Gesù e i Suoi fratelli


di Don François Knittel, FSSPX


Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X
La Porte Latine






Le ripetute allusioni del testo evangelico alla parentela carnale di Gesù non mancano di inquietare. Il fatto che Gesù avesse una madre non stupisce né scandalizza; ma che avesse dei fratelli e delle sorelle è tutta un’altra cosa.


La liturgia, il 10 luglio, onora sette fratelli martiri e due sorelle martiri: Rufina e Seconda. Il Vangelo che si legge nella Messa è breve e suggestivo:
«Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: “Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti”. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”» (Mt 12, 46–50; Lc 8, 19–21 e Mc 3, 31–35).

L’insegnamento di Cristo è luminoso: non sono i legami di sangue che fanno la santità, ma il compimento della volontà del Padre. Per contro, le ripetute allusioni, nel testo appena citato, alla parentela carnale di Gesù, non mancano di inquietare. Il fatto che Gesù avesse una madre non stupisce né scandalizza; ma che avesse dei fratelli e delle sorelle è tutta un’altra cosa.


Parte prima: stabilire i fatti

Cominciamo con lo stabilire i fatti come sono riportati dagli scritti neotestamentari e dagli scrittori della storia antica.


Quattro fratelli e diverse sorelle


Di passaggio a Nazaret, Gesù è invitato a parlare nel giorno di sabato. La saggezza e il dono dei miracoli che Egli mostra, stupiscono e scandalizzano i suoi compatrioti:
«Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: “Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui» (Mc. 6, 1-3;  Mt. 13, 54-56).

Seguendo il racconto, il lettore attento apprende tre cose: 1) Gesù esercitava il mestiere di carpentiere; 2) Era chiamato figlio di Maria; 3) aveva quattro fratelli, dei quali vengono dati i nomi, e diverse sorelle, dal numero e identità sconosciute.

Si potrebbe essere tentati di intendere questi legami di fraternità in senso figurato: i termini di fratelli e sorelle non indicherebbero i legami di sangue, ma la comune appartenenza al gruppo di discepoli.
Tuttavia, questa interpretazione non regge all’esame. Infatti, nel Nuovo Testamento il gruppo di fratelli e sorelle si distingue chiaramente da quello dei discepoli:

- dopo aver compiuto il Suo primo miracolo a Cana, in Galilea, Gesù «discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni» (Gv. 2, 12).

- Al Cenacolo, gli Apostoli si preparano alla venuta dello Spirito Santo: «con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di Lui» (Atti 1, 14).

- Per giustificare la sua condotta, San Paolo la paragona a quella degli Apostoli e dei fratelli dei Signore: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, una sorella, come fanno anche gli altri Apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» (1 Cor. 9, 5)


Giacomo nelle Scritture

Dei quattro fratelli citati nel Vangelo, Giacomo è indubbiamente il più in vista. Il ruolo eminente che aveva nella Chiesa delle origini – quale vescovo di Gerusalemme – è attestato dalla Scrittura a più riprese:

- Al pari di Pietro e Paolo, Giacomo fu gratificato di un’apparizione personale di Cristo resuscitato: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. […] Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (1 Cor. 15, 3-8).

- Tre anni dopo la sua conversione, San Paolo si reca a Gerusalemme, dove conosce San Pietro e San Giacomo: «In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore» (Gal. 1,  18-19).

- Appena liberato dalla prigione da un Angelo, San Pietro chiede ai discepoli di avvertire San Giacomo: «Egli allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: “Riferite questo a Giacomo e ai fratelli”. Poi uscì e s’incamminò verso un altro luogo» (Atti 12, 17).

- Durante il suo ultimo soggiorno a Gerusalemme, «L’indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c’erano anche tutti gli anziani. Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i Gentili per mezzo suo» (Atti 21,  18-19).

- La vocazione particolare di San Paolo è autentificata da tre persone importanti, tra cui Giacomo: «Anzi, visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi, […] e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi» (Gal. 2, 7-9).

- Durante il concilio di Gerusalemme, San Giacomo – che era il vescovo di Gerusalemme – prende la parola subito dopo San Pietro – che era il Capo della Chiesa (Atti 15, 13-21).


Giacomo nella storia antica

Lo status particolare di Giacomo nella comunità cristiana nascente è attestata da diversi scrittori della storia antica.

In un’opera composta alla fine del I secolo, il giudeo Flavio Giuseppe riporta il martirio di Giacomo, fratello di Gesù: «Siccome Anan era tale e credeva di avere l’occasione favorevole perché Festo era morto e Albino era ancora in cammino, convocò un sinedrio, conducendovi Giacomo, fratello di Gesù detto il Cristo, e alcuni altri, accusandoli di trasgredire la legge e li fece lapidare» (Antichità giudaiche, libro 20, § 200).

Nel IV secolo, il cristiano Eusebio di Cesarea riporta gli stessi fatti: «Paolo si era appellato a Cesare, e Festo l’aveva inviato a Roma: così fu delusa la speranza dei Giudei e reso vano l’agguato che avevano teso all’apostolo. Allora rivolsero il loro furore contro Giacomo, il fratello del Signore, che allora occupava la sede episcopale di Gerusalemme che aveva ricevuto dagli apostoli» (Storia ecclesiastica, libro 2, cap. 23, n° 1).
Il vescovo di Cesarea parla ulteriormente della scelta di Giacomo e di Simeone per occupare la sede di Gerusalemme. La parentela dell’uno e dell’altro con Gesù spiegherebbe perché fossero stati preferiti ad altri: «Dopo Giacomo il Giusto, che subì il martirio come il Signore, per la stessa dottrina, fu costituito secondo vescovo di Gerusalemme Simeone, figlio di Clopa, zio di Cristo; tutti lo preferivano perché era cugino di primo grado di Gesù» (ibidem,  libro 4, cap. 22, n° 4).


Seconda parte: interpretazioni


A proposito di Sacra Scrittura, il concilio Vaticano I insegna che «nelle cose della fede e dei costumi appartenenti alla edificazione della dottrina cristiana deve essere tenuto per vero quel senso della sacra Scrittura che ha sempre tenuto e tiene la Santa Madre Chiesa, alla cui autorità spetta giudicare del vero pensiero e della vera interpretazione delle sante Scritture; perciò a nessuno deve essere lecito interpretare tale Scrittura contro questo intendimento o anche contro l’unanime giudizio dei Padri» (Costituzione Dei Filius, cap. 2).

I passi della Scrittura che sono stati oggetto di un’interpretazione della Chiesa sono molto rari. Il Concilio di Trento ha definito il senso di una mezza dozzina di testi relativi al peccato originale e ai sacramenti. Il concilio Vaticano I l’ha imitato per due passi che riguardano il primato di Pietro. In assenza di un intervento magisteriale, il lettore è rimandato al senso unanime dei Padri della Chiesa, considerato come l’eco della Tradizione.

Così, i Padri insegnano in modo unanime che la «profezia dell’Emmanuel» (Is. 7, 14) si riferisce alla concezione verginale del Messia. Il dogma della verginità della Santa Vergine Maria si basa, fra l’altro, sulla interpretazione di questo versetto. Per contro, i passi del Nuovo Testamento che parlano dei fratelli e delle sorelle di Gesù non godono di una interpretazione unanime. Di questi passi sono state date quattro interpretazioni.


Due interpretazioni eterodosse

Prima interpretazione: Gesù sarebbe il primogenito di una famiglia i cui membri erano  figli di Giuseppe e Maria secondo la carne. Inizialmente sostenuta da gruppi giudeo-cristiani e gnostici nei primi della nostra era, questa opinione è riapparsa nel XVIII secolo con l’Illuminismo e il razionalismo.

Essa contraddice chiaramente la lettera del Vangelo, che afferma senza equivoci che Gesù è stato concepito dallo Spirito Santo e al di fuori di ogni contesto carnale (Lc. 1, 34-35). Essa contraddice anche il dogma della verginità di Maria ante partum (prima del parto), definito dai concilii di Costantinopoli (553), del Laterano IV (1215) e di Lione (1274).

Seconda interpretazione: Maria sarebbe la madre biologica di una famiglia numerosa in cui Gesù sarebbe il primogenito, Giuseppe sarebbe il padre biologico dei figli ad eccezione di Gesù. Questa opinione è incompatibile con i dati evangelici e il dogma della verginità di Maria ante partum
Sostenuta inizialmente da Tertulliano nel II secolo, questa posizione è stata assunta su delle nuove basi da Elvidio nel IV secolo.

Tertulliano era un cristiano originario dell’Africa del Nord. Intrinsecamente polemista, egli scrisse lettere di fuoco contro i docetisti che negavano che Cristo fosse veramente uomo. Per dimostrare che si sbagliavano, Tertulliano batté pesantemente il tasto del legame di sangue che avrebbe unito Gesù a Sua madre e ai Suoi fratelli (Contro Marcione, libro 4, cap. 19).

Sfortunatamente, «Tertulliano segue solo il suo pensiero e non cita alcun fatto positivo, alcuna autorità; egli polemizza senza curarsi dell’opinione propria della Chiesa» (Marie-Joseph Lagrange, Vangelo secondo San Marco, p. 83).

Elvidio adottò un atteggiamento simile basandosi su un versetto del Vangelo di San Matteo:
«[Giuseppe] prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù» (Mt. 1, 24-25).

Da questa premessa, Elvidio trasse due conclusioni. In primo luogo, sottolineando ciò che non è accaduto prima della nascita, il testo suggerirebbe ciò che è accaduto dopo la nascita. Poi, evocando un figlio primogenito, il testo presupporrebbe l’esistenza di una ulteriore progenitura.

In realtà, le conclusioni di Elvidio vanno al di là di ciò che riporta il testo e il contesto:

- il versetto citato conclude un testo dedicato al dubbio di San Giuseppe. Esso mette l’accento sull’origine misteriosa di Gesù, sulla verginità di Maria e sulla paternità legale di Giuseppe. Ogni allusione a dei fatti posteriori alla nascita di Gesù è pura illazione.

- la Legge di Mosè stabiliva che le primizie – frutti della terra o bambini – fossero consacrati a Dio e che un figlio primogenito doveva essere riscattato (Es. 13, 2; Lv. 27, 26; Nm. 18, 15-17). Da quanto scrive San Matteo – che Gesù è un figlio primogenito -  deriva una sola conseguenza logica: Gesù deve essere presentato al Tempio, cosa confermata da San Luca (Lc. 2, 27-39). Ogni altra conclusione sarebbe controversa.

Inoltre, l’opinione di Elvidio non evita gli anatemi della Chiesa, poiché il dogma riguarda la verginità di Maria sia ante partum sia post partum (sia prima sia dopo il parto).


Una interpretazione dominante

Terza interpretazione: i fratelli e le sorelle di Gesù, in realtà sarebbero i suoi cugini e cugine. Questa opinione è stata difesa nel IV secolo da San Gerolamo nella sua controversia con Elvidio. Essa, influente in Occidente, è sta ripresa da San Beda il Venerabile (VII secolo) e da San Tommaso d’Aquino (XIII secolo).
Per elaborare la sua posizione, San Gerolamo parte da un fatto semplice: l’ebraico è una lingua povera di sostantivi. Così, l’ebraico biblico designa la nipote come la “figlia del fratello” (Gn. 24, 48) e la cognata come la “moglie del fratello” (Gn. 38, 8).
Quanto al termine «fratelli», nell’ebraico del Vecchio Testamento. esso può designare:

- sia un nipote e uno zio: Lot e Abramo (Gn. 11, 27; 13, 8; 14, 14); Giabobbe e Labano (Gn. 29, 10 e 15);

- sia dei cugini e cugine: i figli di Kis e le figlie di Eleazar (1 Cn 23, 21-22).

Benché fosse dominante in Occidente e rispettosa del dogma della verginità di Maria, l’opinione di San Gerolamo non è esente da difficoltà:

- nessun passo del Nuovo Testamento permette di indicare con certezza l’utilizzo del termine «fratello» per designare un cugino;

- San Paolo chiama Giacomo «fratello del Signore» (Gal. 1, 19) quando apprende ed utilizza il termine greco appropriato ανεπσιοϛ per indicare un cugino (Col. 4, 10).

- nelle sue Memorie redatte verso l’anno 180, Egesippo distingue chiaramente Giacomo, fratello del Signore, da Simeone, cugino del Signore (testo riprodotto da Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, libro 4, cap. 22, n° 4).

Gli argomenti scritturali esposti da San Gerolamo non permettono dunque né di giungere ad una conclusione assolutamente certa, né di chiudere definitivamente il dibattito.

Una interpretazione trascurata

Quarta interpretazione: i fratelli e le sorelle di Gesù sarebbero il frutto di un primo matrimonio di Giuseppe. Il legame che univa questi fratellastri e queste sorellastre a Gesù non sarebbe quindi di ordine carnale, ma legale.
Questa opinione, comune in Oriente nel II secolo, non contraddice né i dati evangelici, né il dogma della verginità di Maria ante partum, in partu e post partum.

Alcuni Padri della Chiesa la citano di sfuggita (Origene, Clemente di Alessandria, Eusebio di Cesarea), ma è solo Epifanio di Salamina – vescovo niceno del IV secolo – che la riprende in toto. Essa è ancora comune tra i Greci ortodossi e i protestanti.

San Gerolamo scarta a priori questa opinione, poiché la Scrittura non parla affatto di un cosiddetto primo matrimonio di Giuseppe. Inoltre, questa opinione ha la sua fonte nei libri apocrifi del II secolo (Protovangelo di Giacomo, cap. 9, n° 2; cap. 17, nn° 1 e 2; cap. 18, n° 1;  Storia dell’infanzia di Gesù, cap. 16, n° 1).





marzo 2023

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