacquamento del dogma a favore di una dottrina e moralità soggettiva, la conciliazione tra lo spirito di Cristo e quello del mondo. In breve il trionfo delle mezze verità.


II - Il Buon Pastore

Il vero pastore (Sacerdote, Vescovo o Papa) che ama le sue pecore (fedeli), quando vede venire il lupo (errore e vizio) deve gridare “al lupo!”; ossia, egli agisce e le mette in guardia dal pericolo dottrinale e morale; invece, se fugge fisicamente o anche soltanto moralmente tacendo (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento a Giovanni, X, 1-21) è un cattivo pastore perché è mercenario e non gli importa nulla delle pecore (Gv., X, 1- 21), le lascia in balìa dell’errore e del vizio e tace ma “chi tace acconsente”.

Perciò, è dovere del vero contemplativo non solo considerare e predicare o insegnare la verità rivelata, ma, pure condannare l’errore, poiché “non si può affermare e insegnare la verità, senza confutare gli errori che la contraddicono” (cfr. R. GARRIGOU-LAGRANGE, De Revelatione, Roma, 2 voll., 1918).

Perciò, tacere - senza agire - di fronte all’ingiustizia, all’errore e al vizio, è un male ed è la contraddizione della vera e genuina vita contemplativa, che dopo aver considerato la verità, ridonda nell’azione apostolica, sia ascetica sia sociale o pubblica.

Oggi, di fronte all’instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale anticristiano o meta/umano, il dovere non solo del contemplativo, ma di ogni uomo moralmente retto e di sana ragione è la preghiera, la penitenza accompagnate, però, dall’azione apostolica e politica per la difesa del Diritto naturale oltre che di quello divino.  


III - Il “silenzio eloquente” di san Giuseppe

San Giuseppe è definito “il Santo silenzioso”, ma non significa che fosse inattivo, ignavo e neutrale per principio. Egli era “in actione contemplativus et in contemplatione activus” (cfr. U. HOLZMEISTER, De sancto Joseph quaestiones biblicae, Roma, 1945). Infatti, egli parlava con il suo agire e pur agendo è stato il più grande dei contemplativi. Ha detto poche parole come la Madonna, ma ha pregato e ha agito molto (cfr. P. C. LANDUCCI, Maria Santissima nel Vangelo, Roma, 1944; ID., San Giuseppe nel Vangelo, Proceno, 2021; G. ROSCHINI, Vita di Maria, Roma, 1945).

Infatti, san Giuseppe, nell’imminenza della natività di Gesù, si recò a piedi da Nazareth a Betlemme (Lc., II, 1-7), organizzò le pulizie della stalla dove nacque Gesù Bambino (ibid., II, 7), accolse i pastori (ibid., II, 16). L’ottava di Natale impose il nome al Bambinello, com’era stato rivelato dall’angelo (ibid., II, 21-25). Quaranta giorni dopo la Natività, come Capofamiglia, nella Presentazione di Gesù al Tempio, portò l’offerta rituale al sacerdote (ibid., II, 22), presenziò al vaticinio di Simeone e di Anna (ibid., II, 23). Poi, a Betlemme accolse i re magi (Mt., II, 1-12). Fuggì in Egitto, scortando la sacra Famiglia, come suo difensore morale e fisico, per salvare la vita di Gesù dalle insidie di Erode (ibid., II, 13 s.); alla morte di Erode tornò in Palestina e si stabilì a Nazareth (ibid., II, 22) ove visse nel silenzio, nella preghiera e nel duro lavoro di falegname, provvedendo a tutte le necessità domestiche come Capofamiglia di Maria e Gesù (Lc., II, 40). Infine, Gesù stesso era soggetto a Giuseppe “et erat (Jesus) subditus illis” (Lc., II, 25).
Insomma, san Giuseppe ha realizzato l’ideale della vita più perfetta, che unisce la contemplazione all’azione e che san Benedetto da Norcia ha riassunto nel celebre motto “ora et labora” e insegnandoci, con il suo esempio, che “orare et in gloriam Dei agere, incidit in idem / pregare e agire per la gloria di Dio sono la stessa cosa”.

Perciò, non si può prendere san Giuseppe a modello per giustificare il silenzio di fronte agli errori del tempo odierno. Anzi, san Giuseppe e tutta la sua vita, con le sue azioni e i suoi silenzi eloquentissimi, sono la sconfessione esplicita di quest’attitudine.


Conclusione

Il Cristianesimo, non è destinato alla sconfitta definitiva, ma alla vittoria. Monsignor Pier Carlo Landucci scrive: «Quanto agli eventi finali abbiamo due preannunci che sembrano contrastare tra loro. Uno afferma la conquista di tutti i popoli alla fede, dopo la quale avverrà anche la conversione del popolo ebreo (Rom., XI, 25; Lc., XXI, 24) […]; l’altro preannuncio invece è di tenebre finali: “Il Figlio dell’uomo alla sua venuta troverà forse la fede sulla terra?” […]. La conciliazione dei due vaticini si può avere riflettendo che la divina progressività della Chiesa è un’avanzata spirituale di combattimento, che avrà come tutte le guerre le sue alterne e parziali vicende. In tale quadro la grande finale apostasia (2 Tess., II, 3) potrebbe indicare un ultimo disperato contrattacco di satana contro la Chiesa già vincitrice e un momentaneo trionfo di lui, vaticinato nell’Apocalisse (XIII, 3) come episodica finale vittoria dell’Anticristo. Ma, anche allora rimarrà la cattolicità, ossia l’universalità della Chiesa restata perfettamente integra nel suo organismo e nella sua dottrina intesa come universalità morale, della quale permanenza la promessa divina non lascia dubbio. E, non sarà altro che la premessa della successiva riscossa trionfale. […]. La prospettiva di tale ultimo contrattacco momentaneamente vittorioso di satana, cui seguirà però la sua certa sconfitta, serve anche oggi a eliminare qualunque scoraggiamento per le sue temporanee vittorie, che in qualche luogo avvengono nelle alterne vicende della grande battaglia”» (Cento Problemi di Fede, Roma, VII ed., 2003, pp. 166-167).  


NOTE

1 - L’uomo è un animale socievole. Perciò, il cristiano non può non fare politica, ossia vivere la virtù non soltanto individualmente ma socialmente, nella famiglia, nel villaggio e nello Stato secondo la dottrina del Regno sociale di Cristo (PIO XI, Enciclica, Quas primas, 11 dicembre 1925).
2 - P. PARENTE, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, 1957, IV ed., voce Quietismo
3 -  Il MONTANISMO è un’eresia d’indole ascetico/spirituale, sorta verso il 170 d. C. nella Frigia (Asia minore) per opera di un certo Montano, convertito al Cristianesimo. Egli cominciò ad avere strani fenomeni “misticoidi” di natura patologica o addirittura preternaturale. Due donne, Priscilla e Massimilla, lo seguirono ed ebbero fenomeni analoghi. Montano predicava anche la fine del mondo come prossima e la seconda venuta di Cristo sulla terra, letta in chiave millenaristica più che escatologica. Più che una dottrina dogmatica, il Montanismo è una prassi ascetica rigoristica. Infatti, Montano si dichiarava ripieno di Spirito Santo per dar nascita ad un Cristianesimo più perfetto (una sorta di Terza Alleanza gioachimita ante litteram). Dall’Asia il Montanismo giunse a Roma, dove guadagnò Tertulliano nel 213, che morì montanista fuori dalla Chiesa cattolica. Papa Zefirino condannò il Montanismo. (Cfr. PIO PASCHINI, Lezioni di storia ecclesiastica, Torino, 1930, I vol., p. 99; A. MAYER, voce “Montanismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, XII voll., 1949-1954).
4 -  I BEGARDI sono una delle tante sette religiose pullulanti tra il XII e XIII secolo in Europa. Essi sono una derivazione delle BEGUINE donne consacrate di vita casta e povera. All’inizio essi erano ortodossi, ma poi cominciarono a deviare, debolmente le Beguine, ma fortemente i Begardi. Il Concilio Ecumenico di Vienne (1311-1312) condannò Begardi e Beguine (DB 471-478) soprattutto nella dottrina dell’impeccabilità degli iniziati della setta, i quali essendo giunti a un dato grado di perfezione non devono più pregare, mortificarsi, resistere alle tentazioni, ubbidire alla Gerarchia e possono concedere al corpo ogni soddisfazione, che per gli altri è peccaminosa ma per i “perfetti” no. I “perfetti” possono vedere Dio faccia a faccia già in terra con le loro capacità, senza il Lumen gloriae, non debbono attardarsi nel culto verso l’Umanità di Cristo e all’Eucarestia (cfr. F. VERNET, Béghardes, Béguines, in “D. Th. C.”). Essi ebbero dei punti di contatto con i FRATICELLI eterodossi allontanatisi dal Francescanesimo spirituale, sorti ai tempi di papa Niccolò III, caduti in disgrazia con Bonifacio VIII, e condannati nel 1316 da papa Giovanni XXII (Costituzione Gloriosam Ecclesiam, DB 484-490). La loro dottrina è riassunta dalla suddetta Costituzione apostolica come ribellione contro l’Autorità della Chiesa, di cui vi sarebbero due specie: una petrina, carnale, corrotta e ricca con a capo il Papa; l’altra giovannea, spirituale, pura e povera di cui fanno parte i Fraticelli e i loro seguaci. Il Matrimonio sarebbe intrinsecamente malvagio, la fine del mondo vicina. «Ciononostante, essi indulgevano alla sensualità, negavano il diritto di proprietà e tendevano a una forma di Comunismo ante litteram» (cfr. F. VERNET, voce “Fraticelles”, in “D. Th. C.”).
5 -  L’AMERICANISMO nacque alla fine dell’Ottocento da un sacerdote americano di nome Isaac Thomas Hecker. Egli, consapevole dell’indole esuberante e avida di libertà assoluta del popolo americano, insensibile alla metafisica e amante del Pragmatismo, portato dalle ricchezze a un certo edonismo ascetico o naturalismo almeno pratico, aveva cercato di adattare o aggiornare la Religione cattolica allo spirito della filosofia pragmatistica americana. Leone XIII nella Lettera a cardinal Gibbons Testem benevolentiae (1889) ha condannato la possibilità dell’adattamento o aggiornamento della dottrina cattolica alle esigenze della filosofia e civiltà moderna, sacrificando la metafisica classica e scolastica, mitigando lo sforzo ascetico, orientandosi versi il democraticismo. Dal punto di vista spirituale l’Americanismo svaluta le Virtù infuse e nascoste per attaccarsi alle virtù attive e naturali (azione, organizzazione, pastorale, associazionismo, attivismo). Il Papa ha riaffermato il primato della contemplazione (cui si giunge dopo lo sforzo ascetico) sull’azione e l’attivismo (“eresia dell’azione”); anzi, ha messo in guardia dal pericolo di rovinarsi moralmente, dimenticando la vita interiore e gettandosi nell’Attivismo naturale e forsennato, che prepara alla caduta nel peccato mortale e alla dannazione eterna.
6 -  Cfr. P. DUDON, Le Quiétiste espagnol Michel Molinos, Parigi, 1921.
7 -   Cfr. M. DE CORTE, Essai sur la fin d’une civilisation, Parigi, De Médicis, 1949.
8 -  Termini molto in voga negli anni Sessanta in ambito progressista e oggi, purtroppo, penetrati anche nell’ambiente cattolico conservatore.
9 -  A. ODDONE, “La resistenza alle leggi ingiuste, secondo la dottrina cattolica” in “La Civiltà Cattolica”, n. 95, 1944, pp. 329-336; Ibid., n. 96, 1945, pp. 81-89.
10 -  R. PIZZORNI, Diritto naturale e diritto positivo in san Tommaso, Bologna, ESD, 2000, p. 358.
11Ibidem, p. 359.
12Ibidem, p. 360.
13Ibidem, p. 361.







dicembre 2022
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