Nessuna comunione possibile senza
la Fede comune


di Austremoine

Articolo pubblicato sul sito francese Tradi News


Una delle grandi preoccupazioni dei cattolici sentimentali – o liberali – è di essere in «comunione» col Papa. D’altronde, diranno certuni, essere in comunione col Papa e con tutta la Chiesa è il presupposto elementare per ogni cattolico.

Ora, come spesso accade, si è in tanti ad utilizzare un termine che tuttavia ha dei significati differenti, e il termine «comunione», per le sue possibili accezioni, è un esempio della rivoluzione teologica messa in atto dal concilio Vaticano II: certi teologi progressisti vi vedono perfino il nocciolo centrale della nuova ecclesiologia conciliare.

Il Concilio ha voluto mettere l’uomo al centro delle sue preoccupazioni, al centro della Chiesa, al centro della liturgia. Ora, è Dio la causa e il fine di tutte le cose, e la Chiesa è il mezzo che Dio dà all’umanità per realizzare la sua salvezza, affidandole il deposito della Fede, Fede necessaria per la salvezza. È questo l'unico scopo della Chiesa: trasmettere la Fede.
Tutte le leggi, tutte le strutture, tutte le decisioni della Chiesa sono al servizio di quest’unico scopo: dare la Fede. Ed è in questo che assume tutto il suo ruolo il Papa come servo dei servi di Dio, papa che non detiene una autorità ordinata per sé stessa, ma ordinata alla conservazione dell’integrità del deposito ricevuto.
E ed è in questo che sta il vero senso della «comunione della Chiesa»: i battezzati che condividono la stessa Fede e le grazie, e ciò che ne deriva. L’appartenenza alla Chiesa è solo la conseguenza della Fede data col battesimo, e da questa appartenenza noi traiamo il gran beneficio della Comunione dei Santi, magnifica realtà dell’economia della salvezza, che permette la grande Carità tra i membri della Chiesa.

L’ottica del Concilio è tutt’altra. La Fede non è più da trasmettere, ma da adattare. È così che la si va a modellare, a ridefinire, a trasformare, al fine di renderla ammissibile per coloro che non la condividono. Fu questa la confusione ecumenista del Concilio. Non più l’uomo che si lascia forgiare dalla Fede, ma la dottrina che si trasforma per adattarsi ai desideri dell’uomo «moderno».

Allora, diventa difficile parlare di unità quando le credenze divergono. Quale avvenire si prospetta per la Chiesa garante di questa unità nella Fede?
Il concilio Vaticano II ha introdotto il concetto di «comunione», di «Chiesa comunione», dove l’appartenenza ad una struttura ecclesiale diviene la causa dell’appartenenza alla Chiesa, e non più la conseguenza. È così che la rivoluzione progressista si impone: sotto la copertura dell’autorità, sotto la copertura della «comunione» col Papa, abbiamo assistito ai deliri più stravaganti.

Che ne è della Fede? Di essa non si parla più. Quali che siano le argomentazioni,  ci si sente rispondere che bisogna «essere in comunione». L’autorità non è più al servizio della Fede, essa non conferma più la Fede, essa si fa principio e fine, si erige al servizio di se stessa. È così che la «comunione» conciliare si può benissimo fare senza il presupposto della condivisione della stessa Fede.

È importante essere «in comunione con Roma», con la Chiesa?
Tutto dipende dal significato che si dà a questa espressione.

Se comunione significa l’adesione alla Fede cattolica piena ed intera, senza interferenze, senza ambiguità, senza alterazioni, con la sottomissione della nostra volontà e della nostra intelligenza a questo dono che Dio ci ha dato al momento del battesimo, allora la questione non si pone più, perché si è già in comunione con la Chiesa militante, sofferente e gloriosa, si è nella Comunione dei Santi.

Se comunione significa un riconoscimento visibile avente per oggetto primo l’essere riconosciuti in una struttura, mettendo in secondo piano il deposito della Fede, accettando se è il caso qualche interferenza, ambiguità o alterazione, allora ci si è già lasciati infestare dal veleno conciliare.

La Fraternità San Pio X non soffre di alcun malanno fintanto che rimane legata prima di tutto alla Fede, le eventuali «irregolarità» ne sono solo la conseguenza e per ciò stesso sono giustificate. Al contrario, quelli che hanno fatto del riconoscimento uno scopo, al prezzo di qualche silenzio o di  qualche ambiguità sul piano della Fede, questi feriscono la Chiesa nella sua ragion d’essere




aprile 2013

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