LUMEN AD REVELATIONEM

Omelia dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò
per la festa della Purificazione di Maria Santissima

2 febbraio 2023




Pubblicato sul sito di Marco Tosatti





 
Tu es qui restitues hæreditatem meam mihi.
Ps 15, 5


 
Sia lodato Gesù Cristo

I miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparato al cospetto di tutti i popoli.
Con queste parole il vecchio Simeone loda il Signore per avergli concesso il privilegio di poter assistere al compimento delle Profezie, potendo stringere tra le sue braccia il Messia bambino, condotto al Tempio per essere circonciso secondo le prescrizioni dell’antica Legge. Quel cantico breve ma profondo è ripetuto tutti i giorni a Compieta, perché la preghiera che la Chiesa recita alla fine della giornata ci prepari alla fine del nostro esilio terreno con lo sguardo rivolto a Nostro Signore.

La festa odierna era dedicata, sino alla riforma del 1962, alla Purificazione della Beata Vergine, ed era perciò una ricorrenza mariana di indole penitenziale, evidenziata dal colore violaceo dei paramenti; così com’era penitenziale la natura del rito di Purificazione cui tutte le madri ebree dovevano sottoporsi quaranta giorni dopo il parto (Lev 12, 2). Anche la Santa Chiesa conserva nel Rituale Romanum la speciale Benedizione per le puerpere, ormai caduta in disuso ma che sarebbe pia pratica ripristinare nel suo significato spirituale.
Come per il rito del Battesimo di Nostro Signore nel Giordano, così anche il rito della Purificazione non aveva strettamente senso né utilità per Maria Santissima, essendo Ella purissima e senza macchia in virtù dell’Immacolata Concezione. Con la Sua sottomissione alla Legge allora vigente, Nostra Signora ci dà un esempio di obbedienza ai precetti religiosi, affinché non dimentichiamo che siamo figli dell’ira e che meritiamo la Grazia solo per i meriti infiniti che il Salvatore ha acquistato per noi con la Sua Passione e Morte sulla Croce.

La riforma di Roncalli – cui lavorarono molti degli stessi esperti che posero mano alla riforma della Settimana Santa sotto Pio XII e poi all’intero corpus liturgicum con il rito montiniano – modificò la denominazione della festa da Purificazione della Beata Vergine a Presentazione al tempio di Nostro Signore. La motivazione era di impostare la celebrazione in chiave cristocentrica – cosa di per sé lecita e che venne per questo accolta con favore dai parroci.
In realtà lo scopo degli autori della riforma del 1962 era di aprire la finestra di Overton conciliare, dischiusa con l’Ordo Hebdomadæ Sanctæ instauratus. Lo scopo inconfessabile, e per questo da tenere rigorosamente occultato per non compromettere i futuri sviluppi, consisteva nell’indebolire il culto della Vergine e dei Santi – come si evince ad esempio dalla riclassificazione delle feste del Santorale – in funzione filoprotestante.
Comprendiamo allora come, sotto le apparenze di un cambiamento innocuo e dottrinalmente accettabile, si volesse non tanto enfatizzare la centralità di Nostro Signore nel ciclo liturgico, quanto usarla come pretesto per estrometterne la Madre di Dio, considerata un ostacolo al dialogo ecumenico. Così, per piccoli passi, i novatori riuscirono a far dimenticare la dottrina della Mediazione e della Correndenzione di Maria Santissima, senza negarla esplicitamente.

I Cattolici sanno bene che rendere culto di iperdulia alla Vergine nulla toglie al culto di latria dovuto alla Maestà divina, ma anzi propizia il Figlio per mezzo della Sua augustissima Madre, nella Quale Egli ha compiuto meraviglie: quia fecit mihi magna qui potens est.
Invece gli eretici mostrano il loro orrore al solo nominare Nostra Signora, perché la Sua umiltà e la Sua obbedienza costituiscono un intollerabile affronto all’orgoglio e alla disobbedienza di Satana, loro padre. E se nella Sua sapienza infinita il Signore ha voluto che fosse la Vergine Immacolata a conculcare il capo dell’antico Serpente, per quale motivo dovremmo noi pretendere – come fanno i Protestanti – di trattare direttamente con Lui, disprezzando la potente Mediatrice che ai piedi della Croce Egli ci ha dato come Madre e Avvocata? Non offenderemmo noi il Signore, trattando con poco riguardo e con diffidenza la gloria di Gerusalemme, la gioia di Israele, l’onorificenza del nostro popolo?

Lasciamo da parte queste osservazioni e meditiamo i Misteri di questa festa, nella quale la vera Religione trionfa sulla superstizione soppiantando le preesistenti feste pagane con il rito della Benedizione delle Candele.
San Gelasio Papa volle istituire questa festa perché alla fine del sec. V vi erano ancora in Roma persone dedite ai culti degli idoli, che recavano fiaccole per la città. Cristo, Lux mundi, si riappropria dunque del simbolo della luce che i pagani Gli avevano usurpato. In questo senso è significativo ricordare l’interpretazione mistica di Sant’Anselmo: la cera – egli dice – opera delle api, è la carne di Cristo; lo stoppino, che sta dentro, ne è l’anima; e la fiamma, che brilla nella parte superiore, ne è la divinità. Carne, anima, divinità: l’unione di questi elementi ha permesso a Nostro Signore di redimerci come Capo del genere umano, espiando la colpa infinita di Adamo grazie all’infinito valore del Suo Sacrificio, il Sacrificio dell’Uomo-Dio appunto, offerto alla Maestà del Padre in riparazione del Peccato Originale e di tutte le colpe commesse da tutti gli uomini fino alla fine dei tempi.

Quia viderunt oculi mei salutare tuum, quod parasti ante faciem omnium populorum, dice Simeone. La salvezza è un evento esteso a tutti e, a differenza del popolo che fu l’eletto, il popolo cristiano non si distingue per razza, ma per adozione. Con il Battesimo siamo infatti costituiti figli di Dio, Suoi eredi e coeredi di Cristo, come dice San Paolo (Rom 8, 14-19) e come canta il Salmista: Il Signore è parte della mia eredità e mio calice (Sal 15, 5). Per questo la salvezza è stata preparata al cospetto di tutti i popoli; per questo tutti i popoli sono chiamati a conoscere, adorare e servire il vero Dio. Laudate Dominum omnes gentes (Sal 116, 1), et adorabunt eum omnes reges terrae; omnes gentes servient ei (Sal 71, 11).

Lumen ad revelationem gentium, et gloriam plebis tuæ Israël.
La rivelazione delle genti e la gloria del popolo di Dio – che è la Santa Chiesa – sono intimamente legate: senza predicazione non c’è rivelazione; e senza rivelazione non c’è gloria per la Gerusalemme celeste, per il nuovo Israele. Ma se le infedeltà della Sinagoga nel riconoscere la luce di Cristo hanno causato la sua caduta e la dispersione dei suoi figli, quanto maggiore potrà essere il disonore per quanti vivono sotto la Nuova ed Eterna Alleanza, sono rinati in Cristo e risorti con Lui, ma non predicano la salvezza che Dio ha realizzato mediante la Passione del Suo divin Figlio?

Quando Nostro Signore incontrò gli scribi nel Tempio, spiegando loro il senso delle Scritture e in particolare mostrando loro come le profezie si compissero in Lui, la Sinagoga era ancora fedele all’Alleanza con Dio. Ma quando Egli venne denunciato dal Sinedrio a Ponzio Pilato con l’accusa di blasfemia – essendoSi proclamato Dio – perché fosse messo a morte, i Sommi Sacerdoti avevano rinnegato la Fede, accecati dal timore di perdere il proprio prestigio con la venuta del Messia, che gli Ebrei consideravano come Salvatore non solo spirituale, ma anche e soprattutto temporale e politico. La loro apostasia li portò a tacere quelle verità contenute nell’Antico Testamento, che sconfessavano il loro tentativo di adeguare la Religione alla convenienza del tempo e delle circostanze, e che tanti severi ammonimenti aveva meritato dagli ultimi Profeti di Israele. Il popolo ebreo, tenuto nell’ignoranza dall’autorità religiosa del tempo, era certamente disorientato e scandalizzato, dal momento che la loro semplice Fede insegnava loro che era ormai giunto il tempo della nascita del Messia nella città di Betlemme. Per questo un’intera casta sacerdotale – la tribù di Levi – venne dispersa con la distruzione del Tempio ad opera dell’Imperatore Tito: ancor oggi i figli della Sinagoga sono dispersi nel mondo senza un luogo di culto, e senza poter ricostruire la genealogia dei Leviti per celebrare i sacrifici. Tremendo destino di un popolo, a causa del tradimento dei suoi sacerdoti!

Eppure, dinanzi all’evidenza della severità con cui il Signore giudica i Suoi Ministri specialmente quando vengono meno ai loro doveri sacri e ingannano i fedeli, i chierici della Nuova Alleanza sembrano considerare con leggerezza le proprie mancanze, le proprie infedeltà, i propri silenzi dinanzi a chi proclama l’errore e nega o tace la Verità.
In costoro troviamo la medesima hybris, la stessa folle presunzione di sfidare il Cielo, che è punita irremissibilmente con la nemesis, fatale punitrice dell’abuso dell’autorità e dell’orgoglio. Lo ricordino bene i tiranni di questo mondo, investiti di cariche civili ed ecclesiastiche, e quanti prestano loro servile ossequio per timore di apparire controcorrente o di essere additati come “rigidi”, “integralisti”, non “inclusivi” e “divisivi”. Ci pensino quanti, servendosi fraudolentemente di un’autorità per lo scopo opposto a quello che la legittima, credono di poter spadroneggiare sui loro sudditi: nil inultum remanebit.

Accostiamoci dunque al Santo Sacrificio con il santo Timor di Dio, purificandoci dai peccati con il ricorso frequente alla Confessione e recitando con contrizione l’Atto di dolore non appena commettiamo qualche mancanza. La nostra disposizione spirituale ad emendarci e a renderci meno indegni dei divini Misteri ci aiuti ad accogliere con raccoglimento e fervore il Santissimo Sacramento nella Comunione eucaristica: la Luce di Cristo illumini la nostra mente in questi momenti di prova e infiammi il nostro cuore dell’amore di Carità, per essere a nostra volta luce per illuminare le genti. Sia la nostra vita una quotidiana testimonianza di veri figli di Dio, sicché possiamo esclamare con il Salmista: il Signore è mia parte di eredità e mio calice.

E così sia.

+ Carlo Maria, Arcivescovo
 
 
2 Febbraio 2023
In Purificatione Beatæ Mariæ Virginis







febbraio 2023
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