Pregare da credenti

di Elia


Articolo pubblicato sul sito dell'Autore: La scure di Elia

L'mmagine è nostra





Nostra autem conversatio in caelis est (Fil 3, 20).


Nelle ultime due riflessioni abbiamo preso atto della triplice inversione operata con le cosiddette riforme realizzate in seguito al Vaticano II: da Dio all’uomo, dalla trascendenza all’immanenza, dal futuro eterno al passato proiettato sul presente in funzione di un benessere emotivo immediato.
Tale completo ribaltamento di prospettiva si è ripercosso anzitutto sulla Messa, della quale si è persa di vista l’essenza di rinnovazione incruenta del Sacrificio redentore della Croce e si è fabbricato un apposito rito che servisse da contenitore neutro di pensieri e pratiche miranti a favorire un’esperienza collettiva intesa come azione giovevole e rassicurante, piuttosto che come supremo atto dell’ossequio dovuto a Dio. Qui si palesa la quarta inversione di tendenza: quella dall’oggettività del culto alla soggettività del vissuto di un io che si dissolve nel gruppo, di cui non può più fare a meno.

La voce della Sposa

Questo radicale capovolgimento non poteva certo risparmiare la lode perenne della Chiesa, la quale, con una formula anch’essa inventata ad hoc, è stata ribattezzata Liturgia delle Ore, coerentemente con la nuova “teologia” che la riqualifica come una forma di santificazione del tempo.
È indubbio che il tempo vada impiegato in modo santo (cioè per servire Dio e per unirsi a Lui in vista di un’eternità beata) e che, a tale scopo, la preghiera regolare sia di grande aiuto; anche questo, tuttavia, è solo un fine secondario – benché sacrosanto – che non deve far dimenticare quello primario: la continua glorificazione di Colui al quale dobbiamo assolutamente tutto, a cominciare dall’esistenza stessa. È proprio questa necessità ad esser messa in evidenza dalla designazione tradizionale di questa parte del culto: Ufficio Divino (divinum officium) ossia dovere da rendere a Dio.

Mentre il ringraziamento è dovuto per i benefici ricevuti dal Creatore e Redentore, l’adorazione nasce dalla considerazione dei Suoi attributi. In altre parole, i credenti ringraziano il Signore per ciò che ha fatto per loro; Lo adorano e benedicono per ciò che è in Se stesso, a prescindere dalle azioni da Lui compiute a favore delle creature.
Il secondo modo di pregare è prioritario rispetto al primo; in esso, prevalendo la gratuità, l’animo si distoglie da sé e si affranca dalle necessità contingenti per gustare Colui che è per essenza la bontà stessa. Entrambi i modi, poi, precedono le altre due forme di ossequio (la propiziazione e l’impetrazione di nuove grazie) che, insieme alle prime due, costituiscono i quattro fini istituzionali della Messa. L’Ufficio Divino si rivela così altamente efficace come preparazione al Divin Sacrificio, ma pure come mezzo privilegiato per il suo prolungamento nella vita.

Riforma o rifacimento?

Anche qui l’inversione della traiettoria ha richiesto una profonda trasformazione del rito: dovendo servire ad alleviare lo spirito, esso è stato in primo luogo ridotto al minimo, così che si eviti uno sforzo eccessivo; in secondo luogo, i Salmi sono stati tradotti in chiave psicologistica e individualistica, con un forte offuscamento del loro senso storico e profetico (così evidente, invece, nella traduzione di san Girolamo). Tralasciamo per il momento l’erronea teologia sottesa dalle Invocazioni e Intercessioni apposte a Lodi e Vespri, la quale, specialmente nelle preghiere per i defunti, fa pensare a una salvezza automatica e universale, senza alcun accenno, oltretutto, alle pene del Purgatorio, per la cui riduzione si offrono appunto i suffragi. Ciò che ci preme al momento è far notare il ripiegamento sull’io, che, mirando solo a star bene, usa tutto – compresa la lode di Dio – per questo fine egoistico.

Tutto il processo che stiamo studiando ha prodotto, con l’andare del tempo, una religiosità interessata, gretta e calcolatrice, che frequenta ogni forma di culto in funzione dell’effetto immediato che ne può ricavare e, in assenza dei benefici desiderati, lo abbandona in tutto o in parte.
Questo atteggiamento selettivo si esprime poi nell’incostanza e volubilità della pratica religiosa, ridotta a passatempo più o meno piacevole, rimanendo completamente oscurata la consapevolezza dei doveri primordiali che ogni essere umano, in quanto creatura ragionevole, ha verso Dio come suo Creatore, nonché degli ineludibili obblighi di giustizia che ha verso di Lui come suo Salvatore. I cattolici più impegnati, in questo modo, han finito col dirottare il culto divino verso l’autocelebrazione, utilizzandolo come un espediente per rafforzare la coesione del gruppo e incrementarne il senso di appartenenza.


Quale ripresa?

Un ritorno al Breviario tradizionale, naturalmente, non può consistere nel contrarre l’abitudine di biascicarlo a una velocità supersonica, mangiandosi le parole e senza porre mente a ciò che si dice, ammesso che lo si comprenda. Per chi conosce poco il latino, è molto utile ricorrere a quei siti che lo pubblicano con la traduzione a fronte. Chi non è tenuto a recitarlo per obbligo canonico, ovviamente, potrà scegliere le Ore più importanti, purché mantenga vivo lo spirito di adorazione e gratitudine al Signore, senza imporsi un carico che a lungo andare, anziché aiutarlo ad unirsi a Dio, lo schiaccerebbe sotto il peso di un soffocante volontarismo. Per chi non è costituito negli Ordini sacri né è vincolato dai voti religiosi, è più fruttuoso un Pater o un’Ave detti col cuore che uno scilinguagnolo farfugliato senza neppure la testa al solo scopo di poter sbarrare una casella.

Quando si vive in profonda intimità con Dio, può succedere che anche un semplice Gloria Patri, di colpo, apra il cielo all’orante, che rimane attonito per l’inaspettata rivelazione. La glorificazione della Santissima Trinità, che in Essa avviene da sempre (sicut erat in principio), si attua nel preciso istante in cui si sta pregando (et nunc), ma non avrà mai fine (et semper), anzi durerà per tutta l’eternità (et in saecula saeculorum). In questo caso l’oggetto della preghiera si realizza immediatamente, non però perché si ottiene quanto richiesto, bensì perché l’effetto è inerente alla preghiera stessa: se il cuore partecipa a quanto pronunciato dalle labbra, si compie un atto di adorazione di per sé completo ed efficace. Coltivare la lode disinteressata dispone poi l’anima a ricevere le grazie di cui ha bisogno: Dio, trovando la porta aperta, la ricolma dei Suoi favori e delle Sue tenerezze.

L’ora della preghiera

Questa dinamica del nunc può essere applicata anche ad altre formule, per esempio al Pater noster. Ogni volta che chiami Dio padre, tu ravvivi e consolidi, qui e ora, la tua identità di figlio Suo, con tutte le esigenze connesse. Mentre dici col cuore sanctificetur nomen tuum, il Suo santissimo Nome riceve realmente l’onore e l’amore che Gli sono dovuti, sebbene in misura infinitamente inferiore a quella che merita, a meno che tu non decida di prestare la voce a Gesù, che in quel momento prega in te. Mentre implori adveniat regnum tuum, Dio viene a regnare nella tua anima e il Suo benefico dominio si estende nel mondo. Mentre sospiri fiat voluntas tua, sicut in caelo, et in terra, si compie il Suo volere, cioè che tu Lo ami e ti lasci amare da Lui; così ti infiammi sempre più del desiderio di amarLo in modo perfetto, come Lo amano i beati del Paradiso, ossia unicamente per Se stesso.

Nel dire panem nostrum quotidianum da nobis hodie, ricevi subito nell’anima il cibo spirituale della grazia, in attesa di assumere il pane sovrasostanziale dell’Eucaristia. Nel chiedere umilmente dimitte nobis debita nostra, ottieni una riduzione della pena del Purgatorio, purché al contempo tu conceda di cuore il perdono a chi ti ha offeso (sicut et nos dimittimus debitoribus nostris). Nel proferire ne nos inducas in tentationem, ripudi il tentatore e guadagni forza per opporti alle sue lusinghe, luce per sventarne gli inganni, fiducia nel respingerne gli assalti. Nel gridare sed libera nos a malo, infine, rendi attuale per te e per tutta la Chiesa la vittoria di Cristo sul maligno, se davvero ne detesti sinceramente tutte le opere e suggestioni, avvinto dal solo desiderio di rendere gloria al tuo Signore per l’immensa bontà e misericordia di cui ti ha fatto immeritatamente oggetto.

N.B.: questo modo di recitare il Pater non è certo l’unico né ne esaurisce l’interpretazione; esso, inoltre, non è una pretesa da bambini viziati che considerano dovuto quanto chiedono, ma, al contrario, un predisporsi alla gratuità assoluta che caratterizza la relazione con Dio nella vita celeste.






aprile 2023
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