Puffi & splatter:
va in onda la “CineScuola”.
Aridatece er cinepanettone


di Elisabetta Frezza




Pubblicato il 29 dicembre 2022 sul sito
Ricognizioni


 







Un paio di settimane fa, vari organi di stampa danno conto di una vicenda accaduta in una scuola media di Cremona. La notizia ribalza qua e là e poi, come sempre o quasi, non se ne parla più. E invece forse varrebbe la pena di parlarne, perché la fattispecie è tutt’altro che insolita.

Succede che un supplente concede ai ragazzini di guardare un film durante la sua ora; la scelta del film è affidata alla maggioranza degli aspiranti spettatori; viene proiettata una pellicola horror – o meglio, della sottospecie definita splatter – vietata ai minori di 18 anni, col suo corredo di squartamenti, sangue, poltiglia organica; alcuni alunni stanno male e lamentano nausea, altri escono dall’aula, altri si tappano gli occhi; i genitori protestano; il dirigente, interpellato, afferma che l’amministrazione scolastica «ha agito nelle modalità previste» (da chi?) e organizza un dibattito tra genitori, docente incriminato e studenti; il gestore del cinema locale, intervistato per l’occasione in qualità di “esperto” della materia, si rammarica perché il Cinema – inteso quale categoria dell’essere – ne esce screditato come fosse un «banale momento di intrattenimento».

Fine del resoconto. Non è dato sapere se e come si sia conclusa la storia. Ma siamo certi che, dopo la buriana, sia scoppiata la pace. A ben vedere, nulla ha senso in questo guazzabuglio dove siamo in zona «cecàti che fanno a pietrate».

Personalmente, trovo che il passaggio più significativo, che poi coincide con la fase narrativa cosiddetta dello “scioglimento”, sia il dibattito. Il dirigente che, in presenza di un palese abuso verificatosi nella scuola da lui diretta (c’è un dato oggettivo a qualificare l’abuso: è stato dato in pasto a minorenni, a scuola, un film vietato), convoglia tutti i litiganti nella panacea del dibattito – al quale peraltro egli si sottrae – è un genio assoluto. Degno superiore del suo supplente cultore a oltranza del principio di maggioranza, costi quel che costi, usque ad effusionem sanguinis.

Ora, questa vicenda di sicuro presenta delle peculiarità, perché non è cosa comune, per esempio, imbattersi in uno così sveglio da proseguire nella proiezione di una schifezza quando intorno la gente tracolla: ci vuole tenacia. O in un altro che, in veste di responsabile dell’istituto, fischietta e butta la palla nel corner del dibattito lasciando che si azzuffino gli altri: ci vuole talento.

Tuttavia, a parte certi spunti originali, del canovaccio non bisogna sorprendersi più di tanto, perché è diventato la norma. È una moda ormai diffusa, infatti, quella di impiegare le ore curriculari mostrando film in classe. L’avvento delle LIM (lavagne multimediali) ha rappresentato in tal senso una svolta decisiva: se una volta, per trasformare un’aula in un cinema occorreva munirsi di proiettore e di strumentazione adeguata – e probabilmente occorreva anche rendere conto a qualcuno del perché dell’allestimento – ora basta rovistare nel web, “cliccare”, e via. Con la certezza di rendere tutti felici e contenti (salvo imprevisti, tipo quelli appena descritti).

Il successo della formula dipende anche dalla sua versatilità: ognuno cioè può adattarla alla propria indole, e interpretarla di volta in volta con menefreghismo e superficialità (come probabilmente è stato per il nostro supplente), oppure con impegno più o meno manifesto, e anche con malizia; il film può servire semplicemente l’intento di accattivarsi la simpatia degli scolari, ma anche quello di fare proselitismo per una determinata causa, che deve coincidere con quella corrente e corriva sennò si rischia di finire impallinati senza processo e il gioco non vale la candela.

È una trovata passe partout insomma, buona sempre e comunque per risolvere con nonchalance la rogna di dover fare lezione. Per la verità, c’è anche un’ipotesi residuale: che la proiezione avvenga davvero per ragioni didattiche, ed è il caso di certe pellicole, in genere storiche o classiche, o in lingua straniera, che possono favorire l’apprendimento di un certo tema, soprattutto in un frangente di particolare stanchezza dell’uditorio. Quest’ultima ipotesi, è ovvio, non è compatibile con il criterio democratico (scelgono gli scolari a maggioranza) che è, in se stesso, una aberrazione. Nel recente episodio assurto all’onore delle cronache, quel criterio – rendiamoci conto – ha portato dritti dritti, senza che l’istituzione ponesse alcun freno, dentro un film di infima qualità ricco di spruzzi di pomodoro e crani spappolati, ed è cosa tanto degradante per un ambiente che ambisca a definirsi educativo, quanto oggettivamente dannosa. E non soltanto per i ragazzini più sensibili, ma per tutti, anche per quelli coriacei, semplicemente perché, così, si fa della scuola una cosa ontologicamente altra.

Mi è tornato alla mente il recente fatto lombardo perché l’ultimo giorno di lezione prima delle vacanze di Natale, mio figlio di quarta ginnasio (primo anno di superiori) tornato a casa racconta divertito che, causa assenza di un docente, si è presentato in classe un supplente – nel caso specifico: una docente di latino e greco di lungo corso e di chiara fama – che, manco a dirlo, ha subito optato per occupare l’ora col film di prammatica. Le variazioni sul tema, stavolta, sono le seguenti: un alunno, visto che correva l’antivigilia, suggerisce una pellicola natalizia; la docente risponde «giammai», e propone uno splatter (il genere tira tra gli “educatori”, evidentemente); per difficoltà tecniche a reperire lo splatter, la docente infligge alla classe, d’imperio, i Puffi; la collega dell’ora successiva, vedendo sulla lavagna le tracce dei Puffi, (giustamente) si infuria, ma (ingiustamente) si infuria con i ragazzi anziché con il vero responsabile della genialata.

Ora, l’incidente lombardo è stato schivato per puro caso (lo splatter era la prima scelta, e chissà dove avrebbe portato stavolta). L’opzione di ripiego, quella del cartone animato da infanti, di sicuro non ha connotati tali da turbare la sensibilità degli alunni, né è di per sé sindacabile quale strumento di propaganda politica o ideologica. Vero. Ma ciò non significa che, mutatis mutandis, non costituisca un abuso, e che la provocazione in questo caso sia, forse, ancora più sottile. Che significato può avere costringere una classe di ginnasiali ad assistere a uno spettacolino da infanti? Qual è il messaggio che si vuole passare? Che a scuola vale tutto? Che tu sei una ganza? Non si dimostra, alla fine, una grande mancanza di rispetto per gli scolari? Tanto più in quanto mascherata da gesto spiritoso e (in apparenza) fuori dagli schemi? Bisognerebbe intervistare la docente creativa, che di sicuro non ha agito a caso.

Sta di fatto che l’esperienza dell’ora di latino e greco coi Puffi è a suo modo un paradigma, che ci dice quanto la scuola sia diventata una ludoteca, un luogo di intrattenimento; peggio, di stordimento di gruppo e disimpegno assoluto. Ci dice quanto molti docenti ci marcino, con malcelata soddisfazione. Ci dice quanto tempo prezioso viene dissipato tra quelle mura, dove potrebbero farsi meraviglie e dove invece viene coltivato il nulla moltiplicatore di nulla.

Alla fine, anche il tormentone dei film sostitutivi delle lezioni è uno dei mille segni attraverso cui si manifesta la deriva imboccata dalla scuola, lanciata a tutta velocità e senza freni verso il baratro della follia chiamata modernità, o innovazione. Una deriva che troppo spesso passa attraverso la totale organicità dei docenti a un sistema perverso, operativo da molto tempo e ora in dirittura d’arrivo. Non sempre questa organicità, che lambisce la connivenza, dipende da mera ignoranza, impotenza, o rassegnazione: ci sono casi che richiedono ipotesi diagnostiche più complesse, fino alla sindrome di Stoccolma o altre patologie assortite.

Eppure, chi muove davvero la scuola, perché la manda avanti ogni giorno, tanto potrebbe ancora fare per dare un contributo a difesa del decoro proprio e dell’istituzione che rappresenta, e per offrire agli studenti elementi di conoscenza, frammenti di bellezza, strumenti di riflessione. E molti di questi contributi costituirebbero un argine, e insieme un esempio, e insieme uno sprone. E magari favorirebbero il formarsi di una massa critica, e chi lo sa cosa potrebbe scaturirne.

Quello dell’insegnante, in fondo, resta pur sempre uno dei mestieri più entusiasmanti e più belli, portatore di un compito fondamentale e delicatissimo, anche se abbondantemente screditato da una politica cieca e da una propaganda beota. Portatore, anche, di una responsabilità la cui grandezza si misura sol che si pensi come ogni seme gettato non cade su una materia inerte, ma viva, e per questo racchiude potenzialità immense quanto imprevedibili. Da quei semi dipende il futuro di tutti.





dicembre 2022
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