Fa il bene evita il male, questo è tutto l’uomo!

Fa il male evita il bene, questo è il “meta/uomo”!



di
Don Curzio Nitoglia
 





Prologo

San Tommaso d’Aquino ha scritto che la negazione speculativa dei “primi princìpi per sé noti” (1) è paragonabile - nella pratica - alla perdita della “sinderesi”: “Fa il bene, fuggi il male” (S. Th., II-II, q. 154, aa. 11-12).

Infatti, la trasgressione della sinderesi (il primo principio della vita pratica) ripugna alla retta ragione e all’ordine naturale (v. Rom., I, 26). Ora, in tutte le cose la degenerazione più grave è la corruzione dei princìpi, da cui tutto il resto dipende. Ora, i princìpi della ragione umana son dati da ciò che è secondo natura; infatti, la ragione - presupposto ciò che è determinato dalla natura - dispone il resto in conformità ad essa. Ciò avviene sia in campo speculativo che pratico. Perciò, come nell’ordine speculativo l’errore circa i princìpi per sé noti ed evidenti è il più grave e vergognoso; così nell’ordine pratico, agire contro natura è il peccato più grave e più turpe, poiché si trasgredisce ciò che è determinato dalla natura.

Ecco perché il cartesianismo, il kantismo e l’hegelismo, che errano diametralmente contro la retta ragione, non potevano non portare allo stato attuale della degenerazione non solo teoretica, ma anche morale e contro/natura.

Agere sequitur esse / si agisce come si pensa”. Perciò, il problema della sinderesi va inquadrato alla luce del sano realismo della conoscenza.

Se si vuol agire male, significa che si nega la realtà e si vuol rendere il bene male e il male bene.

Le origini filosofiche del “meta/umanesimo”

La nostra epoca, che nega la realtà e la vuole violentare con il gender, il fluido, il “trans/umano”, arriva a simili aberrazioni etiche perché è partita da aberrazioni teoretiche: Cartesio e Kant. 

L’intelletto umano è capace di conoscere la realtà; è un fatto evidente a tutti gli uomini forniti di retta ragione e onestà intellettuale e morale.

Spesso l’errore intellettuale ha un’origine pratica o morale, ossia ci si vuol sbagliare e non si vuole ammettere la realtà per non dover cambiar vita. 

Il pensiero moderno è impregnato di soggettivismo, relativismo, agnosticismo teoretico e morale.

La ragione umana ha la possibilità di conoscere la realtà, giungere alla verità e di farci vivere da veri uomini, ossia da “animali razionali” (Aristotele), i quali devono “fare il bene e fuggire il male: questo è tutto l’uomo” (Sal., XXXIV, 15). Come si vede la sinderesi è la conclusione logica e pratica del realismo della conoscenza, che si basa sui princìpi primi e per sé noti della ragione umana.

Non si può dubitare di tutto. Infatti, nel momento in cui dico di dubitare, implicitamente affermo che son certo almeno di una cosa: della mia asserzione di dubitare d’ogni cosa.

“È ridicolo andare in cerca di ragioni contro chi, rifiutando il valore della ragione, non vuol ragionare” (ARISTOTELE, Metafisica, IV, 4). S. Tommaso d’Aquino chiosa: “Sono stolti e insinceri i dubbi sui fatti della più ovvia esistenza” (Commento alla Metafisica di Aristotele, lezione XV, n. 709).

La filosofia realista eleva il buon senso - comune a tutti gli uomini capaci di intendere e volere - a scienza filosofica, la quale si basa sulla convinzione che esiste una realtà oggettiva indipendente dal pensiero dell’uomo, il quale ha un’intelligenza che non lo inganna, ma coglie il suo oggetto senza deformarlo, anche se non lo conosce totalmente e perfettamente.


La lotta perenne del realismo “aris/tomista” contro la sofistica idealista

Perciò, la verità esiste e consiste nell’adeguamento dell’intelletto alla realtà. L’idealismo, la sofistica, l’agnosticismo, lo scetticismo (che negano la capacità umana di conoscere la realtà) impiegano la ragione per  criticare la ragione umana, come se l’unica “ragione ragionevole” fosse la loro.

Come si vede, vi sono sostanzialmente due correnti filosofiche. 1°) La prima sostiene - secondo il buon senso e la retta ragione - che esiste una realtà oggettiva e che essa può essere conosciuta poiché esiste in sé ed è posta davanti al soggetto conoscente. 2°) La seconda è sostanzialmente una (“irrealismo”) e accidentalmente composita: o a) crede che sia il pensiero umano a porre in essere la realtà (idealismo); oppure b) che l’uomo non abbia la capacità di conoscere la realtà (agnosticismo); ovvero c) che debba dubitare di tutto (scetticismo).

Tutta la vita di ogni uomo, vissuta normalmente, presuppone la concezione realistica della conoscenza. Infatti, ogni uomo dotato di sanità mentale, ritiene che esistano più soggetti conoscenti e non uno soltanto (‘monismo’); più oggetti e non un solo oggetto (‘panteismo’). Inoltre, l’uomo normale sa che le cose reali esistono fuori del suo pensiero e indipendentemente da esso e che le conosce come sono in se stesse e non applicando loro una propria forma soggettiva (come vorrebbe Kant).

Ciò vale per gli stessi filosofi idealisti, almeno nella vita pratica. Essi in teoria propugnano l’idealismo o il soggettivismo della conoscenza, ma in pratica agiscono, e quindi pensano, da realisti.
Lo scettico Pirrone “per coerenza si sforzava di non badare ai precipizi, ma, assalito da un cane, s’impaurì, ben distinguendo un cane da un agnello” (DIOGENE LAERZIO, Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi, IX, 2). Onde “lo scettico coerente dovrebbe chiudersi nel mutismo assoluto, perché parlare vuol già dire avere ed esprimere certezze. Quindi Cratilo finì col tacere e muoveva solamente il dito” (ARISTOTELE, Metafisica, IV, 5, 1010 a).

Aristotele scriveva: “Secondo Eraclito si può negare il principio di non contraddizione. Allora, perché va a Megara e non se ne sta tranquillo a casa pensando di camminare? E perché non si getta nel pozzo, ma si guarda bene dal farlo proprio come se pensasse che cadere non è lo stesso che non cadere?” (Metafisica, IV, 4, 1008 b).

Gli astronomi sono convinti di studiare delle realtà che son fuori di qualsiasi coscienza o soggetto pensante e così i fisici, i chimici, i geografi.

Tutti gli storici considerano Giulio Cesare e il pugnale di Bruto come realtà oggettive e non come prodotti del loro pensiero.

In breve, ogni uomo fuori della discussione filosofica è immancabilmente realista e per l’idealista nell’atto di filosofare vale sempre ciò che scriveva Aristotele riguardo ai sofisti del suo tempo: “Non si crede a tutto ciò che si dice” (Metafisica, IV, 3, 1005 b).

Nel filosofo idealista o sofista si realizza immancabilmente una frattura tra la teoria e la pratica. Come uomo nella vita comune e pratica pensa e agisce da realista, mentre come filosofo, quando sale in cattedra, la pensa da idealista e nega la realtà oggettiva del soggetto conoscente e dell’oggetto conosciuto.

Ora, se per fare il filosofo bisogna cessare di esser uomo è meglio smettere di fare il filosofo.

Per esempio, Kant filosofeggiando dice che l’uomo non conosce la cosa in sé, ma la conosce come gli appare avendo applicato a essa una sua categoria o forma a priori soggettiva. Tuttavia, per arrivare a dire ciò, prima egli ha indagato su quella cosa in sé che è la conoscenza umana e che è il soggetto conoscente, ossia “Kant in sé” e non come ci appare. Se si negasse ciò, si arriverebbe a dire che ogni teoria filosofica non ha nessun valore, che è del tutto soggettiva e relativa.


Il “senso comune filosofico” e il “buon senso pratico”

Inoltre, il realismo di cui abbiamo parlato sin qui è prefilosofico, naturale, spontaneo; invece non esiste un idealismo naturale, prefilosofico e spontaneo. Infatti, solo il realismo corrisponde alla convinzione spontanea della natura umana sulla conoscenza.

Invece, l’idealista deve dimostrare che il realismo è falso, ma per far ciò deve dimostrare che la conoscenza naturale, spontanea, prefilosofica di ogni uomo funziona male, è intrinsecamente corrotta. Ma, siccome per filosofare dobbiamo servirci della nostra capacità conoscitiva, bisognerebbe smettere di filosofare e dichiarare il fallimento di ogni filosofia come di ogni capacità di conoscere.

L’uomo comune e il filosofo realista sanno che esistono e che vi sono oggetti reali al di fuori di loro. Per esempio, mentre sto scrivendo so perfettamente che le mie mani sono appoggiate alla tastiera del computer, i piedi sono appoggiati sul pavimento, i libri sono davanti a me. Perciò, io sono convinto pre/filosoficamente che esistono oggetti reali distinti da me, al di fuori del mio pensiero e distinti tra loro.

La scrivania resta ferma al suo posto, anche se io mi alzo ed esco, perciò io e il tavolo siamo due realtà oggettivamente e realmente distinte e il tavolo non deriva dal mio pensiero.

È un fatto indubitato che esistono più realtà tra loro distinte. Perciò, il monismo, che identifica in un solo ente ogni cosa, è falso. Parimenti il mio io è distinto da tutta la realtà, che non dipende dal mio “ego”.

Gli oggetti reali e i soggetti conoscenti distinti da me non consistono nell’essere pensati da me (come vorrebbe l’idealismo). Le cose esistono indipendentemente dal mio pensiero, il mio pensiero non le pone, ma le suppone e poi le conosce (cfr. ARISTOTELE, Etica Nicomachea, IX, 9, 1170 a 30-35; L’Anima, III, 4, 429 b 7-9; Metafisica, XII, 9, 1074 b 34; S. TOMMASO D’AQUINO, De Veritate, 10, 8, Commento su L’Anima di Aristotele, III, 4, lezione 9; S. Th., I-II, q. 94, a. 2).

Perciò, conoscere significa apprendere una realtà posta davanti a me, che è indipendente dalla mia conoscenza.

Conoscere significa apprendere qualcosa come un oggetto il quale sta davanti a me indipendentemente dal mio pensiero (ob-jectum, ob-jacet). Non sono io che produco col mio pensiero quest’oggetto che giace (jacet) davanti (ob) a me.

Perciò, conoscere significa apprendere una realtà posta davanti a me come soggetto/conoscente: realtà che la mia conoscenza presuppone e non pone in essere, quindi realtà indipendente dalla conoscenza.

Conoscere presuppone un oggetto, un qualcosa di reale. Infatti, conoscere nulla, significa non conoscere niente. Perciò, c’è un oggetto reale che io come soggetto pensante posso conoscere. Lo chiamiamo oggetto (ob-jacere), poiché sta (jacet) davanti a me (ob). Quest’oggetto è una res, qualcosa.

Ogni uomo normale si rende conto che non è il suo pensiero che produce questa realtà, ma si tratta di una realtà già costituita ontologicamente in se stessa, prim’ancora che io la conosca.

Conoscere, perciò, significa apprendere tale realtà e farla entrare logicamente o psichicamente in me, di modo che, nell’istante in cui conosco un ente o una res, essa, che ontologicamente o fisicamente era già costituita in se stessa, viene psichicamente o logicamente nel mio intelletto.

L’idealismo, invece, presume che l’oggetto esiste ontologicamente soltanto perché prima è prodotto psicologicamente dal mio pensiero. Tuttavia, il cerchio non è rotondo perché io lo penso così, ma lo penso rotondo perché esso realmente lo è; 2 + 2 = 4 non perché io credo così, ma perché in realtà è così e io debbo conformare il mio pensiero alla realtà.
Il bene è il bene, il male è il male non perché a me piace così, ma perché realmente è così. Perciò, nella pratica devo fare il bene (anche se non ne ho voglia) e fuggire il male (pure se mi alletta). Ecco la sinderesi, ossia il primo principio nell’ordine dell’azione: il bene va fatto, il male deve essere evitato.

In breve conosco l’essere perché esso esiste e non viceversa. Aristotele insegna: “Non perché io ti reputo bianco, tu sei bianco davvero, ma al contrario siccome tu sei bianco, io penso il vero se io dico che tu sei bianco” (Metafisica, IX, 10, 1051 b).
Così i primi princìpi evidenti e per sé noti sono innanzi tutto leggi dell’essere e quindi sono le leggi del pensare. Un ente non può nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto essere qualcosa (cerchio) e non esserlo (quadrato) perché io penso che sia così, ma è così in realtà e dunque devo adeguare il mio pensiero alla realtà (cfr. ARISTOTELE, Metafisica, IV, 4, 1006 a; IV, 6, 1011 a; XI, 6, 10063 b).

Nella conoscenza ogni tanto mi trovo davanti all’evidenza dei fatti (“il treno corre”, “il cielo è azzurro”) o dei princìpi (“il tutto è maggiore della parte”, “ogni effetto ha una causa”), ossia a qualcosa che s’impone irresistibilmente al mio pensiero e, per quanti sforzi io faccia, non posso sfuggire all’evidenza dei fatti e dei princìpi: per farlo dovrei negare l’evidenza e quindi contraddirmi. Per esempio, mentre sto scrivendo, devo riconoscere inevitabilmente che sto scrivendo e non sto correndo, così devo ammettere che 2 + 2 fa 4, che il sì è sì, il no è no e il sì non è il no, che il bene è il bene, il male è male e che bisogna fare il primo ed evitare il secondo.

L’imposizione dell’evidenza viene dal difuori e non da me, è una realtà oggettiva che mi s’impone necessariamente dal difuori e che io, volente o nolente, devo accettare sotto pena di contraddizione o di assurdità (per esempio, “il cerchio è quadrato”, “la parte è maggiore del tutto”, “il sì è il no”).

Tutto ciò porta alla conclusione che l’essere precede il conoscere e che la conoscenza umana presuppone una realtà oggettiva e l’apprende. Inoltre, per il principio di non contraddizione “ciò che non è non può conoscere (agere sequitur esse) né essere conosciuto (ex nihilo nihil fit)”.
Perciò, non c’è l’essere perché c’è la conoscenza (“cogito, ergo sum”), ma si può conoscere perché c’è l’essere (“sum, ergo cogito”). Negare la priorità dell’essere sul conoscere significa porre come punto di partenza il nulla. “Nulla è ancora e tuttavia lo conosciamo e, conoscendolo, gli diamo l’essere”.


La cattiva volontà porta alla falsa filosofia

Inoltre, alcuni rifiutano la metafisica per paura di doverne trarre conclusioni etiche che li disturbano e preferiscono ignorare per non vivere bene. “Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvagie” (Gv., III, 19).

Costoro sono “atei in pratica” e non vogliono essere neppure psicologicamente onesti e pronti ad ascoltare la voce della coscienza, anzi hanno scelto la via antimetafisica proprio per non ascoltarla e soffocarla (“noluit intellegere ut bene ageret / non ha voluto conoscere per non dover agire moralmente bene”), come Pinocchio schiacciò contro il muro il grillo parlante.

Nessun uomo di sana ragione può ignorare che il mondo esiste, che egli è un soggetto capace di conoscere e volere e che dunque deve fare il bene ed evitare il male. Cicerone chiamava la filosofia Dux vitae poiché il volere e l’agire presuppongono princìpi speculativi e leggi. La morale non può essere soggettiva, atea, a/filosofica, ma dev’essere una conclusione pratica della filosofia teoretica e della metafisica. Senza l’essere non c’è l’agire, senza princìpi e regole non vi è una retta pratica. 

Tutta la vita normalmente vissuta di ogni uomo rigetta l’agnosticismo o lo scetticismo come assurdità. Infatti, l’uomo normale sa che le cose reali esistono fuori del suo pensiero e indipendentemente da esso e che le conosce come sono in se stesse e non applicando loro una propria forma soggettiva (come vorrebbe Kant).

La morale agnostica vuol ignorare ogni oggetto da cui l’uomo possa dipendere e rifiuta di porsi il problema della verità.

L’agnosticismo limita la possibilità di conoscere la verità, soprattutto riguardo a Dio, che sarebbe totalmente inconoscibile dall’uomo. Esso riduce la conoscenza umana da razionale a puramente sensibile o animale. Perciò, trascura le essenze, il perché delle cose, il trascendente. Non nega per principio o teoreticamente questi oggetti, come fa l’ateismo, ma è indifferente, li neglige, non se ne cura, anzi afferma che in pratica è meglio non pensarci.
In un certo senso è una filosofia peggiore anche dell’ateismo, che almeno si pone il problema di Dio, ma poi lo nega. Invece l’agnosticismo non vuol pensarci. Il modernismo, adottando l’agnosticismo kantiano, è una forma d’agnosticismo/teologico, che risolve il problema di Dio per via di sentimento o esperienza religiosa (2).
In campo filosofico l’agnosticismo ha il suo massimo rappresentante in Kant, che limita la capacità conoscitiva razionale ai soli fenomeni e la nega nel noumeno o essenza intelligibile, che sta aldilà del fenomeno sensibile.

Ora la mortificazione o uccisione della ragione è la mortificazione o annichilazione e demotivazione dell’uomo, (che nella sua essenza è razionale) ed anche della verità, (che è conosciuta con la ragione). Ciò equivale a rinunziare a pensare e a giungere alla verità, cioè colpire a morte, nella sua natura, la vita umana poiché senza ragionare e senza verità non vi è più l’agire per eccellenza dell’uomo (“animale razionale e libero”, Aristotele) e il suo scopo (“conoscere il vero e amare il bene”), cioè ciò che rende l’uomo veramente uomo, la sua essenza o causa formale e il suo scopo o causa finale. Invece, così rimangono solo la causa materiale (il puro corpo, come negli animali) e una causa efficiente, che non si sa quale sia poiché la modernità nega il principio di causalità (“se c’è un effetto c’è una causa”).
Inoltre ogni ente agisce per un fine (“omne agens agit propter finem”), quindi la modernità toglie la finalità all’uomo e lo “demotivizza” e demoralizza, che è necessariamente legata alla sua natura di ente vivente e ragionevole. Infine se si toglie la verità come oggetto di conoscenza, resta che si potrebbe conoscere solo il falso, che distorce, fuorvia, devia, demolisce e infine dissocia, poiché è la difformità con la realtà e se l’uomo perde il contatto con il reale cade nella dissociazione mentale, ossia nella follia.


Conclusione

Dalla negazione dei princìpi speculativi per sé noti ed evidenti a tutti a quella della sinderesi, il passo è breve e ineluttabile.

Questo passo porterà, o prima o dopo, immancabilmente a cercare di modificare l’essere umano, onde arrivare al “transumano”, ossia al superuomo o all’uomo che si fa Dio con le sue forze naturali.

In questo piano delirante di “indiamento”, il libero arbitrio umano è negato ma per essere poi sostituito con i computer, i quali sarebbero infallibili grazie agli algoritmi, pur essendo - loro sì realmente - “creati” dall’uomo.

Insomma, si vorrebbe andare verso un “Nuovo Ordine Mondiale” in cui la libertà di decidere è tolta all’uomo ed è data alla microtecnologia.

L’epidemia del Covid19 ci ha preparato a questa trasformazione dell’umanità in una “meta/umanità”, la quale pretenderebbe di essere divina nella sua essenza.

Tuttavia, siccome questa missione di “indiarsi” non è alla portata del comune uomo della strada, occorrerebbe eliminare gran parte dell’umanità (circa 7miliardi), come l’abbiamo conosciuta sino a oggi, per far spazio a una piccola élite di semidei (appena 500milioni), ossia coloro che, presumono di essere i “padroni di questo mondo” (Gv., XVI, 11), come il loro “padre” che è “il diavolo” (Gv., VIII, 44) ed ecco la seconda fase del “trans/umanesimo”: la guerra ucraino/russa del 2022/2023.

Infatti, quanto sta accadendo nell’Ucraina rende terribilmente verosimile e praticamente realizzabile questo teorema, che sembra delirante.

L’epoca, sognata dagli ideologi del “meta/umanesimo”, dovrebbe essere segnata dall’abolizione di ogni limite (soprattutto la morte), poiché il nuovo uomo o il superuomo è in se stesso illimitato e infinito. 

Noi saremmo, dunque, l’ultima generazione di homo sapiens ed entro breve potremmo essere annichilati da un’enorme conflagrazione atomica, che sarebbe un “Diluvio universale di fuoco” ben più distruttivo di quello di acqua ai tempi di Noè, come ha predetto la Madonna ad Akita in Giappone nel 1973.

Com’è possibile tanto delirio unito a tanta malvagità? La risposta sorpassa l’umano intendimento e la troviamo solo alla luce della Rivelazione divina e della sana teologia: l’odio del diavolo contro Dio, l’Essere increato e quindi anche contro l’ente creato. Siccome il Maligno non può colpire Dio (Essere increato), allora si scaglia con furore contro l’ente creato e soprattutto contro l’uomo, che è stato “fatto a immagine e somiglianza di Dio” (Gen., I, 26) e mediante la grazia santificante partecipa, pur se in maniera limitata, alla Natura di Dio (II Petri, I, 4). Altre risposte logiche non ci sono. Siamo governati da persone che si son votate a Lucifero (3), e vogliono, come il loro padrone, distruggere la creazione di Dio, non potendo nulla contro il Creatore, è il Mysterium iniquitatis (II Tess., II, 7).

Tanto per fare un esempio che ci aiuti a “capire” quel che sta succedendo: la situazione attuale è simile ad alcuni suicidi di massa, in cui un pilota d’aereo ammalato in maniera terminale, che non accetta la sua malattia, decide d’inabissarsi e portare dietro di sé l’intero equipaggio.

Questi squallidi personaggi, affetti da delirio di onnipotenza e da sindrome napoleonica, dopo aver negato l’evidenza speculativa e la sinderesi pratica, stanno cercando di arrivare all’auto/divinizzazione o, se non riuscissero nel loro intento, di distruggere l’intera umanità, illudendosi di restare loro soli sul pianeta terra…


Proposte di guarigione


Come uscire da questo stato di cose? Ritornando alla realtà oggettiva (4), partendo dalla quale la ragione umana ascende - con un sillogismo - sino all’esistenza di Dio; tornando a una società più umana, perché fondata sui princìpi della filosofia perenne o del buon senso che ridà il primato alla scienza speculativa (conoscere per sapere) o metafisica; inoltre subordina a essa la filosofia pratica (conoscere per fare o per agire) e - infine - rimette la tecnica (conoscenza sperimentale o empirica) al suo giusto posto, che è il più basso, mentre oggi occupa abusivamente quello più alto, rendendo l’uomo una macchina di produzione, che corre affannato e disperato verso un termine che neanche lui sa bene quale sia, verso un arricchimento materiale sempre maggiore, che lascia insoddisfatto il cuore umano, poiché è pur sempre un bene finito e creato (anzi “stampato” o “coniato”) mentre “il nostro animo è infelice sino a che non riposa nel Signore” (S. Agostino), poiché solo Lui, essendo il Summum Bonum, può lenire le ansie e i problemi dell’uomo, il quale è aperto all’infinito e non è limitato al problema economico, visto da “destra” (liberismo) o da “sinistra” (socialismo).

La negazione teoretica del “principio d’identità e non contraddizione” assieme alla violazione pratica della “sinderesi” ci ha portato a questo punto; ossia, sulla soglia di un precipizio.

Seneca insegnava: “Senza la filosofia l’anima umana è ammalata e, se il corpo è sano allora sarà come quello di un pazzo furioso. Perciò, se vuoi star bene, cura prima la tua anima e poi il tuo corpo” (De constantia sapientis).

La “cura”, dunque, consiste nel tornare ai princìpi speculativi per sé noti. Inoltre, occorre ripraticare la sinderesi e la sana ascetica e mistica cristiana.

Oggi, come giustamente ha scritto padre Battista Mondin: «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come “creatore” della realtà. Hegel è il punto culminante e insuperabile della cultura moderna che parte da Occam: epoca che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio s’identifica panteisticamente col mondo, ovvero è negato oppure “ucciso” come realtà oggettiva in sé e per sé esistente» (5). Padre Mondin giustamente vede nel nichilismo del “meta/umanesimo” l’esito ultimo del panteismo e propone la saggezza classica e scolastica come terapia dei mali dell’uomo d’oggi.

L’individuo cercherebbe, col “trans/umanesimo”, di dare a se stesso gli attributi che prima conferiva a Dio. Tuttavia, “l’uccisione di Dio” comporta anche l’eliminazione di tutte le proprietà e gli attributi divini, per cui, dopo aver “ucciso Dio”, l’uomo resta non soltanto senza Dio ma, anche senza potersi appropriare delle sue qualità, tra le quali la Misericordia divina. Perciò, se il Dio tradizionale, trascendente e personale, aveva reso l’uomo “partecipe della sua natura divina”, in maniera limitata e finita, tramite la Morte e Resurrezione di Cristo fonte della grazia santificante ora, l’uomo “deicida”, avendo rifiutato Dio, ha rinunciato al “dono di Dio”: la grazia santificante.

“Chi troppo vuole nulla stringe”, prima (con la modernità idealista) l’uomo o l’Idea ha preteso di occupare il posto del Dio reale e oggettivo; poi con la postmodernità nichilistica l’uomo ha voluto “uccidere Dio” e ogni “Idea” di Dio, pur soltanto soggettiva, per diventare il super/individuo o il “meta/uomo”.

Perciò, non si tratta di aumentare (con la prassi e la tecnica) le cose che l’uomo ha, ma di accrescere - con la contemplazione della verità e l’amore verso di essa - l’uomo stesso, sia come individuo razionale e libero sia come animale socievole, che realizza nella polis la sua vera natura, poiché da solo non ci riuscirebbe: “Nessun uomo è un’isola”, neppure Occam e i nominalisti, “tranne gli eremiti o i folli” (Aristotele).

Tuttavia, se la filosofia classica greco/romana (specialmente con Aristotele) era arrivata alla metafisica, solo il Cristianesimo può perfezionare la natura mediante la grazia e farci giungere dall’essere al soprannaturale, che è “una partecipazione limitata e finita della vita di Dio”.

Solo l’albero della Croce può aiutarci a varcare il burrascoso mare della vita, come una scialuppa di salvataggio tra le onde e le procelle che attraversano la nostra esistenza. La metafisica, se accompagnata dalla pratica della sinderesi (“la fede senza le opere è morta”, Giac., II, 26), potrebbe liberare l’uomo d’oggi dai suoi mali, ma ciò comporta il capovolgimento radicale di un mondo sottosopra, in cui non c’è più spazio per Dio, per la verità, per la conoscenza, per l’amore e la morale.


La fede senza le opere e la metafisica senza la sinderesi, sono morte

Onde, occorre ribaltare di 180° i controvalori del mondo attuale e riportare l’asse ai valori perenni di “ieri, oggi e domani” (Ebr., XIII, 8), i quali, essendo connaturali all’uomo, non possono preterire. Dopo aver toccato l’orlo dell’abisso (divorzio, aborto, eutanasia, droga libera, gender, pandemia e guerra russo/ucraina) l’uomo postmoderno deve avere il coraggio di dire: adesso che tutto è finito si deve ricominciare: “Est est, non non; bonum faciendum, malum vitandum ”.

Bisogna, dunque, passare coraggiosamente e in pratica al rimedio concreto: la vittoria sul soggettivismo mediante il recupero dei valori supremi, la pratica del bene e la fuga dal male. Tuttavia, questa non è un’operazione facile, poiché implica una vera e propria rivoluzione o conversione spirituale: il ritorno alla metafisica classica perfezionata dalla scolastica tomistica e alla pratica della morale naturale e rivelata. Non si tratta di un ritorno acritico a certe idee del passato, ma dell’assimilazione e della fruizione di alcuni messaggi della saggezza antica o perenne, seguite dalla vera conversione del cuore, ossia del cambiamento di vita, facendo il bene e fuggendo il male.

Ecco perché il “meta/umanesimo” vorrebbe indurci a “fare il male e fuggire il bene” per pervertirci totalmente teoreticamente e moralmente; mentre la sinderesi ci ricorda che occorre “fare il bene e fuggire il male”… questo è tutto l’uomo; ossia un animale razionale e libero, fatto per la verità e il bene. 

Insomma il “meta/umanesimo” è una sorta d’umanità ribaltata con il cervello sotto i piedi e i piedi sopra il collo.

Mao Zedong diceva: «Fa dell’uomo una “mezza/donna”, della donna un “mezzo/uomo”; così, governerai su “mezze/cose”». Purtroppo ci siamo arrivati, parafrasando Benedetto Croce: «Non possiamo non dirci “maoisti”» …



NOTE

1 -  “Il bene è il bene, il male è il male; il bene non è il male”.
2 -  Cfr. R. GARRIGOU-LAGRANGE, Dieu, son existence et sa nature. Solution thomiste des antinomie agnostiques, Parigi, Beauchesne, 1914, 2 voll. ; A. ZACCHI, Dio, I vol., La negazione, Roma, Ferrari, 1925 ; C. FABRO, voce “Agnosticismo”, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. I, 1948, coll. 497-488. 
3 -    La prima cerimonia esoterica si è svolta il 1° giugno del 2016, quando è stato inaugurato in Svizzera - alla presenza dell’ex Primo Ministro italiano Matteo Renzi, della Cancelliera tedesca Angela Merkel e dell’ex Presidente francese François Hollande - il tunnel del San Gottardo. La cerimonia pubblica d’inaugurazione è stata preceduta da una rappresentazione teatrale esoterica, in cui comparivano un uomo/caprone e un angelo decaduto ossia due rappresentazioni del diavolo; inoltre, la cerimonia è stata accompagnata anche da una rappresentazione assai viva di riti orgiastici (cfr. Il Messaggero, 8 giugno 2021; cfr. anche https://www.uvek.admin.ch ).
La seconda cerimonia è stata l’intronizzazione dell’idolo Pachamama in Vaticano; essa può essere definita tranquillamente idolatrica. Infatti, l’idolatria è l’adorazione degli Idoli. Ora l’adorazione (con la quale si riconosce che la Persona adorata è il Creatore onnipotente al quale noi dobbiamo l’esistenza e l’agire) è riservata solo a Dio, che è l’Unico Ente infinito, Creatore del cielo e della terra. L’Idolatria è particolarmente grave perché pospone il Creatore alla creatura (S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q. 94, aa. 1- 4).
Ora in Vaticano - durante il “sinodo amazzonico” dell’autunno 2019 - abbiamo assistito all’adorazione con tanto d’incensamenti, di processioni, di benedizioni e di prostrazioni da parte di papa Bergoglio, di vari Cardinali, Vescovi e Consacrati di alcuni idoletti, sotto forma di statuette, rappresentanti alcune “divinità”, specialmente della “fertilità”. Non è dunque esagerato asserire che l’idolatria politeistica è stata praticata nei giardini del Vaticano e intronizzata - con tanto di processione fatta alla presenza di Bergoglio da alcuni Cardinali - nella Basilica di San Pietro in Vaticano e che quest’atto riveste una gravità enorme.
La terza cerimonia ha avuto luogo nel dicembre del 2019 davanti al Colosseo o Anfiteatro Flavio - ove furono martirizzati molti Cristiani - è stata eretta una statua di Moloch, un idolo dei Cananei e dei Fenici. Il Moloch era un dio che si trovava nella valle della Geenna o dell’Hinnom sul Monte Sion in Gerusalemme e al quale erano offerti sacrifici umani di bambini prima sgozzati e poi bruciati in olocausto (Lev., XVIII, 21; II Re, XXIII, 10; Ger., VII, 31). Baal–Hadad o Hammon dei Fenici (Dio della fertilità e dell’energia, simile in ciò alla Pachamama venerata in Vaticano) era onorato anche a Cartagine (in greco era chiamato Kronos la divinità titanica che ingoiò i suoi figli, da cui viene il nome della patologia di un padre che uccide i propri figli o della madre Medea, che uccide i suoi; simile in questo al Moloch esposto nel Colosseo). Il Vaticano non ha espresso nessuna perplessità per l’intronizzazione del Moloch nel Colosseo.
La quarta rappresentazione esoterica è avvenuta nell’aprile del 2021 quando un colossale Caprone di legno - alto 15 metri e largo 12 - è apparso a Milano in piazza Gae Aulenti. Esso è molto simile al Cavallo di Troia, ma anche al dio agreste Pan: metà uomo e metà capra, una prefigurazione pagana di Lucifero o del Bafometto. Questo Caprone è stato installato a piazza Aulenti dalla ditta della birra Peroni. Inoltre, in contemporanea, a Vergato (in provincia di Bologna) un artista (Luigi Ontani) ha elaborato una fontana con una statua simile al Bafometto, rappresentante un ermafrodito, ossia un uomo/donna, con seno, pene e zoccoli caprini. Essa è stata, voluta e sponsorizzata dal sindaco Massimo Gnudi del PD.
La quinta di queste rappresentazioni infernali si è svolta per le strade di Napoli, il 17 settembre del 2021, ove sono apparsi una serie di manifesti fortemente e direttamente blasfemi, contenenti delle vere e proprie bestemmie contro Dio, in occasione del “Festival delle arti per la libertà d’espressione contro la censura religiosa”, che si è tenuta al “Palazzo delle Arti di Napoli” dal 17 al 30 settembre (cfr. Il Messaggero, 22 settembre 2021).
4 -  Non come l’Io la conosce (cogito cartesiano) o come appare alle categorie soggettive della ragion pura (criticismo sintetico kantiano), ma com’è (adaequatio rei et intellectus, Aristotele). La ragione umana non è onnipotente, altrimenti non sarebbe stata sopraffatta dal nichilismo, che invece l’ha distrutta sin dalle fondamenta nel 1968 e non è rimasta di essa “pietra su pietra”. La modernità può essere paragonata alla prima distruzione incompleta della Giudea e di Gerusalemme nel 70 d. C. per opera di Tito, mentre il nichilismo è paragonabile alla devastazione totale della Judea capta nel 135 da parte di Adriano. 
5 - B. MONDIN, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3° vol., p. 373.








febbraio 2023
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