Paolo Gulisano

intervista

Alessandro Gnocchi

9 febbraio 2023


Pubblichiamo la trascrizione, fatta da noi, dell'intervista che
Alessandro Gnocchi ha accordato a Paolo Gulisano.

L'intervista si è svolta nei locali di Monasterium, alla presenza di altre persone che hanno rivolto delle domande scritte ad Alessandro Gnocchi

Il video dell'intervista

https://www.youtube.com/watch?v=pOVzO-BQJ4E





Alessandro Gnocchi e Paolo Gulisano nel corso dell'intervista


Paolo Gulisano intervista Alessandro Gnocchi, Autore per le edizioni Monasterium del libro “Ritorno alle sorgenti”, all’interno del quale racconta e spiega le motivazioni che lo hanno spinto ad abbracciare il cristianesimo ortodosso.

Dopo la presentazione del libro di Alessandro Gnocchi: “Ritorno alle sorgenti – Il mio pellegrinaggio ad Oriente nel cuore dell’Ortodossia”, edizioni Monasterium, 2023, https://monasterium.org/, Paolo Gulisano inizia l’intervista.


Paolo Gulisano (PG): In primo luogo voglio fare una domanda ad Alessandro riguardo al fatto che questa è una  collana di libri monastici … e Alessandro Gnocchi non è un monaco, è una persona sposata con figli … e quindi potremmo dire con una battuta: che ci azzecca in questo tipo di collana un libro del genere?

Alessandro Gnocchi (AG): Grazie a te, Paolo, di essere qui questa sera a parlare di questo libro; di cui sai tutto perché ne abbiamo parlato a lungo.
Cosa c’entra questo libro con Monasterium che è una collana di impostazione prettamente monastica? Sono almeno due i motivi: uno perché io lavoro un po’ per la casa editrice Monasterium, collaborando con Padre Michele del Monte, che è l’anima di tutto questo… e quindi credo che questa sia una collocazione buona … perché le tracce di Monasterium, lasciate con tutti i libri pubblicati, che finora sono più di cinquanta, hanno contribuito in tutti questi anni alla mia formazione spirituale … e perché questi testi di questi grandissimi Autori, che sono patrimonio dell’Oriente e dell’Occidente, mi hanno fatto comprendere che alla fine ogni cristiano è chiamato ad essere un monaco, così come può esserlo nel luogo in cui si trova, nel tempo in cui si trova, nella condizione in cui si trova.
Noi laici non abbiamo molto di diverso rispetto ai monaci, se non le condizioni nelle quali viviamo. Uno potrebbe dire che le condizioni dei laici sono più difficili perché sono distratti da un sacco di questioni, sono presi da molte questioni, in realtà chi poi conosce i veri monaci, conosce i veri eremiti, come ci è capitato di fare, si rende conto che la nostra vita forse è un po’ più facile della loro; però siamo esattamente … siamo chiamati a essere imitatori dei monaci. Così come i monaci sono sicuramente più imitatori di Cristo rispetto a noi, noi dobbiamo fare esattamente la stessa cosa. Per cui la riflessione di un laico che racconta come la vita di preghiera, la vita, per quel poco che è possibile, di ascesi, la vita di studi e di approfondimento che porta a un frutto spirituale, io penso che ci possa stare. Anzi credo che Monasterium possa aprirsi ad altre testimonianze di questo genere che sono, io spero, utili - almeno questo alcuni me lo stanno dicendo – a tutti noi, per capire dove ci troviamo e per capire come il luogo nel quale ci troviamo, che è un luogo molto difficile … facendo quello che un monaco farebbe in queste condizioni, … Il libro di un laico ci sta perché un libro di un laico che parla di cose spirituali è un libro in qualche modo monastico.

PG: Bene, ci sta in pieno. Posso confermarlo avendo letto questo libro, poi entreremo nel merito del contenuto. Però il libro ha … anche un elemento che ha costituito, sta costituendo un aspetto … un po’ controverso, perché … non è un mistero per nessuno che questo libro sta suscitando anche delle controversie, perché appunto il tipo di monachesimo, il tipo di spiritualità a cui sei approdato è un monachesimo orientale e questo libro è anche il racconto di come tu sei – come dici tu – ritornato alla Chiesa ortodossa. Io devo dire che questo libro è stato anche per me importante per capire qualcosa di più della Chiesa ortodossa. Io confesso pubblicamente di non conoscere così bene la Chiesa ortodossa come altre esperienze di Chiesa. Tra l’altro, qui, sono sempre venuto a Monasterium per parlare innanzi tutto del cristianesimo, molto occidentale, perché il cristianesimo celtico, quella forma di cristianesimo ascetico, esigente, straordinario, come fu anche alle origini della civiltà europea, che era il cristianesimo nato nei boschi dell’Irlanda e nelle scogliere della Scozia; e quindi io provengo molto da Occidente. Tu invece sei andato in pellegrinaggio a Oriente. Però io della Chiesa ortodossa posso dire che mi aveva sempre colpito, fin da ragazzo, fin da quando seguivo con passione le vicende del martirio dei cristiani, quindi cristiani cattolici, ortodossi, nei territori dell’allora Unione Sovietica. Ammiravo e guardavo a personaggi come  Alexander Solženicyn e ad altri. E poi un giorno sentii, tra l’altro da un sacerdote cattolico, declamare … parole di un grande scrittore ortodosso che era Vladimir Solovev … l’imperatore si rivolge ai cristiani dicendo “ditemi voi stessi o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri capi e fratelli, che cosa avete di più caro nel cristianesimo? Allora si alzò in piedi lo starez Giovanni e rispose con dolcezza: “Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso, Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, poiché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità”. … E il sacerdote cattolico, così affascinato da queste parole che comunicava con quella passione, era Don Luigi Giussani. Quindi mi si aprì anche una prospettiva su come anche un ortodosso, un appartenente ad una Chiesa definita eretica, scismatica potesse cogliere nel segno. … Ora, io nel tuo libro ho trovato questo, ho trovato una ricerca di Cristo, una sequela di Cristo, un andare alla ricerca di Cristo e finalmente trovarLo e poi testimoniarLo. Io spero di non avere interpretato in maniera un po’ forzata quello che tu hai scritto, ma credo che il tuo libro sia assolutamente cristocentrico, e quindi sia davvero una guida alla ricerca di chi cerca risposte alle domande che sono nel cuore di ciascuno, che tu abbia tracciato in questo tuo percorso spirituale … un vero sentiero che si dirige verso Cristo.


AG: Guarda Paolo, tu mi fai anche troppo onore… io vorrei, … vabbè, leggo un altro intervento “ho avuto questo libro non appena mi ha balenato agli occhi e mi ha fatto sentire meno solo”. Ecco, questo è sostanzialmente quanto mi proponevo, perché partivo da un dato di fatto, … che io stesso … in questo pellegrinaggio che ho intrapreso, non dico al termine, perché è ancora in corso, sono tornato a casa, mi sono sentito meno solo.
Tu, all’inizio di questo tuo intervento … hai detto una cosa importante per quanto riguarda il succo di un cammino spirituale che è quello di incontrare Cristo. Ecco, io adesso accenno solo brevemente a tutte le voci polemiche che si sono levate in questi giorni, devo dire anche incresciose, comunque in tutte, sia quelle che sono circolate pubblicamente sia quelle che poi sono arrivate privatamente … inopinatamente, con messaggi, lettere e anche telefonate notturne, non ho mai sentito nessuno che parlasse di Nostro Signore, di Gesù Cristo, questo credo che sia importante dirlo. … Io ho incontrato… penso di poter dire di avere veramente incontrato Cristo… credo di poter dire in tutta coscienza di non aver mai visto prima questo volto come l’ho visto adesso … questo ha cambiato la mia vita. E penso che questo sia l’unico criterio col quale si possa giudicare una scelta, una strada, che vengono intraprese in tutta coscienza in tanta meditazione, in preghiera e nel rispetto di chiunque, perché tra l’altro, io tengo a dirlo, … dal giorno in cui sono diventato formalmente ortodosso, il 19 ottobre del 2019, io ho smesso di giudicare chiunque, di giudicare la fede di chiunque e di giudicare il cuore di chiunque, per cui mi occupo e mi preoccupo anche pochissimo di quanto viene detto su questo mio percorso, perché per la prima volta mi trovo veramente a casa e mi trovo sulla mia terra, io sono un piccolo … ma neanche un fiore… un piccolo stelo di erba che stava probabilmente rischiando di morire e diventare secco… e la grazia, la Provvidenza nella sua infinita e grandissima bontà e misericordia lo ha raccolto e lo ha messo in terra fertile. Quello di cui mi voglio curare oggi, da qui in avanti, insomma da questi anni in avanti, è di fare in modo che questo filo di erba, esile, piccolo, stortignaccolo, che sono io, non muoia allo spirito. E per fare questo, e ti ringrazio anche di aver citato quel brano letto in modo così appassionato da Don Giussani, che non fa parte di una formazione che non mi appartiene, ma questo proprio in virtù del non giudicare, mi fa comprendere che si possono percorrere vie diverse di trovare punti di contatto laddove si cerca la verità.
E’ un libro cristocentrico, e io vorrei aggiungere, perdonami il termine, trinitario-centrico, che è tipico … dell’ortodossia; e poi mi fermo.
Però voglio dire che io non ho mai provato un senso di pacificazione, ma anche di invito alla profondità come quando guardo l’icona della Trinità di Rublev. Anche qui, per la prima volta, io mi ero occupato, come tu sai, di liturgia, di simboli, di scrittura, di segni, ma ho capito che ero molto in superficie rispetto a ciò che Cristo, Dio, la Trinità ci chiedono, e adesso invece, quando guardo la Trinità di Rublev, non sempre riesco a reggere lo sguardo. Sento veramente che dica qualche cosa di veramente di grande, qualcosa di infinitamente più grande di noi, che ci sta parlando con parole comprensibili. Il Verbo, Cristo, è la parola più comprensibile che possa essere rivolta ad un uomo, e il problema nostro, e quello di oggi, è che quella parola che è così comprensibile da averci creato, la rifiutiamo, la travisiamo.
Io, con questo cammino, vorrei proprio veramente muovermi in questa direzione. Non è facile, non è semplice, però credo che sia l’unica strada che possiamo intraprendere.
Io mi fermo qui ti ringrazio e ringrazio anche questo amico Antonio che ci chiama fratelli carissimi e sta parlando ad appartenenti a confessioni diverse e non si scandalizza.


PG: Bene. Allora, torniamo a questo libro che, ripeto, è una specie di vera e propria autobiografia spirituale, dove però tu alla fine non parli di te stesso… ma parli, e nel libro ci sono anche parecchie citazioni, di passaggi di Padri della Chiesa, di grandi Santi.
Ecco, questo percorso mi ha fatto rivedere un po’ – non faccio un mistero del fatto che io ti conosco da più di trent’anni – e per molto tempo ho visto, come ti hanno visto, credo, i tuoi numerosissimi lettori – ricordiamo che hai fatto tantissimi libri – che eri un’opinionista del Foglio, eccetera – eri una sorta di guerriero, di cavaliere con la sua spada, lo scudo, eccetera. Adesso, come accadeva a molti guerrieri antichi, hai deposto la spada, lo scudo, e come facevano questa scelta entravano in un monastero, appunto, per diventare magari eremiti, piantavano la spada e la spada diventava una croce. Ecco, per certi versi la storia tua che emerge in queste pagine è proprio quella di un cavaliere, di un guerriero che ora è diventato un monaco nella modalità che abbiamo detto prima, cioè stando comunque nel mondo prendendoti cura dei tuoi figli e anche dei tuoi nipoti, eccetera. Quindi, è verosimile questa descrizione che ho fatto: il passaggio da cavaliere, da guerriero a monaco? Oppure è una mia, un mio volo pindarico, provocato dalla lettura di queste pagine?


AG: Ma, come dicevi prima ci conosciamo da trent’anni. I miei amici più intimi, tra cui ci sei tu, sanno che il mio carattere non è mai stato molto mansueto, e sanno che … anche con gli amici … Fosse stato qualche anno fa, di fronte a certe prese di posizione avrei reagito sicuramente in modo diverso, ma, mi pare che ora la descrizione che tu hai dato, fatte le proporzioni – perché veramente io sono una briciola, rispetto non solo ai giganti, ma anche rispetto ai nani della spiritualità - questa descrizione che tu hai fatto corrisponda alla verità, nel senso che davvero c’è qualche cosa che è cambiato radicalmente nel modo di affrontare la vita anche nelle sue difficoltà, che sono poi anche la malattia, che sono tutte quelle cose che affliggono, e intanto di essere felici, che siano anche queste cose, non è che io ce la faccio sempre, ma di sapere che questo è per il nostro bene, e quindi anche tutto ciò che ci umilia, perché c’è un modo solo per diventare umili, che credo sia una delle virtù più grandi del cristiano, che è quella di ricevere le umiliazioni, perché tutti noi vorremmo essere umili, ma poi non vogliamo percorrere la strada che ci porta all’umiltà, vedo che infatti qui ci dicono sempre dagli amici di dieci anni che i guerrieri della selva medievale hanno abdicato alla loro posizione terrena per ritirarsi in monastero e testimoniare la Parola … è veramente un passo diverso questo, che mi porta a vedere le cose in modo diverso, hai veramente un modo diverso di camminare, di approcciarsi , e in questo mi hanno aiutato molto, più che i testi, diciamo impegnativi, di teologia, di spiritualità, mi hanno aiutato molto le vite dei Santi, di questi Santi che alla fine erano, quanto più erano grandi, tanto più erano consapevoli del fatto di essere i peggiori esseri sulla terra. Io faccio sempre l’esempio del ciabattino di Alessandria, che fa parte della storia di Sant’Antonio Abate, ci metto un secondo a raccontarla, ma credo che sia il cuore della spiritualità che io ho incontrato, che è questa: A un certo punto Antonio, quindi non stiamo parlando dell’ultimo dei Santi, stiamo parlando del padre di tutti i monaci, si chiede se lui è veramente arrivato al vertice della spiritualità, e il Signore gli dice: non ancora, perché devi andare ad Alessandria dove c’è un ciabattino e farti dire come fa lui ad essere così avanti nella vita spirituale, così grande nella vita spirituale; quindi Antonio va ad Alessandria, trova il ciabattino e gli chiede: ma tu che cosa fai; io, otto ore al giorno prego, otto ore al giorno lavoro, otto ore al giorno riposo e do quello che devo dare ai poveri e altro; e Antonio, di fronte a tutto questo pensa, non c’è niente di più grande rispetto a ciò che faccio io e allora chiede al ciabattino: ma sicuramente fai anche qualcos’altro. Il ciabattino è sorpreso e dice: l’unica altra cosa che faccio è che sto qui nella mia bottega, guardo le persone che passano per la strada e penso che tutte queste persone si salveranno e io no. Ecco, questo è il motivo per cui il ciabattino di Alessandria era più grande di Antonio. Io penso che tutti i cristiani debbano intraprendere questa strada, non è necessario essere ortodossi per farlo, però, io la cosa che posso dire è che aver incontrato questa spiritualità, essere entrato in questa Chiesa, avere visto certi esempi e anche così tanti esempi viventi, sicuramente mi ha aiutato. … non so se ho risposto alla tua domanda, Paolo, però, per finire, credo che tu possa testimoniare che questo Alessandro Gnocchi è un po’ diverso rispetto a quello di qualche anno fa.


PG: Certo. Negli scorsi anni, leggendo tra le righe dei tuoi libri, forse la parola che veniva ripetuta più spesso è la parola tradizione, e in questo libro, invece, la parola che risuona più forte è la parola santità.

AG: Sì. Io l’ho anche scritto recentemente, perché è questo a cui siamo chiamati, siamo chiamati a essere santi, non a essere uomini di tradizione, di progresso, di conservazione, di mezzo progresso… l’uomo, qualsiasi uomo che vive nel mondo è chiamato a essere santo; non è chiamato a essere altro. Io ci ho messo moltissimo a capirlo tutto questo, sono veramente di cervice durissima, ma fosse solo quello sarei sicuramente scusato. Io credo di dovermi fare perdonare dal Signore la durezza dello spirito, più che la durezza della cervice, perché essere stupidi non è una colpa, essere duri di spirito, stupidi di spirito, e coltivare questa durezza, questa stupidità, è veramente grave, e sto parlando di me. Per cui, quell’utilizzo della Tradizione, con la T maiuscola, con tutte queste cose qui, ha fatto parte di un lungo tratto della mia vita … non servivano a me, io ritengo di essere stato sempre in buona fede. Ciò che invece ritengo di dover additare alla … di dover confessare, per essere ancora più preciso, è la durezza dello spirito che alla fine viene dall’orgoglio, non viene da nessun’altra via. E invece c’è bisogno della santità; perché tra l’altro la stessa santità assunta come criterio ti porta veramente alla tradizione, quando si capisce che cosa vuol dire tradizione. Anche questo l’ho già detto quando ne abbiamo parlato, ma ci tengo a dirlo anche qui, io ho capito che cosa è la tradizione e ho smesso di parlarne nel momento in cui, grazie all’aiuto di persone molto più sagge di me, monaci molto più saggi di me, anzi, io non lo sono per niente, quindi io ho fatto un percorso che intanto ho risalito, attraverso lo studio dei Padri, più che lo studio, la lettura un po’ più compulsata e orante dei Padri, ho risalito il torrente della tradizione fino alle fonti, quindi il ritorno alle sorgenti, ha questo senso qui il titolo, e poi l’ho disceso e ridiscendolo ho capito che cosa era la tradizione, che voleva dire sostanzialmente non variare niente di ciò che la fede apostolica ci ha dato, perché andando a cercare dove questa fede apostolica non era variata mi sono trovato a casa. Ecco l’altra cosa che voglio aggiungere, anche questo l’avevo scritto in un articolo uscito su Ricognizioni, che poi ho ripreso anche nel libro, dicendo che abbiamo bisogno di uomini buoni; e secondo me non abbiamo bisogno tanto di persone, di uomini che ritengano di essere alla guida dei nuovi cambiamenti, di un mondo più bello, di un mondo migliore, perché purtroppo poi combinano un sacco di guai; anch’io in questo che ho scritto, mi sono persino ritenuto di poter essere uno di questi. Poi ho capito che non è così. Noi abbiamo bisogno veramente di uomini buoni, perché più uomini buoni ci sono, più buono sarà il mondo, più uomini belli dentro ci saranno, più buono sarà il mondo, più uomini veri ci sono, più vero sarà il mondo. Io credo che è questa la strada da seguire per poter veramente cambiare qualche cosa, fatto salvo che poi, voglio dire, ognuno si impegna nella sua vita, nelle sue scelte. Io mi ritratto anche da tutte le illusioni vuoi politiche o altro. E quindi credo che questo ritrarmi mi ha aiutato in tutto ciò.
Vedo una domanda, che mi chiede: il passaggio all’ortodossia fatto con tua moglie, come è avvenuta questa scelta di coppia? Allora, come al solito abbiamo litigato, nel senso che la prima volta che siamo stati alla divina liturgia, io devo dire che in qualche modo mi ero preparato, … mi sentivo pronto per farlo; devo dire in tutta franchezza che come ho aperto le porte della chiesa, mi sono … trovato a casa. Per mia moglie non è stato così, anzi! Per cui c’è stato un periodo di rodaggio non indifferente, sul quale poi ha lavorato quello che poi sarebbe diventato il nostro starez, il nostro anziano che è un monaco eremita, - tra l’altro un benedettino convertito all’ortodossia – e con la pazienza e senza mai chiedere nulla, mai spingere nulla; alla fine ci siamo arrivati praticamente insieme, e devo dire che il nostro padre spirituale mi aveva anche detto: se questo passo non lo fa tua moglie, formalmente non farlo neanche tu; vivi da ortodosso dentro il cuore e stai dove sei ora; quindi, devo dire che, oltre che dire grazie alla Provvidenza, devo ovviamente anche ringraziare mia moglie, perché altrimenti non avrei fatto questo passo, che invece per la mia vita è stato fondamentale, perché il sentirsi a casa solo con il cuore è una prova che, nella mia piccolezza, non avrei saputo reggere.

PG: Bene, Sandro. Allora, qua a me hai evocato inevitabilmente un collegamento con uno scrittore che amo molto, Chesterton, perché Chesterton 90 anni fa diceva le tue stesse parole, diceva: occorre essere uomini buoni, questa … questo suo auspicio, questa sua speranza, questo suo obiettivo di cercare appunto di risvegliare nel cuore dell’uomo la bontà. E poi con questa ultima annotazione biografica mi hai fatto venire in mente anche un po’ la storia personale di Chesterton, che era protestante, aveva una moglie protestante, una moglie, come dire, molto sensibile, e aveva rimandato per anni la sua conversione, perché temeva di ferire sua moglie Frances; solo quando aveva capito che il suo diventare cattolico non l’avrebbe ferita, fece quel passo e poi, fra l’altro, fu seguito un anno dopo da Frances stessa; e tra l’altro, anche qua è curioso, perché Chesterton, quando ancora non era cattolico aveva scritto delle cose straordinarie naturalmente cattoliche, appunto: tutte le avventure di Padre Brown. Chesterton si converte nel ‘22 e comincia Padre Brown nel ’12; e poi aveva scritto quel libro straordinario, che forse è il suo capolavoro dal punto di vista saggistico, che è: Ortodossia, che non è l’ortodossia a cui sei arrivato tu, ma comunque ortodossia, cioè il pensare retto negli anni prima ancora, nel 1908. Ma, a questo punto, davvero, l’obiettivo è per tutti i cristiani, la santità, non un ecumenismo del minimo comune denominatore, che sicuramente non piacerà a te e non è mai piaciuto negli anni scorsi, negli anni dell’apologetica tua della spada e non mi piacerà evidentemente adesso. Però io credo che l’ecumenismo, se lo vogliamo chiamare così, della santificazione, è forse quello che conta di più.
Adesso volevo leggere un passaggio sorprendente, poi lo faccio commentare a te, piuttosto sorprendente perché c’è un pensatore ortodosso, Eugeny Pazukhin,… che è autore della prima biografia, finora unica russa, di Josemaría Escrivá, il fondatore dell’Opus Dei, e questo Eugeny Pazukhin sorprendentemente scrive che il messaggio di Escrivà, che è quello della santificazione del quotidiano, del lavoro, eccetera, è in realtà un ideale molto vicino a quello dell’ortodossia della cristificazione. Torniamo a quello che si diceva all’inizio, alle parole di Solovev, Cristo l’unica cosa che conta del cristianesimo. Quindi, appunto, Pazukhin parla della cristificazione di sé, la ricerca della santità, e appunto dice che Escrivà potrebbe rappresentare la base solida per costruire un vincolo di unione tra cattolici e ortodossi e per costruire la Russia di domani; parole di questo Eugeny Pazukhin nella biografia russa di Escrivà. Quindi, non è l’ecumenismo del volemose bene, ma non è neanche quella, come dire, rabbiosa chiusura al parlarsi, al dialogare, fatto magari di strali lanciati da uno verso l’altro, di accuse di essere scismatici, eretici, eccetera. Questo ecumenismo della santificazione, che poi forse secondo me, è anche quello che hanno vissuto i cristiani, cattolici e ortodossi, nei  lager, nei gulag anzi, … quindi, martirizzati insieme nei campi di concentramento in nome di Cristo. Quindi il martirio ieri, e forse oggi la santificazione o cristificazione potrebbe essere quello che ci fa camminare insieme.

AG: Ma, io credo che non si possa neanche equivocare sul concetto di ecumenismo, ne stiamo parlando noi due perché credo che sia abbastanza chiaro cosa pensiamo di quello cui è stato ridotto questo concetto qui. Per cui possiamo parlarne tranquillamente. Io credo che essere fratelli in Cristo sia il punto fondamentale … Questo concetto della santificazione, lo dicevo prima, siamo chiamati tutti, non sono chiamati solo gli ortodossi, solo i cattolici, solo i protestanti, ma tutti sono chiamati a santificarsi; cioè a salvarsi. … Allora, io non sono in grado di dare un giudizio sul parallelo della santificazione di Escrivà; un po’ la conosco, come sai, non so se è qualcosa che in questo momento mi attiri. Però a me attira molto di quel mondo e in particolare di quell’uomo, sto parlando di Escrivà, che è tipico del tratto anche proprio spirituale del mondo che ha formato, che è quello della finezza spirituale che non è così diffuso purtroppo. Tra l’altro sai che è morto recentemente Cesare Cavalleri, che era, è stato il Direttore di Studi Cattolici, della casa editrice Ares, che sono strettamente legate all’Opus Dei, e io, in qualità di responsabile di Ricognizioni, del nostro sito, ho chiesto a chiunque di noi di scrivere un ricordo, e ne ho scritto uno anch’io, perché ritengo che Cesare Cavalleri fosse un bravo cristiano, un bel cristiano. Quindi, io credo che questo sia un modo nel quale si debba guardare, si deve guardare attorno, per cui penso sostanzialmente quello che stavi dicendo tu.
Ne approfitto, perché ci sta qui dentro anche il ricordo di Mario Palmaro. Anche perché qui vorrei rispondere, ma neanche rispondere, a una obiezione, che è anche legittima, perché molti mi hanno detto, ma che cosa avrebbe detto Mario Palmaro oggi di fronte a una cosa di questo genere. E, allora, è una domanda mal posta, perché non si può pensare a che cosa avrebbe detto una persona che non c’è più da 8 anni… e quindi, io ci tengo a dire che tutti i giorni prego per Mario, e ci tengo a dire che Padre Ambrogio Cassinasco che conoscono i nostri ascoltatori che ci seguono su questo canale, conoscono immagino perché è stato più volte con noi e lo sarà ancora presto, prega a nome mio, tutte le volte che c’è la divina liturgia, anche per l’anima di Mario. Padre Ambrogio è il parroco della parrocchia ortodossa russa di Torino. Io credo che questo sia ciò che si possa dire. Ecco, ci tenevo a dire questo. E un’altra cosa che ci tengo a dire, e anzi a ribadire, perché tra l’altro stiamo arrivando verso la fine dell’ora a nostra disposizione, è questa: rispondo a una domanda che mi era stata fatta ad Ancona qualche mese fa durante una conferenza. C’era una signora che è intervenuta garbatamente facendo una domanda posta bene, e anche intelligente, e mi ha detto: guardi, io era venuta ad un convegno di Fede e Cultura a Verona, e adesso la ritrovo qui e sento che lei è diventato ortodosso, non è che la cosa mi scandalizza, assolutamente, volevo solamente chiederle se questo l’ha fatto, se viene dalla delusione di ciò che è la Chiesa oggi o se ci sono altre ragioni.
Ecco, io spero brevemente di avere spiegato, almeno di aver detto alcune cose sulle ragioni che mi hanno portato fino a qui, che non hanno, sottolineo non so quante volte, non hanno, non hanno, non hanno, non hanno nulla a che fare con la delusione e tanto meno con lo stato della Chiesa. Io sono certissimo che avrei compiuto questo passo con mia moglie anche se la Chiesa cattolica romana fosse stata la migliore di sempre, perché io ho capito che per circa 60 anni non mi ero trovato, non ero a casa mia. C’era per molti decenni una militanza, un’appartenenza, ma che non era un essere a casa propria e io a casa mia ci sono ora; e forse sono un po’ cambiato, sono più tranquillo, più sereno, perché chiunque si trova a casa sua sta bene. Io, oggettivamente sto bene; non so come dirlo diversamente. Oggi è venuto a trovarmi nel pomeriggio un sacerdote cattolico, che voleva parlare di queste cose, che tu conosci, Paolo, e stavo dicendo esattamente questo: io per la prima volta, da quando ho compiuto questo passo, ho scoperto che cosa vuol dire appartenere a una Chiesa. E, io penso che ci siano molti cattolici romani che possano dire questo, e sono molto felice per loro. A me capita solamente ora. E appartenere alla Chiesa vuol dire essere nelle braccia della propria madre e del proprio padre. E questo a chi mi dice: ma ha sentito dire che la mamma, la madre non si abbandona anche se la madre non merita? Non è questo il criterio col quale io ho scelto di entrare nella Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca. Sono entrato lì perché dov’ero prima non ero con mia madre, è molto semplice. Se si comprende questo non vedo dove si possano trovare problemi, polemiche e altro, e se altri trovano a casa loro la loro madre altrove sono felicissimo.
Allora, perché, chiede Giovanni Sismondi, ortodossia russa e non greca. Sì, ci sono differenze notevoli, ci sono differenze notevolissime, perché la Chiesa greca, il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, è una delle peggiori sciagure che siano capitate ultimamente all’ortodossia in generale e molti dei danni che stiamo vedendo, vengono esattamente da lì. Non voglio entrare nel dettaglio, e poi ci sono tantissimi ortodossi greci buonissimi; e il Patriarcato di Costantinopoli non è così in questo momento. Se, visto che è per dare un’idea, e forse in questo riconoscerai il vecchio Alessandro Gnocchi, Paolo, se non fosse entrato nel Patriarcato di Mosca sarebbe rientrato nella Chiesa serba; ecco, giusto per intenderci e anche per dare un po’ l’idea della geografia spirituale …
Ecco vedo un altro, leggo: nei campi di concentramento sovietici si cercavano di individuare non gli ortodossi, i cattolici, bensì i credenti … è vero, questo è il discrimine della testimonianza autentica. I credenti, quando sono veri fanno del bene, fanno tanto bene e fanno anche tanta paura.

PG: Bene, abbiamo ora la conclusione di questa nostra puntata, di questo nostro incontro, di questo dialogo. E si è svolto anche in un giorno significativo. Oggi è il 9 febbraio, che è il giorno della memoria dei nuovi Martiri e Confessori russi. E vorrei soltanto leggere ancora un piccolissimo passaggio, ma significativo, del tuo libro, perché entrando, innestandoti in questo filone, in questa tradizione ortodossa russa, ovviamente c’è un grande ruolo, della Chiesa ortodossa russa, della Madonna. Tu dici, tu scrivi a un certo punto: Lei è davvero la Madre di Dio, nostra protettrice presso Dio e il suo nome basta a rallegrare l’anima, ma tutto il Cielo e tutta la terra esultano nel suo amore. Lei è la nostra gioia e la nostra speranza. E’ nostra Madre secondo lo spirito ed è simile a noi secondo la natura in quanto essere umano e ogni anima cristiana si rifugia in Lei con amore.
Ecco, anche questo tipo di tenerezza, di devozione fatta di tenerezza per Maria, nostra Madre, è davvero qualche cosa di estremamente significativo. Ecco, ci fa capire che siamo di fronte, ancora una volta, lo ribadisco, in questo libro ad un cammino spirituale prezioso. Leggere questo libro fa venir voglia di diventare migliori, di diventare cristiani migliori, di diventare uomini buoni, di compiere il bene e di sanare il male. Chiudo con parole di qualcuno che sembrerebbe non c’entrare nulla con questa serata, che è Tolkien, che è, come dire, un grande cristiano, un cattolico, e comunque c’è ancora qualche imbecille che lo vede come un pagano, ma invece Tolkien chiude Il Signore degli Anelli, affidando a Gandalf queste parole: ciò che tocca a noi è lasciare a chi verrà dopo di noi terra buona e sana da coltivare. Dunque, questo libro, Ritorno alle sorgenti, è un libro che fa venir voglia di coltivare e proteggere la terra buona, di lasciarla a chi verrà dopo di noi in tale modo.
Grazie, grazie Alessandro Gnocchi per la tua testimonianza. Grazie per averci dato questo libro Ritorno alle sorgenti.

AG: Guarda, io ti ringrazio, Aggiungo solo, sempre rimanendo in tema tolkieniano, ricordo il Sem che, dopo tutta l’avventura, è tornato a casa in Contea dicendo: sono tornato. Ecco, io credo di poterlo dire.





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