Il Signore dà una legge a chi erra

di Elia


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Delicta iuventutis meae et ignorantias meas ne memineris (Sal 24, 7).

La moderna linguistica distingue tra significato e significante, ossia tra ciò che si vuole esprimere e il segno verbale che ne è portatore. Chiunque voglia farsi comprendere in una determinata lingua deve necessariamente utilizzare dei termini ad essa appartenenti che corrispondano alle idee che intende comunicare. Di qui derivano due evidenti esigenze: che egli conosca l’idioma di colui che lo ascolta e che scelga le parole adatte a manifestare il proprio pensiero. Oggi, soprattutto in campo commerciale, economico e informatico, l’italiano è invaso da una marea di lemmi anglosassoni di cui non tutti sanno il significato (né sono tenuti a saperlo).
A parte questo inconveniente non da poco, è altresì invalsa l’abitudine, specie nel giornalismo, di usare i termini in un senso diverso da quello proprio e di sostituire quelli più disturbanti con perifrasi che facciano apparire più accettabile ciò che indicano. Per esempio la parola aborto, che designa un omicidio aggravato, è rimpiazzata da interruzione di gravidanza, come se quest’ultima fosse un qualunque processo cui si potesse por fine in virtù del semplice arbitrio individuale.

A nessuno sfugge fino a che punto tale procurata involuzione linguistica danneggi non soltanto il pensiero, ma anche la coscienza morale; per questo dobbiamo conservare e difendere la libertà di custodire il vero significato delle parole e di indicare ogni cosa con il suo nome.
C’è però un danno più nascosto e pernicioso provocato da tale andazzo: trasponendo il discorso sul piano spirituale, infatti, ci si avvede di quell’insidiosa dissociazione tra significante e significato che, nella Chiesa, viene promossa da ormai sessant’anni.
Il caso più eclatante è la concessione, risalente a pochi anni fa, della possibilità di essere ascritte all’Ordo Virginum a donne che abbiano perso la verginità. Ciò che immediatamente salta agli occhi è che non si può consacrare a Dio qualcosa che non si ha più; a sentire le motivazioni di questa lampante contraddizione, però, ci si rende conto che i responsabili di tale decisione hanno appunto scisso il senso della consacrazione verginale (la totale dedicazione di sé al Signore, anche nel corpo) dal segno sensibile che lo esprime (l’integrità fisica).

Chi non è più vergine può comunque emettere il voto di castità e osservare la continenza perfetta da quel momento in poi, se ne ha la vocazione. Tuttavia anche in questo, purtroppo, i “teologi” della vita consacrata hanno confuso le idee ai religiosi, insistendo in modo unilaterale sul significato di quel voto (lo sposalizio dell’anima con Cristo) e separandolo dal suo significante (l’impegno di astenersi per sempre dall’uso della sessualità).
Basterebbe ricordare che ogni battezzato è tenuto, sotto pena di peccato grave, a mantenere la purità, mentre i rapporti intimi tra uomo e donna sono leciti esclusivamente nel matrimonio e in vista della procreazione, a meno che motivi molto seri (pericolo di vita per la madre, gravi ristrettezze economiche o la certezza che il bambino nascerà con pesanti menomazioni) non autorizzino il ricorso degli sposi ai metodi naturali.
Se il precetto della purità vale per tutti, quanto più è obbligante per coloro che, nella Chiesa, si pongono come modelli da imitare e, a tale scopo, si collocano in uno stato distinto da quello degli altri!

I moderni teologanti, naturalmente, contrattaccheranno dispiegando tutto il loro farraginoso arsenale di argomentazioni fallaci: il valore intrinseco della corporeità, la sostanziale parità tra i battezzati, la portata spirituale dei voti… tutte obiezioni che, esposte ai millenari raggi della ragione e della fede, si sciolgono come neve al sole.
Se non avessimo alle spalle una lunghissima tradizione, quei banali errori potrebbero forse scusarsi; essi son possibili unicamente perché, col pretesto del rinnovamento della vita consacrata, si è gettato a mare un ricchissimo patrimonio di riflessione ed esperienza.
Le attuali deviazioni sono dunque effetto di una scelta deliberata (e perciò colpevole): il rifiuto di una sapienza acquisita e consolidata a vantaggio di una nuova visione “al passo coi tempi”, ma del tutto inventata in rottura col passato.
Questa irragionevole virata ha avuto inevitabili ripercussioni su tutto il Corpo Mistico, dato che i religiosi ne costituiscono il cuore: se coloro che vivono nello stato più perfetto si illanguidiscono, che ne sarà degli altri?

Qui i nostri immaginari interlocutori insorgeranno sdegnati, rivendicando la pari dignità di tutti i membri della Chiesa e l’equivalenza delle varie vocazioni, idee che non trovano però alcun sostegno nelle fonti precedenti.
Fin dall’età patristica si è riconosciuto che non solo i chierici, avendo ricevuto il sacramento dell’Ordine, sono insigniti di una dignità superiore, ma anche i monaci e le vergini, avendo abbracciato una vita di più radicale conformazione a Cristo, sono collocati in una posizione più eminente. Negare questo dato di fatto in nome di un’idea è tipico di quella mentalità hegeliana che ha contagiato la riflessione teologica; la realtà, tuttavia, precede la riflessione, la quale ad essa deve adeguarsi, non il contrario.
Tale costatazione non implica certamente che i religiosi, in virtù della loro consacrazione, siano automaticamente santi, bensì che il loro stato, di per se stesso, li predispone più degli altri alla santificazione, essendo un’imitazione più prossima di quello che il Figlio di Dio scelse per sé nella vita terrena; se perciò essi ne osservano realmente le esigenze, sono considerevolmente favoriti nel conseguire la perfezione cristiana.

L’idea che questa impostazione risenta di una visione superata che non terrebbe in debito conto un preteso valore della corporeità presuppone un’altra contraddizione.
Occorre qui preliminarmente ricordare che il corpo umano ha valore non per se stesso, ma perché vivificato dall’anima razionale, fondamento dell’identità personale nonché principio organizzatore della materia che lo costituisce. Proprio questo fatto ne impone il rispetto e proibisce di manipolarlo come fonte di piacere, comune o solitario, cosa che lo degrada ad oggetto. Il battezzato, oltretutto, è tempio dello Spirito Santo ed è quindi a maggior ragione obbligato a trattare il proprio corpo con riverenza e timore, escludendo qualunque atto possa lederne la dignità e, di riflesso, offendere Dio che lo ha creato e santificato, facendone la Sua santa dimora.
La sessualità è direttamente ordinata alla trasmissione della vita e indirettamente (cioè in vista della procreazione) all’unione degli sposi, che è solo il fine secondario del matrimonio; il suo retto esercizio richiede un vincolo stabile, il quale, pur compiendosi in esso, non è rafforzato dal commercio carnale ma, essendo stato posto in essere con un atto della volontà ratificato da Dio, dalla fedele dedizione reciproca e dalla grazia permanente del sacramento.

Chi rinuncia alle nozze carnali non lo fa per essere più libero né, tanto meno, per ragioni di ordine socio-politico, bensì per unirsi più strettamente al Signore.
Se è vero, allora, che tale scelta ha un significato eminentemente spirituale, proprio per questo è altrettanto vero che l’amore per Dio esige l’astensione completa da quanto possa offenderlo. Un atto di impurità o di fornicazione, nel caso di un religioso, comporta un duplice peccato in materia grave: uno contro il sesto e uno contro il primo comandamento, in quanto egli è tenuto ad evitarlo non soltanto in virtù della legge naturale, ma anche per l’impegno che si è liberamente assunto col Creatore.
Con ciò non vogliamo certo atteggiarci a moralisti, ma solo ricordare umilmente la verità intrinseca delle scelte compiute, la quale contiene in sé la loro finalità.
Se uno, pur partendo da una posizione sfavorevole, conosce l’obiettivo cui tendere e i mezzi da usare per raggiungerlo, è già in forte vantaggio; se invece li ignora, non potrà fare altro che sprofondare sempre di più, dato che, nella vita morale come in quella spirituale, o si sale o si scende: è impossibile rimanere in una posizione di mediocrità.

L’autentica rinnovazione della Chiesa richiede necessariamente che il clero e i religiosi tornino ad essere ciò che devono essere, perfettamente casti e continenti, così da poter far nuovamente brillare la luce del Vangelo in una società che, avendolo rinnegato, è sprofondata in una cloaca di lerciume peggiore di quello che la prima predicazione cristiana trovò nell’ambiente pagano dell’antichità.
E’ estremamente urgente, per la conversione e salvezza di tanti uomini e donne del nostro tempo, che questo avvenga al più presto, anche perché i membri più nobili della Chiesa sono esposti ad una condanna ben più grave di quella dei laici.
Non dimentichiamo poi che i peccati contro il sesto comandamento sono quelli che portano più anime all’Inferno e danneggiano di più, insieme alla superbia, la vita spirituale. Siamo invece immensamente grati al Signore di averci estratti, per pura misericordia, dall’abisso di perdizione che sta risucchiando il mondo contemporaneo.
Le difficoltà dell’impresa non devono scoraggiare nessuno, dato che Dio non esige nulla di impossibile, ma dona sempre le grazie necessarie a chi sia disposto a riceverle e a corrispondere ad esse.

Ad maiora!







febbraio 2023

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