Riflessione sull’operato di Mons. Viganò
ed un appello alla concretezza

di Cristiano Lugli






Come fedele cattolico e padre di famiglia, da qualche tempo sento il bisogno di trattare un argomento che pur con tutte le attenzioni ed il rispetto dovuto, credo meriti di essere trattato.

Mi riferisco all’importante figura dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, certamente una luce in questa notte di tenebre. E’ innegabile che dal 2018 in poi, la figura di questo grande arcivescovo abbia risuonato nel silenzio assordante di un episcopato non solo assente da moltissimi anni ma, ancora peggio, connivente con la volontà di creare una vera e propria contro-chiesa.

E’ ormai persino stucchevole ripetere che le gerarchie ecclesiastiche, da oltre cinquant’anni, hanno tradito il loro mandato, ed ecco il motivo per cui un cattolico non può sottomettersi a tutto questo.

Per dirla come un altro gigante della Chiesa Cattolica troppo spesso dimenticato, il vescovo brasiliano Mons. Antônio de Castro Mayer, «noi diciamo che il modo migliore per abbandonare la Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, è di accettare senza riserve ciò che ha insegnato e proposto il concilio Vaticano II. Esso è l’anti-Chiesa».

Tutto questo per molti era già evidente. Per molti altri, probabilmente, non lo era ancora. E’ indubbio e statisticamente provato che Bergoglio abbia indotto molti fedeli a porsi domande, cominciando così a nutrire forti perplessità e poi, conseguentemente, aprendo gli occhi e fissando lo sguardo su di un problema che precede di gran lunga Bergoglio.
Per molti ancora tutto ciò non è chiaro, tuttavia credo sia solo questione di tempo.
Comprendere appieno una situazione così drammatica è una Grazia che il Signore concede e per la quale la Carità, mossa dalla Grazia stessa, deve spingerci non a giudicare chi ancora non è giunto a conclusioni che a noi paiono ovvie, ma al contrario ad aiutare a comprendere tutti coloro i quali hanno la volontà di farlo, pur con tempi e difficoltà diverse anche a seconda della sensibilità e del vissuto personale di ciascuno.

In tutta questa opera di svelamento, se così possiamo dire, la figura di Mons. Viganò ha avuto verosimilmente un ruolo fondamentale.

Non possiamo anzitutto dimenticare quel 25 agosto 2018, giorno in cui Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti, volle rendere pubblica in Italia la drammatica testimonianza in cui venne portata alla luce l’esistenza di una rete di orribile corruzione interna alla Chiesa, non senza tralasciare nomi e cognomi dei responsabili, cominciando dalle più alte cariche ecclesiastiche. 

Come egli stesso poi testimoniò con spirito di verità, il 23 giugno del 2013, tre anni prima di rassegnare le sue dimissioni per il raggiungimento dei 75 anni, fu ricevuto da Bergoglio e, in tutta trasparenza, lo mise al corrente della disastrosa situazione di una parte del clero e dell’episcopato statunitense, con particolare riferimento al caso del cardinale Theodore McCarrick, travolto dallo scandalo pedofilia.

Di fatto, ciò che Mons. Viganò ha reso pubblico non è mai stato smentito, ma anzi confermato dagli stessi provvedimenti Bergoglio prese contro il cardinale Mc Carrick, ridotto infine allo stato laicale (e ci mancherebbe pure!).

A questa illuminante e coraggiosa denuncia fecero seguito altri due fondamentali documenti sempre inerenti al caso: il documento Scio cui credidi del 29 settembre 2018 ed una lunga intervista al Washington Post datata 10 giugno 2019, uniti ad altrettanti fondamentali interventi in risposta ad alcuni prelati che hanno tentato di mettere in dubbio la testimonianza dell’ex nunzio.

A seguito delle sue importanti rivelazioni che hanno scosso l’intera galassia ecclesiastica (e non solo) a livello mondiale — anche se, come la modernità vuole, le notizie, anche le più scandalose, vengono accantonate, bruciate e quindi dimenticate in brevissimo tempo — Viganò si ritirò in un luogo segreto temendo probabilmente — e magari inizialmente con ragione — per la sua incolumità, dove ancora oggi, per quanto ne sappiamo, vive.
Secondo quanto scrisse a suo tempo Churchmilitant.com, da Roma avrebbero dato ordine di cercare urgentemente il luogo fisico in cui risiedeva Viganò, a detta del Vaticano per «evitare altri danni all’immagine del Pontefice».

Con ragione possiamo inoltre pensare che questa decisione fu certamente dettata da una ferma volontà da parte dell’arcivescovo di mantenere un comprensibile riserbo, pur continuando, come abbiamo osservato con i documenti poc’anzi citati, a riportare la sua fondamentale testimonianza rispetto alla corruzione nella chiesa americana e al silenzio di Roma.

All’alba dell’anno 2020, in quella che potremmo definire l’epoca della psico-pandemia da Covid, la figura di Mons. Viganò si allarga con un sicuro beneficio verso tantissime persone incredule e confuse di fronte a ciò che stava accadendo: con numerosi interventi scritti ed un susseguirsi di videomessaggi, Viganò ha denunciato il clima di dilagante follia oppressiva venutosi a creare con il Covid-19, partendo dall’obbligatorietà vaccinale e passando per il sistema di controllo attraverso il c.d. “green-pass”. La forte voce del vescovo, che non ha mai smesso, all’interno di questi messaggi, di portare l’annuncio evangelico richiamando tutti ad una vera e propria conversione, condannando, mano a mano sempre di più, gli errori della neo-chiesa e del Concilio Vaticano II, è arrivata persino all’interno di piazze gremite in protesta contro la dittatura sanitaria. Piazze, inutile negarlo, con le più varie estrazioni, e certo con una minoranza di cattolici.
Va da sé che anche questo sia da considerarsi un servizio eccezionale, degno di un vero Pastore che ha a cuore le anime e che, con vero spirito missionario ed evangelico, si è rivolto a tanti neo-pagàni spingendoli sì, ad una resistenza, ma richiamando ad una vera conversione senza la quale ogni resistenza all’ingiustizia diventa pressoché insignificante e priva di senso.

A Mons. Viganò, come si evince da questo breve riassunto che per motivi di spazio non può rendere fedelmente tutto l’encomio che meriterebbe, si deve perciò la più alta forma di riconoscimento e gratitudine per aver guidato tanti, molti, e alla resistenza verso un diktat sanitario folle e alla riscoperta della vera tradizione della Chiesa con i suoi tesori più ammirabili, primo fra tutti la Messa di sempre.

Fatta tutta questa doverosa premessa, che mi ha permesso di esprimere la mia personale gratitudine, penso a nome di molti, oltre che a ripercorrere gli ultimi tre anni dove davvero questo arcivescovo ci ha fatto riassaporare la bellezza e la grandezza di ciò che è il ministero sacerdotale ed episcopale voluti da Nostro Signore Gesù Cristo, vengo però al motivo sul quale da tempo mi interrogo e che, di conseguenza, mi ha spinto a scriverne.

Se è vero che i messaggi di Viganò hanno reso tanto onore alla Verità, spingendo, come già detto, molte persone ad andare oltre la superficie dei problemi come la “pandemia”, i vaccini, e tutto ciò che ha riguardato l’epoca Covid, è altrettanto vero che ad un certo punto la sua figura, la sua presenza ed i suoi interventi hanno raggiunto una costanza ed una copiosità che verrebbe da chiedersi se essa non sia stata e non possa ritenersi persino eccessiva per un vescovo.

Il rischio, forse, è quello dell’assuefazione generale e, quindi, del “bruciarsi”. Nessuno può mettere in discussione un dato di fatto: il digiuno da vescovi che affermino la verità con coraggio non può certo essere saziato in un lasso di tempo così breve, tuttavia è altrettanto vero che la figura di un vescovo così importante come Viganò, dovrebbe in un certo senso essere preservata e centellinata, a mio parere, con il contagocce, proprio per non incappare nei rischi a cui facevo riferimento.
Questo problema, se si vuole anche marginale, può essere aggravato se si connette ad un altro problema, che è quello che considero in realtà preponderante.

Abbiamo dapprima detto che a seguito delle sue pubbliche dichiarazioni sulla corruzione perversa interna ad un grosso filone della Chiesa l’arcivescovo Viganò ha deciso di andare a vivere in un luogo “segreto”, temendo per la sua incolumità.

Ho volutamente apporre le virgolette alla parola segreto per precisare che oramai la segretezza del luogo in cui vive l’ex nunzio è da tempo compromessa: moltissimi sanno dove vive, e si presume che persino il Vaticano ne sia ampiamente a conoscenza, e da tempo.

Ora, se è vero che inizialmente, come già detto, questa scelta poteva considerarsi ragionevole e comprensibile, a distanza di anni risulta essere a mio avviso non più comprensibile.

Da tempo mi chiedo perché Viganò, in un momento così difficile, da lui ampiamente e giustamente denunciato, non sia uscito alla scoperto in maniera fisica. Mi chiedo, con tutta la riverenza ma allo stesso tempo la preoccupazione del caso, cosa aspetti ad esercitare il suo ministero di cui la Chiesa ed i fedeli hanno urgente necessità. I videomessaggi, le lettere, le riflessioni e tutto ciò che di simile vi può essere, pur importantissimi, non possono sostituirsi alla presenza di un pastore vero come egli è, che amministri i sacramenti, che formi ed ordini sacerdoti, che incontri le persone in un momento storico così buio.

Di questo ha bisogno la Chiesa, altrimenti tutto rimane buono, sì, ma virtuale, e privo di un vero adempimento di ciò che il ministero di Viganò prevede. L’incolumità poteva, per un breve periodo, essere preservata per prudenza, ma questo tempo credo sia scaduto.

Adesso c’è bisogno di un vescovo che faccia il vescovo e che, soprattutto, dia un’alternativa vera e santa a tanti fedeli che brancolano nel buio, supplendo alle mancanze dei suoi confratelli che hanno da tempo voltato le spalle.
Nel medesimo tempo, credo che oggi più che mai sia necessaria l’unione delle forze, ed anche in questo caso mi chiedo quindi se possa essere davvero utile una sorta di isolamento, senza invece provare a cercare piuttosto un’unione vera, concreta, con le due realtà della tradizione cattolica che ritengo esser più solide e certe nella dottrina e nella liturgia — una delle quali conta 3 vescovi e circa 700 sacerdoti, e l’altra che conta 5 vescovi e più di 100 sacerdoti. 
Inutile negare che una figura come Viganò potrebbe risultare molto importante all’interno di almeno una di queste due realtà.

C’è bisogno di tanto coraggio. E come non pensare al coraggio di Mons. Marcel Lefebvre, in un’epoca, in un periodo storico ancor più difficile di questo (cambiava tutto: dottrina, sacramenti, liturgia, paramenti…tutto!), dove egli si è distinto per aver combattuto con le opere la deriva modernista, fondando una fraternità sacerdotale, fondando seminari, formando sacerdoti, difendendo e proseguendo con la Messa di sempre. Sono state vere e proprie opere, contro tutto e tutti, senza le quali probabilmente non avremmo più nulla di ciò che, certamente grazie a Dio che si è servito di questo santo vescovo francese, ora ancora abbiamo e che nessuno potrà mai proibire (non ci sono riusciti cinquant’anni fa, non ci riusciranno ora).

Potremmo giammai pensare che Lefebvre non abbia temuto per la sua incolumità, andando contro il progetto massonico del Vaticano II, con l’ecumenismo, i “fratelli maggiori” e la fratellanza universale sincretista?
Eppure egli ha continuato a celebrare pubblicamente Sante Messe in tutto il mondo con fiumi di fedeli, non ha mai indietreggiato ma ha anzi continuato nella buona battaglia preservando la Fede e lasciando alla Chiesa quattro vescovi e centinaia di sacerdoti.

Lasciando, a dire il vero, tutto il patrimonio di cui ancora oggi noi disponiamo.

Abbiamo bisogno di questo. Abbiamo bisogno di vescovi che non solo gridino —come giusto che sia —, che denuncino la folle deriva anti-cattolica, ma che scendano in campo e combattano, preservando la Fede e facendola preservare attraverso i sacramenti di sempre, la dottrina di sempre, la liturgia di sempre.

E se questo veramente dovesse mettere a rischio l’incolumità? Se questo mai fosse vero — pur non vedendone vere ragioni oggettive reali e comprovabili lasciando parimenti a me stesso il beneficio del dubbio di non sapere ciò che spinge ancora a questo nascondimento di Sua Eccellenza— che importa?

Quale potrebbe essere, in fondo, il “male peggiore”? La croce? Il martirio in odio alla vera Fede? Il sangue versato per Nostro Signore Gesù Cristo?

Ebbene, questo dovrebbe essere un motivo in più per entrare sul vero campo di battaglia, quello vero e non solo virtuale, quello di cui parla Sant’Iganzio di Loyola e dove si alza e si regge il vessillo della Santa Croce.

Quanto è vero che abbiamo bisogno di pastori; ma quanto è ancor più vero che la Santa Chiesa ha bisogno, oggi più che mai, del sangue dei martiri, quello che Tertulliano diceva con ragione essere il seme dei cristiani e, quindi, del rinvigorimento della Sposa di Cristo.

Voglia Sua Eccellenza Mons. Carlo Maria Viganò leggere in queste mie parole non un intento polemico, meno che mai un gesto di irriverenza, quanto piuttosto l’appello di un figlio che conosce la forza e le enormi qualità e possibilità del padre in una società dove la suddetta figura è totalmente eclissata, e proprio a ragione di queste vorrebbe, insieme a tutti gli altri figli, con diritto e dovere, poterne beneficiare in maniera concreta.








febbraio 2023
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