Per non perdere

Verso una concordia razionale


breve studio dell'
Ing. Gian Luca Gremo









Cristo della Concordia
(Cochabamba, Bolivia)


<> 1. Si osserva che non di rado stima e rispetto reciproci nascono fra combattenti in campi opposti, quando si riconoscono a vicenda come avversari leali, sinceri nei propri diversi ideali.
Lo scontro resta nobilitato, l’acredine eliminata, l’accordo onorevole facilitato, un seme di futura amicizia piantato.

Si osserva parimenti che, se il confronto si protrae nel tempo e l’esito è incerto, spesso all’interno di ciascun campo si sviluppa un fenomeno opposto.
L’azione è impedita e le energie sono consumate da contrasti che, stranamente, non si riesce a ricomporre; nascono divisioni fra persone pur di fede provata e di indubbio disinteresse personale.

Per non perdere è necessario capire e rimediare.

Questo studio vuole contribuire a dare basi razionali alla concordia, quale è necessaria fra persone che devono far progredire comuni ideali in condizioni difficili, al fine di facilitarne il raggiungimento.

2. Là dove il contenuto ideologico è preminente, e sopra tutto in campo religioso, la decisione sulla soluzione da dare a un caso concreto difficile deve basarsi prima sulla ortodossia e poi sulla convenienza.

La difesa dell’ortodossia però richiede la lotta ad oltranza contro l’errore: impone l’espulsione dell’eretico.
Succede, quindi, che nascano incomprensioni e divisioni gravi quando il giudizio negativo su una proposta implica, inevitabilmente, una più o meno sfumata accusa reciproca di eresia fra chi è favorevole e chi è contrario.

È ovvio che, allora, non hanno senso appelli al dialogo, al compromesso, alla buona volontà, all’umiltà, allo spirito di sacrificio, all’obbedienza.
Ancor meno serve minimizzare, contro l’evidenza, la serietà dei motivi di contrasto.
Men che mai sono applicabili appelli alla “carità” dovuta in primo luogo a ciò che è percepito come verità e dovere.

Siccome in genere sia chi propone che chi respinge è persona di sicura fede, e in buona fede, la frequenza di simili situazioni indica che la causa va ricercata a monte, e non, come succede, in ipotetiche animosità personali, in supposti inconfessabili interessi, in immaginarie sotterranee connivenze, in fantasiosi nebulosi complotti.

3. Per riportare la concordia si fa spesso appello alla massima:
«In necessariis unitas; in dubiis libertas; in omnibus caritas», e, cioè, «Unità in ciò che è obbligatorio; libertà in ciò che è dubbio; carità in tutto.».

La distinzione fra “dottrina” e “opzioni libere”, a prima vista chiarissima, si rivela praticamente inapplicabile nella maggioranza dei casi.
È merito di Jean Madiran aver individuata la causa delle difficoltà nella sua operetta “Doctrine, Prudence, et Options Libres” (1).
In questo paragrafo abbiamo seguito, e seguiremo, da vicino, la prima parte del libro citato sopra, riportando tra virgolette solo i passi più lunghi tratti da esso.

È impossibile porsi sul piano puramente ed esclusivamente dottrinale, perché anche solo l’esposizione pura e semplice della dottrina dipende da opzioni libere quali il modo e l’occasione; tanto meno può prescinderne l’applicazione pratica.
Le opzioni libere, quindi, sono sempre presenti.
Senza opzioni libere non c’è esistenza concreta.
Specularmente: in un caso specifico non esistono, se pertinenti, opzioni libere nel senso di opzioni indifferenti, puramente tecniche, senza relazione col piano dottrinale, di uguale valore morale.

È comunque errato tracciare una linea di confine tra dottrina e opzioni libere, e disputare su cosa si trovi da un lato e cosa dall’altro.
Tra esse non c’è una frontiera, ma tutto un territorio, territorio entro il quale possono incontrarsi ed unirsi nell’azione pratica.
Questo territorio misconosciuto e dimenticato è quello della virtù della prudenza.

La virtù della prudenza non designa il loro fine alle altre virtù, non discute delle regole della moralità, che suppone conosciute e volute, ma solamente discerne e detta le azioni che ad esse convengono.
Il giudizio prudenziale decide, nei singoli casi specifici, quale mezzo onesto scegliere fra quelli offerti dalla tecnica, e quali regole morali vanno applicate: tutto ciò per conseguire lo scopo indicato dalla dottrina.

Scrive Jean Madiran:

« … la distinzione corrente fra “dottrina” e “opzioni” non è sufficiente a chiarire e dissipare le divisioni fra cattolici …

«… il principale campo di scontro delle “tendenze” contrarie non è né dottrinale né tecnico: esso è là dove occorre decidere la maniera di mettere in opera, in certe particolari circostanze, le scelte tecniche conformemente alle regole dottrinali: il campo di scontro è di ordine prudenziale …

«…  non disponendo che di una distinzione a due termini, dottrina e tecnica, (o dottrina e opzioni libere), si è condotti a considerare l’insieme del dominio prudenziale:

«1) o come dipendente puramente e semplicemente dalla dottrina, il che è un abuso e fabbrica un autoritarismo, un rigorismo caricaturali;
«2) o come appartenente alle opzioni di ordine tecnico, il che è un lassismo generatore di scetticismo e di anarchia.
«Si mette tra parentesi, si sopprime il campo d’azione, la zona propria di quella virtù che è … la principale delle virtù morali …

«… non è mai per pura dottrina o per semplice tecnica che un uomo dà la sua vita: dare la vita per il bene comune temporale, e, perfino, donare la vita in testimonianza che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, cioè in testimonianza della verità della dottrina universale, è sempre, unicamente, forzatamente, un atto prudenziale …

«… sapere in che caso conviene gettare la propria vita, o quella dei proprii subordinati, negli alti e bassi della storia, appartiene alla virtù della prudenza …

«… sul piano della sola dottrina non ci sono mai stati dei mártiti. Accettare il martirio è proprio uscire dal piano della sola dottrina.
«Ma se i mártiri ne sono usciti, evidentemente non è stato per assumere una opzione facoltativa o tecnica, senza maggior verità o maggior valore morale di una opzione differente.
«Accettare il martirio non è né una decisione dottrinale né una decisione tecnica. È una decisione prudenziale.

«Il dominio prudenziale è quello in cui gli uomini, se non vivono nell’unità e nella pace, si scontrano, si dividono, si battono, si uccidono.

«Si è voluta assicurare la pace e l’unità mettendo radicalmente tra parentesi il dominio prudenziale.
«Lo si è soppresso: in teoria.
Il che vuol dire che in pratica esso si trova abbandonato alla confusione e all’anarchia …» (2).

4. Grazie all’analisi di Madiran le “divisioni” perdono la connotazione negativa del termine, e acquistano quella loro propria di drammatiche, ma legittime, discussioni sul da farsi in situazioni di estrema incertezza e immediato grave pericolo.
Tali “divisioni” contribuiscono ad individuare le possibili linee di azione, con relativi vantaggi e svantaggi.
Pur non essendo prive di inconvenienti seri, esse giovano di più alla causa, e sono meno pericolose, di una unanimità facilitata dalla ignorata ignoranza delle situazioni critiche che potrebbero presentarsi.

Grazie alla identificazione del campo in cui avvengono le contese, non appena i sostenitori di contrastanti strategie si rendono conto di star discutendo sul piano pratico prudenziale più che su quello dottrinale allora cadono i reciproci sospetti di infedeltà agli ideali, e si compie il primo indispensabile passo verso la concordia: è stata stabilita la liceità morale di una eventuale collaborazione.

Per raggiungere l’accordo occorre ora, prima capire come sia possibile che, nelle medesime circostanze e fra persone con i medesimi principi, nascano opinioni così diverse, e, poi, occorre ricercare criteri razionali che indichino, se non cosa, fare, almeno come sia concepibile per il singolo accettare una linea di azione che giudica meno buona della propria senza, per questo, portar necessariamente danno agli ideali che vuole promuovere.

Negli ultimi cinquanta anni l’analisi delle decisioni nell’incertezza ha dato origine a un ramo della matematica che ha portato a interessanti risultati concettuali e pratici, con applicazioni sia militari che civili. (Per una introduzione alla materia si veda la bibliografia citata al termine dell’Appendice).

Dato che materia è poco nota, ci serviremo di alcuni semplici esempi per introdurre intuitivamente qualche concetto che può aiutarci. Lo studio del criterio decisionale più adatto al singolo fornirà indicazioni anche sulla composizione razionale dei contrasti fra i molti.

5. Consideriamo uno studente che deve scegliere a quale facoltà universitaria iscriversi, fra due per cui si sente ugualmente portato.

La decisione influenzerà tutta la sua vita:
- influenzerà il benessere materiale, ma quale carriera sarà più fruttuosa dipenderà dalla situazione economica, difficile da prevedere, al momento della laurea;
- influenzerà il benessere sociale, ma è difficile dire a priori quale dei due ambienti che frequenterà sarà più ricco di vere amicizie;
- influenzerà, forse, perfino la scelta della sposa, e, quindi, anche i figli, perché diverse saranno le occasioni di incontro nelle due facoltà;
- influenzerà … quasi tutto.

L’esempio ci fa capire che ciò che rende difficile decidere è la concomitanza  di certe circostanze, e, in particolare, :
- conseguenze gravi e irrimediabili;
- ignoranza di elementi chiave, indispensabili per valutazioni corrette;
- influenza determinante di decisioni altrui, su cui non si ha controllo, e che non si possono prevedere;
- impossibilità di evitare o di rimandare la scelta.

Tornando ora al nostro studente supponiamo che, dopo matura riflessione, egli abbia scelta la prima facoltà, e chiediamoci se tale decisione sia al riparo da critiche e contestazioni.

La risposta è negativa perché, data l’estrema difficoltà e incertezza delle previsioni, è molto probabile che stime poco diverse su qualche fattore portino poi a preferire la decisione opposta.

Nemmeno il “futuro” potrà soddisfare del tutto la nostra curiosità, perché esso potrà dirci se la scelta è stata “buona” o “cattiva”, ma non se è stata “migliore” o “peggiore” dell’altra, che è quello che in verità vogliamo sapere.

La inevitabile dipendenza delle decisioni dei singoli da stime forzatamente incerte e soggettive, in mancanza dei dati necessari, ci spiega come, legittimamente, nascono “divisioni” anche fra tersone con i medesimi principi, nelle medesime situazioni. (3)

È possibile, ora, compiere un altro passo verso l’accordo, (ed una discussione meno accesa), se ciascuna delle due parti si rende conto che non è razionale attribuire un valore di verità assoluto ai relativi punti di vista, pur legittimi e meditati, perché, a parte la soggettività intrinseca, essi riusciranno buoni o cattivi, vantaggiosi o rovinosi, non tanto in sé quanto piuttosto a seconda di quello che faranno altre persone su cui non si ha nessun controllo e che, per lo più, nemmeno sono conosciute.

Abbiamo scoperto che ci troviamo in una situazione ancora più difficile di quella immaginata, ma, come vedremo, non è una situazione senza speranza.

6. Riprendendo l’esempio precedente, supponiamo invece che lo studente, non sapendo che pesce pigliare, abbia tirata la monetina.

Chiediamoci: in materia di tanta importanza, è stato un atto di irresponsabile leggerezza?
Sorprende scoprire che, in questo caso, tirate a sorte è proprio il metodo di decisione più razionale.
La scelta è percepita come difficile proprio perché le alternative sono percepite come complessivamente equivalenti quanto a vantaggi e svantaggi, e, quindi, nello stato attuale di conoscenza, seguire l’una o l’altra è indifferente !
Se poi lo studente si sentisse deluso dalla indicazione della moneta, allora in quel momento prenderebbe coscienza di preferire l’altra alternativa, e il problema decisionale sarebbe risolto nel più felice dei modi !

Per convincere gli scettici ricordiamo un precedente autorevole, che indica anche come applicare il metodo al caso di persone con pareri contrapposti.

Si legge negli Atti Degli Apostoli, (I, 23-26):

« … Dopodiché furono fatti avanzare due: Giuseppe detto Bar-Sabba, e soprannominato Giusto, e Mattia.
Poi pregarono così: “Signore Gesù, tu che leggi nel cuore di ciascuno, indica quale di questi due hai scelto a sostituire in questo ministero dell’apostolo Giuda, il transfuga, andatosene al posto da lui scelto”.
Per ultimo li tirarono a sorte e la sorte favorì Mattia, che così fu aggregato agli undici apostoli. …». (4)

Gli apostoli prima hanno studiato il problema con le loro forze, e hanno ridotta la decisione alla scelta fra due alternative, poi hanno pregato e hanno tirato a sorte.
Per conoscere la volontà di Dio non avrebbero fatto ricorso al sorteggio se questo modo fosse stato intrinsecamente sciocco o superstizioso.

Se anche noi, (dopo aver fatto tutto quello di cui siamo capaci), pregheremo, allora potremo sperare che il Signore supplisca a quei nostri limiti che ci fanno ricorrere alla sorte, e determini l’uscita del risultato effettivamente migliore.

Abbiamo scoperto un metodo razionale, e accettabile moralmente dal perdente, per comporre una controversia relativa ad alternative percepite come equivalenti: è un ulteriore passo avanti verso la concordia.

Vedremo nel prossimo paragrafo come il metodo possa essere generalizzato al caso di due alternative, di valore diverso, la cui convenienza dipenda da azioni al di fuori del nostro controllo.

7. Consideriamo il caso di un portavalori che ogni giorno debba trasportare un miliardo fra due banche, insidiato da un rapinatore.
Supponiamo che entrambi siano intelligenti e istruiti, inattaccabili dall’inganno e dallo spionaggio.

Ci sono due strade diverse, entrambe insicure, ma una meno dell’altra.
Se il portavalori percorre una via e il rapinatore si apposta sull’altra, allora il miliardo giunge a destinazione.
Se il portavalori incontra il bandito sulla strada più sicura, allora riesce a sfuggire all’agguato ottanta volte su cento, contro solo quaranta volte su cento quando lo incontra sull’altra.
Occorre decidere quale strada debba percorrere il portavalori per fare arrivare miliardi il più possibile.

Il comportamento “prudente”, (scegliere sempre la via più sicura, dove si è rapinati “solo” venti volte su cento), mette al riparo dalle critiche dei più, ma equivale a rassegnarsi a pagare una tangente di venti miliardi ogni cento al rapinatore, che ha presto scoperto che sulla via da lui preferita, (la più favorevole agli agguati), il portavalori non passa mai.

Il comportamento “imprudente”, (percorrere ogni tanto la via più pericolosa, nella speranza di non incontrare il bandito, rischiando, però, di perdere di più in caso di rapina), espone alle critiche dei benpensanti nell’eventualità in cui si venga rapinati, (e anche quando non lo si è, perché, se va bene, ciò viene attribuito non alla nostra intelligenza ma al caso, il che non è poi del tutto sbagliato).

Il vero problema è decidere “quando” e “quanto” rischiare con un bandito che sciocco non è, e può variare opportunamente il luogo di appostamento.

Si può dimostrare, (vedi Appendice), che la strategia “più prudente” è un ben definito e particolare comportamento “imprudente”, consistente, per il portavalori, nel percorrere a caso la via più pericolosa venticinque volte su cento.
In pratica il portavalori avrà un sacchetto con venticinque palline nere e settantacinque bianche; ogni giorno prima di partire estrarrà a sorte quale strada seguire.

In questo modo, qualsiasi siano le scelte del rapinatore, le perdite saranno eguali o minori a quindici miliardi ogni cento, contro i venti sicuri del comportamento “prudente convenzionale”.

Se invece il portavalori si allontana da questa strategia, allora si rende vulnerabile alle contromosse del rapinatore, e il risultato complessivo sarà per lui peggiore o migliore a seconda che il bandito si allontani di più o di meno, in un senso o nell’altro, dalla “sua” strategia “più prudente”.
(In questo esempio particolare le due strategie “più prudenti” sono eguali. Anche il rapinatore può assicurarsi una “tangente” di almeno quindici miliardi appostandosi a caso sulla strada più pericolosa venticinque volte su cento). (5)

8. L’esempio precedente ci mostra che, se fosse sorta una “divisione” fra chi auspicasse la percorrenza costante della strada “più sicura” e chi auspicasse la percorrenza costante di quella “meno sicura”, allora la soluzione migliore non solo sarebbe consistita nello scartare l’alternativa, chiaramente svantaggiosa, della via “meno sicura”, (mettendo in condizione di non nuocere lo “stupido” che la sostiene), ma nemmeno nell’adottare l’altra: conviene adottarle tutte e due, in “opportuna” proporzione !

Il tragico è che gli inesperti, ritenendo assurdo che il “peggio” possa perfezionare il “meglio”, giudicheranno chi proporrà di percorrere ogni tanto la via più pericolosa non come un altro “stupido”, (che, poverino, può essere sopportato), ma come un traditore che vuole favorire il nemico.
Se il poveretto si affannerà a spiegare il suo punto di vista, sarà considerato un pericolosissimo infiltrato, da non ascoltare, proprio tanto più quanto più le sue ragioni sembreranno insidiosamente plausibili.
Se poi, confondendo piano dottrinale e piano prudenziale, si crederà, addirittura, che voglia inquinare il “bene” col “male”, allora la lapidazione sarà di rigore, quella sua e quella di chiunque parlasse in sua difesa.

Il passo importante verso la concordia è riconoscere che, paradossalmente, la strategia più prudente può essere una strategia “mista” di “meglio” e di “peggio”, anche per una decisione da prendere una sola volta.
(Dato che il metodo è conveniente per chi deve decidere cento o mille volte, (vedi Appendice), allora, salvo prova contraria, dovrebbe esserlo anche per decidere una volta sola, tirando a sorte !).

Addirittura anche le idee o le persone “oggettivamente inferiori” possono avere una utilità loro propria, non supplibile, si noti, con una più larga abbondanza di quelle “oggettivamente superiori”.

In questa ottica, salvaguardate le esigenze della dottrina, i sostenitori di differenti linee d’azione non possono negare, a priori, l’utilità, ipotetica, di quelle altrui, e ciascuno può accettare “razionalmente”, o almeno con minori problemi di coscienza, l’eventualità che non sia preferita la strada in cui crede, (magari solo per “accontentare” qualche volta anche gli altri).

Se interpretiamo le due componenti la strategia mista come due gruppi rivali che combattono, con motivazioni differenti e disuguale efficacia, contro lo stesso nemico, possiamo intuire come, in certi casi, per l’attaccato sia peggio avere due nemici fra loro discordi che agiscono con strategie diverse, piuttosto che fra loro alleati con una strategia unica.

È questo un motivo in più per cui associazioni o partiti affini, e rivali, ma con un comune nemico, dovrebbero sopportare le mutue diversità e rimandare quelle ostilità reciproche in cui, troppo spesso, spendono la maggior parte delle energie mentali e materiali.

9. Proviamo a sintetizzare.

Spesso le divisioni sono espressione di difficoltà reali, e non di meschine rivalità. Chi dirige non deve temporeggiare o imporre una linea di azione, ma tentare lealmente di capire e di risolvere.

La prima cosa da fare è riconoscere e rimediare ai casi in cui le difficoltà sono dovute a una erronea attribuzione al campo dottrinale di quanto spetta al campo prudenziale, o viceversa.

Una volta in campo prudenziale si può cercare di valutare spassionatamente ogni linea di azione, avendo cura di esplicitare i presupposti da cui ciascuna trae origine e gli eventi esterni che possono mutare lo sperato risultato favorevole in uno dannoso.

La teoria dell’analisi delle decisioni nell’incertezza mette in evidenza che spesso la strategia più prudente è una opportuna mistura di azioni di disuguale efficacia, se considerate isolatamente, e che può essere utile estrarre a sorte da una urna opportuna.

La decisione in campo prudenziale è sempre drammatica, perché estremamente complessa, difficilissima, e incerta: l’esito finale è determinato da fattori non controllabili.
Non ci si deve scandalizzare o scoraggiare.

La consapevolezza della parte inevitabile che giocano fattori fuori dal nostro controllo, della esistenza di strategie miste, della opportunità di ricorrere alla sorte, dovrebbe alleggerire chi comanda non dalla responsabilità, ma da una parte di dubbi e di rimorsi, e dovrebbe rendere più facile a chi obbedisce collaborare, accettando, senza recriminazioni, gli ordini altrui, e l’eventuale fallimento.

Tutto ciò detto, tutta la nostra simpatia e tutta la nostra comprensione vanno all’uomo retto che, in situazioni gravi e pericolose, vede le idee di salvezza in cui crede respinte, i suoi sforzi costruttivi frustrati, le sue buone intenzioni fraintese.

Per lui non ci sono brillanti teoremi che possano consolarlo, ma, se è uno di fede, c’è la certezza che, di fronte a Dio, non conta riuscire perché: «l’importate è essere buoni».


NOTE

1 – Jean Madiran, Doctrine Prudence et Options libres, Aux Nouvelles Editions Latines, Paris, 1960. Reperibile da: Diffusion De La Pensée Française, BP 1, 86190 Chiré-en-Montreuil, Francia.
2 – Il seguito dell’opera di Jean Madiran si occupa più specificatamente  dei giudizi prudenziali che spettano alla Chiesa, (da sola o insieme allo Stato), e della obbedienza  dovuta dai fedeli a decisioni che, appunto, non sono puramente dottrinali.
3 – Nelle situazioni reali è anche molto difficile dedurre la decisione giusta dalle stime e dalle previsioni.
4 – Traduzione da “La Sacra Bibbia” a cura di Mons. Salvatore Garofalo, Marietti Editore, Torino, 1964.
5 – Le teorie matematiche che studiano come comportarsi nell’incertezza hanno da offrire molto più di quanto appaia da questo esempio, nonostante gli inevitabili limiti che si incontrano quando sono applicate alle complesse situazioni reali.
È parere di chi scrive che l’uomo colto contemporaneo nella sua vita quotidiana non possa ormai più prescindere da tutto un insieme di conoscenze matematiche, (un tempo riservate agli specialisti), qualunque sia il suo campo di attività.


APPENDICE

1. Semplifichiamo la dimostrazione mettendoci in un caso particolare concreto.

Supponiamo che un portavalori debba fare 100 viaggi, trasportando 1 miliardo ogni volta, insidiato da un bandito.Vogliamo minimizzare le perdite dovute alle eventuali rapine.

Ci sono due strade, entrambe insicure, ma una meno dell’altra.
Quantifichiamo sicurezza e insicurezza dicendo che, guidando il furgone con abilità, sulla strada più sicura il portavalori riesce a sfuggire all’agguato 8 volte ogni 10, mentre sull’altra solo 4 volte ogni 10.

Il portavalori scelga la strada più sicura X volte, e, di conseguenza, sceglierà, nei 100 viaggi, quella meno sicura (100 – X) volte.

Il rapinatore scelga la strada più sicura Y volte, e, di conseguenza, sceglierà, nei 100 agguati,  quella meno sicura (100 – Y) volte.

2. Sono possibili in tutto 4 diverse eventualità, che si escludono a vicenda.

Calcoliamo il numero di volte in cui ciascuna si verifica.

Caso A : Il portavalori e il rapinatore scelgono entrambi la strada più sicura.

Per scopi didattici premettiamo un esempio numerico.
Se il portavalori sceglie 60 volte la strada più sicura, e se il rapinatore la sceglie, indipendentemente dal portavalori, 25 volte su 100, (cioè una volta ogni quattro), allora l’incontro avverrà una volta ogni quattro nelle 60 volte in cui il portavalori sceglie la strada più sicura, cioè avverrà 60 x (25/100) = 15 volte.
Il ragionamento si può fare anche dalla parte del bandito, ottenendo lo stesso risultato; in breve :
25 x (60/100) = 15.

Generalizzando l’esempio : su 100 volte, detti X e Y rispettivamente i numeri di volte in cui portavalori e rapinatore scelgono, (indipendentemente l’uno dall’altro), la strada più sicura, allora l’incontro avverrà [X x Y / 100] volte.

Caso B : Il portavalori sceglie la strada più sicura, mentre il rapinatore sceglie, indipendentemente, quella meno sicura.
 
In base a quanto detto prima, questa eventualità si verificherà [X x (100 – Y) / 100] volte.

Caso C : Il portavalori sceglie la strada meno sicura, mentre il rapinatore sceglie, indipendentemente,  quella più sicura.

In base a quanto detto prima, questa eventualità si verificherà [ (100 – X) x Y /100] volte.

Caso D : Sia il portavalori che il rapinatore scelgono, indipendentemente, la strada meno sicura.

In base a quanto detto prima, questa eventualità, si verificherà [(100 – X) x (100 – Y) / 100] volte.

3. Calcoliamo ora, per ciascuna eventualità, la cifra trasferita complessivamente dal portavalori.

i) Ci sono in tutto [X x Y /100] viaggi di tipo A), in cui il portavalori e il bandito si incontrano sulla strada più sicura.
Sappiamo che questa eventualità riesce a evitare la rapina in 8 casi su 10, quindi la cifra complessiva che riuscirà a salvare sarà :
{1 miliardo x [X x Y /100] x [8/10]}

ii) Negli [X x (100 – Y) / 100] viaggi di tipo B) non c’è incontro, quindi ogni volta il trasporto ha successo e la cifra complessiva trasferita sarà :
{1 miliardo x [X x  (100 - Y] / 100]}

iii) Negli [ (100 – X) x Y /100] viaggi di tipo C) non c’è incontro, quindi, analogamente al caso ii), la cifra complessiva trasferita sarà:
{1 miliardo x [ (100 – X) x Y /100]  }

iv) Negli [ (100 – X) x (100 – Y) /100] viaggi di tipo D) portavalori e rapinatore si incontrano sulla strada meno sicura.

Sappiamo che in questa eventualità il portavalori riesce a sfuggire al bandito solo in 4 casi su 10, quindi la cifra complessiva messa in salvo sarà :
{1 miliardo x [(100 – X) x (100 – Y) /100] x [4/10]}

Sommando i) + ii) + iii) + iv) ottengo la cifra totale portata in salvo nei 100 viaggi, cifra che desidero rendere la più grande possibile minimizzando, per mezzo di una opportuna scelta dei percorsi, le rapine.

Eseguendo le operazioni e semplificando si ottiene :
S = 8 miliardi x {5.000 + [75 x X] + [75 x Y] – [X x Y]}
Che, come si può verificare, può essere messa nella forma :
S = 85 miliardi – 8 milioni x (75 - X) x (75 – Y)
Forma più adatta alla discussione che seguirà.

4. Abbiamo ottenuta una formula che ci dice come varia la cifra totale trasferita dal portavalori in 100 viaggi, a seconda delle strade scelte da lui e di quelle scelte, indipendentemente, dal rapinatore.
S = 85 miliardi – 8 milioni x (75 - X) x (75 – Y)

Osserviamo che se il portavalori sceglie 75 volte la strada più sicura, (e 25 volte l’altra), cioè se X = 75, allora il fattore (75 – X) si annulla, annullando tutto il sottraendo, sottraendo che contiene anche Y in (75 –Y).

Con questa strategia la cifra totale S salvata è 85 miliardi indipendentemente da Y, cioè indipendentemente da quante volte, (e indipendentemente da quando), il bandito si apposta sulla strada più sicura.

Se il portavalori pensa di migliorare la sua sorte percorrendo sempre la strada più sicura, cioè ponendo X = 100, allora il fattore (75 – X) diventa eguale a (-25) e la formula, eseguiti i calcoli con X = 100, muta in:
S’ = 85 miliardi + 200 milioni x (75 – Y)

Siccome nella formula compare Y allora il risultato dipende dal valore di Y, cioè dalle scelte del rapinatore.
Se, ad esempio, il rapinatore capisce la preferenza del portavalori, (come è probabile), allora può decidere di appostarsi anche lui sempre sulla strada più sicura, cioè pone Y = 100, nel qual caso la formula dà:

S’’ = 85 miliardi – 200 milioni x 25 = 80 miliardi
caso svantaggioso per il portavalori rispetto a 85 miliardi.

Se, invece, il rapinatore non capisce e sceglie Y minore di 75, ad esempio Y = 50, allora si ha:

S’’’ = 85 miliardi + 200 milioni x 25 = 90 miliardi
 caso vantaggioso per il portavalori rispetto a 85 miliardi.

Più in generale:
ogni qual volta nei 100 viaggi il portavalori percorre la strada più sicura un numero di volte diverso da 75, (numero che gli assicura 85 miliardi su 100, qualsiasi cosa faccia il bandito), allora egli diventa sensibile alle strategie del rapinatore, e, in particolare, a quelle in grado di danneggiarlo: che il rapinatore le adotti o meno dipende dalla sua intelligenza e dalle sue conoscenze matematiche e, corrispondentemente, il portavalori riuscirà a salvare rispettivamente, di meno o di più di 85 miliardi.

È evidente, ma è bene porlo in evidenza, che il metodo presuppone che il bandito non conosca in anticipo la scelta del portavalori, e che nemmeno possa dedurla da quelle precedenti.
Il modo migliore per difendersi è che nemmeno il portavalori conosca la strada da seguire se non all’ultimo momento, e che la scelta, affinché sia imprevedibile, avvenga a caso.

Per ottenere quanto sopra, assicurando che, mediamente su 100 volte, la strada più sicura sia percorsa 75 volte, e quella meno sicura 25 volte, si estrarrà a sorte servendosi di un’urna contenente 75 palline bianche e 25 nere; (dopo ogni estrazione la pallina va reintrodotta nell’urna per assicurare la imprevedibilità della estrazione successiva).


BIBLIOGRAFIA

Le opere sono citate in ordine di difficoltà crescente.
Sono tutte, tranne le ultime due, di tipo didattico, destinate a matricole universitarie.

a)    J. D. Williams, The Compleat Strategyst (being a primer on the theory of games of strategy), Mc Graw – Hill , New York, 1966.
b)    A. Kaufman, Le tecniche decisionali (Introduzione alla Praxeologia), Il Saggiatore, Milano, 1968.
c)    Pascal Dupont, Primo incontro con la ricerca operativa, Libreria Scientifica Cortina, Torino, 1970.
d)    Robert Schlaifer, Analysis of decisions under uncertainty, Mc Graw – Hill , New York, 1969.
e)     Howard Raiffa, Decision Analysis: Introductory Lectures on Choices under Uncertainty, Addison-Wesley, Reading Massachusetts, 1970.
f)     Harvey M. Wagner, Principles of Operations Research, Prentice / Hall International, London, 1975.
g)    R. Duncan Luce and Howard Raiffa, Games and Decisions, John Wiley & Son, New York, 1957.
h)    Judea Pearl, Probalistic Reasoning in Intelligent Systems, Morgan Kaufmann Publishers, San Mateo, California, 1988.






marzo 2023
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI