Una celebrazione del Vaticano II

nel segno della contraddizione



Articolo della FSSPX





Apertura del concilio Vaticano II, 11 ottobre 1962


L’11 ottobre 1962 si apriva a Roma il concilio Vaticano II. L’11 ottobre 2022 ne è stato celebrato il 60esimo anniversario, con un gran numero di cerimonie commemorative, di dichiarazioni emotive e di commenti disincantati.

Nel corso della Messa celebrata in questa occasione, Papa Francesco ha dichiarato che tra il 1962 e il 1965 il Concilio aveva attinto al «fiume vivo della Tradizione senza ristagnare nelle tradizioni» e che oggi era sempre «attuale», per ciò che aiuta «a rigettare la tentazione di rinchiudersi nei recinti delle nostre comodità e delle nostre convinzioni».
Questa «tentazione di autoreferenzialità»”, agli occhi di Francesco, trova una risposta nel «desiderio di unità».

Ed egli ha subito salutato un segno di questo desiderio di unità: la presenza in assemblea, «come durante il Concilio», di rappresentanti di altre comunità cristiane – in particolare protestanti e ortodosse. Francesco ha insistito: «La Chiesa non ha celebrato il Concilio per ammirarsi, ma per donarsi», spiegando che esso non deve quindi «stare fuori dal mondo, ma servire il mondo».

Un papa autoreferenziale che divide

Il 17 ottobre, nel sito Monday Vatican, il vaticanista Andrea Gagliarducci ha commentato:  «questo discorso molto duro, che denunciava le polarizzazioni e chiedeva ai cattolici di rimanere uniti perché, secondo il Papa, “una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche”».

Gagliarducci ha confessato di provare una strana sensazione nel vedere come Papa Francesco ha fatto della ricezione del concilio Vaticano II uno dei temi principali del suo pontificato. Traditionis custodes, che di fatto sopprime, con poche eccezioni, l’antico rito della storia della Chiesa, è giustificata proprio dalla «volontà di realizzare il Concilio Vaticano II».

Ed ha aggiunto: «Il Papa non manca mai di mettere in guardia contro i ritorni all’indietro, che egli considera come un’ideologia pericolosa. Il tradizionalismo rivolto verso il passato è uno dei più grandi pericoli per la Chiesa, al pari del “progressismo che si accorda col mondo”, perché entrambi sono un’“infedeltà” e un “egoismo pelagiano che antepone i suoi gusti e i suoi progetti all’amore che piace a Dio”.

«Tuttavia, guardando al pontificato e alle decisioni di Papa Francesco, non si può fare a meno di notare che in diversi casi il Papa stesso ha oscillato tra queste due infedeltà, cercando un equilibrio che in realtà ha fatto fatica a trovare».

Secondo Andrea Gagliarducci, «gli appelli di Papa Francesco all’unità della Chiesa assomigliano più che altro ad una denuncia personale, rispetto alle critiche che gli vengono rivolte da vari settori della Chiesa. Il ragionamento sembra essere che lui è Papa perché lo Spirito Santo ha ispirato la sua elezione, e quindi dovrebbe essere sostenuto, non criticato.

«Francesco lo chiede invitando a rifiutare di atteggiamenti autoreferenziali. In tal modo, dimostra di essere egli stesso autoreferenziale. Ed è questa autoreferenzialità che, soprattutto, crea divisione».


L’auto-contraddizione pontificia

Non è una novità. Le contraddizioni del Papa sono state spesso rilevate dalla stampa.
Già nell’aprile del 2021, Sandro Magister le denunciava nel suo Settimo Cielo, con un titolo esplicito: «Francesco, il Papa che si autocontraddice.Teoria e pratica di un pontificato non infallibile». Il vaticanista romano spiegava queste contraddizioni con un equilibrio instabile:

«Quando non era più provinciale dei Gesuiti argentini, ma poteva ancora contare su dei fedeli seguaci, Bergoglio era diventato in quegli anni un elemento di divisione inguaribile e inaffidabile nella Compagnia di Gesù; questo non è un giudizio dei suoi avversari argentini, ma quello dell’allora Superiore Generale, Peter-Hans Kolvenbach, tanto che quest’ultimo non volle incontrarlo quando andò a Buenos Aires, e Bergoglio non pose piede nella Casa Generalizia quando andò a Roma. […]

«Egli ha finito col diventare Papa nel 2013, sempre con le sue inquietudini psicologiche, come lui stesso ha affermato in più occasioni. Fu per “ragioni psichiatriche” che spiegò che voleva vivere a Santa Marta piuttosto che nel Palazzo Apostolico. Ed è «per motivi di salute mentale» che dice di non voler più leggere quello che scrivono i suoi detrattori.

«Il disordine dei suoi discorsi è simile a quello del suo pensiero. Che parli o scriva, Bergoglio non è mai lineare, sintetico, diretto, univoco; tutto il contrario: dice e non dice, si perde, si contraddice».

E Magister cita un esempio recente: «circa la sorte che è stata riservata al Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede contro la benedizione delle coppie omosessuali – redatto da un teologo gesuita come il cardinale Luis F. Ladaria -, Francesco ha formalmente dato il suo consenso alla pubblicazione.

«Tuttavia, subito dopo ha lasciato trasparire la sua contrarietà. Gli è bastato, infatti, deplorare, all’Angelus della Domenica successiva, i “legalismi”, i “moralismi clericali” e le “teoriche condanne” prive di gesti d’amore, perché i partigiani delle benedizioni delle coppie omosessuali si sentissero autorizzati da lui a procedere come meglio credono. Senza che il Papa muova un dito per fermarli».

E Sandro Magister nota: «Il capitolo sull’omosessualità è senza dubbio quello su cui Francesco si è espresso più camaleonticamente, a cominciare da «chi sono io per giudicare?», espressione che è stata adottata da molti come il segno distintivo dell’attuale pontificato, aprendo la strada alle interpretazioni e alle pratiche più contraddittorie.

«E anche in questo caso, Francesco non ha mai fatto alcunché per mettere ordine nella comprensione delle sue dichiarazioni, arrivando talvolta a lasciarsi andare e formulazioni bizzarre come questa: «lui che era lei, ma chi è lui?», che ha usato durante la conferenza stampa del 2 ottobre 2016 sul volo di ritorno dall’Azerbaigian, a proposito di una donna che si era fatta uomo e che aveva sposato un’altra donna, entrambe amabilmente ricevute in udienza in Vaticano».

Il giornalista conclude su «l’enigma della sinodalità»: «Francesco ne ha fatto sovente l’elogio e l’ha invocata come forma ideale della Chiesa e del suo governo, ma essa è stata molte volte contraddetta dal modo in cui il Papa esercita nei fatti il suo potere, secondo un regime di assolutismo monarchico che rimane ineguagliato nell’ultimo secolo di storia della Chiesa. Perché con Papa Bergoglio la sinodalità è simile all’araba fenice musicata da Mozart in Così fan tutte: «che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa!».


Pragmatismo ed equilibrismo

Nel Monday Vatican del 5 dicembre 2022, il vaticanista Andrea Gagliarducci esprime la sua perplessità di fronte «ai limiti e ai rischi di un pontificato (troppo) pragmatico», scrivendo che «alla fine il pragmatismo di Papa Francesco lo porta a piegarsi troppo all’opinione pubblica, al punto da non difendere gli uomini di Chiesa.

«Di qui le sue posizioni da equilibrista nei confronti dei rapporti sulla pedofilia nella Chiesa in Francia e in Germania, rapporti contenenti statistiche dubbie [cfr. il rapporto Sauvé], che il Papa ha accettato, arrivando a chiedere scusa per gli abusi. Un pragmatismo che ha portato anche all’accettazione delle dimissioni dell’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, “sull’altare dell’ipocrisia”…», come lui stesso ha riconosciuto.

Il giornalista italiano afferma: «Papa Francesco ama la figura geometrica del poliedro e la utilizza spesso per descrivere la realtà. Facendo un paragone, si potrebbe dire che si tratta di un papato dalle molte sfaccettature, perché è difficile vedere tutti i suoi volti e le sue facce» e suggerisce « l’approccio pragmatico rischia di creare un papato a due velocità: un papato attento all’opinione pubblica e un papato che, al contrario - proprio per questo pragmatismo - si isola e lascia il Papa solo al comando, e quindi esposto ai propri errori».


Bilancio provvisorio del pontificato

In un articolo precedente sul Monday Vatican del 21 novembre, Andrea Gagliarducci  scrive: «il pontificato di Papa Francesco è incominciato con un intenso battage mediatico e la speranza di un cambiamento di fondo, non tanto della Chiesa, quanto nella gestione della Chiesa. Al momento del Conclave, non era questione di dottrina, ma piuttosto di amministrazione: del modo in cui la Chiesa aveva risposto agli scandali e del modo in cui la Chiesa era stata capace di rispondere a questi scandali».

Ora, dopo quasi dieci anni di pontificato, qual è esattamente la situazione? Il giornalista risponde: «Gli attacchi contro le finanze della Santa Sede nel 2012, erano dettati dal fatto che la Santa Sede adottava un sistema di rottura con le influenze abituali, in particolare italiane, aderendo ai migliori criteri internazionali. Dieci anni più tardi, la gestione della Santa Sede è di nuovo nelle mani di Italiani nella lotta al riciclaggio di denaro».

E prosegue: «Dieci anni più tardi, gli scandali sugli abusi continuano a fare notizia, con una regolarità da orologio. Un presunto caso di comportamento inappropriato ha portato alle dimissioni dell’arcivescovo di Parigi, Michel Aupetit, accolte dal Papa “sull’altare dell'ipocrisia”…».

E aggiunge: «Papa Francesco ha creato diverse commissioni nel corso del suo pontificato, fino a promulgare una riforma della Curia che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto rendere tutto più funzionale. Ma non è ancora così, perché non ci sono regole.

«In effetti, alcuni cambiamenti sono mere amalgami che non hanno molta utilità pratica perché, in definitiva, non c’è una filosofia di fondo. Si parla molto di Chiesa sinodale e dell’ascolto, si parla meno della proposta [magisteriale] della Chiesa».


Gli effetti prevedibili sulla Chiesa

Andrea Gagliarducci fa una previsione inquietante, ma lucida, considerando «diversi effetti a lungo termine»: «Il primo è la perdita di coscienza dell’istituzionalità della Chiesa, passando da un organismo che insegna ad un organismo che ascolta, per molti la Santa Sede diventa un accessorio luogo di passaggio.

«Essa non è né un punto d’arrivo né un punto di partenza. Non ha più una filosofia definita. Se l’Istituzione non conta, allora anche il lavoro effettuato nell’Istituzione può essere superficiale. Si tratta di un rischio reale, anche se sembra ancora lontano».

E Gagliarducci aggiunge la perdita di sovranità della Santa Sede: «Certe iniziative, come l’accentramento finanziario o il ricorso a società di revisione esterne, mettono seriamente in pericolo la stessa sovranità della Santa Sede.

Ma se la sovranità è considerata solo come funzionale e non sostanziale, il fatto che essa possa essere messa in pericolo non è cruciale. Almeno non per Papa Francesco; il quale, in fin dei conti, decide sempre da solo, e decidendo a suo piacimento non vede i problemi nella loro globalità».

Per finire, il vaticanista sottolinea una perdita dell’autorità magisteriale: «Vi è il rischio di una Chiesa che ascolta molto, ma che insegna poco. E’ il rischio della Chiesa sinodale e della eccessiva democratizzazione della Chiesa» … «Tutte queste questioni potrebbero essere risolte con un orientamento teologico preciso; ma è proprio quello che manca. E gli effetti di questo pontificato saranno visibili negli anni a venire».






gennaio  2023
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