Unito ad ogni uomo?

di Elia


Articolo pubblicato sul sito dell'Autore: La scure di Elia

L'mmagine è nostra







Uno dei testi più citati e commentati nella teologia e nel Magistero successivi al Vaticano II è una frase della Gaudium et spes secondo la quale, testualmente, «con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (GS 22; il corsivo è nostro).
L’indeterminatezza di tale asserto ha causato un grave malinteso da cui è derivata tutta una serie di grossolani errori, capaci di scuotere dalle fondamenta la fede stessa e la Chiesa con la sua dottrina e i Sacramenti, fino a renderli qualcosa di accessorio, se non del tutto superfluo. Quella che, con inedita dicitura, è denominata costituzione pastorale ha peraltro inaugurato un nuovo genere magisteriale con il quale, anziché riaffermare la verità rivelata (se necessario precisandola, esplicitandola e difendendola dalle eresie), si propongono opinioni degli estensori di tenore contingente e sapore personale, così che si fa fatica a riconoscervi la voce perenne della Chiesa, valida in ogni tempo e in ogni luogo.


In certo modo: quale?

In realtà sarebbe bastato inserire nel testo, al posto di quell’infelice quodammodo, l’avverbio latino intentionaliter, che si traduce in italiano con intenzionalmente: non nel senso comune di volutamente, di proposito, deliberatamente, bensì in quello filosofico, che si dice di azione intrinsecamente mirante a qualcosa. Nell’incarnarsi, infatti, il Figlio di Dio non poteva effettivamente unirsi agli uomini (che erano nel peccato e, di conseguenza, inevitabilmente separati da Lui); l’atto con cui assunse la natura umana, nondimeno, tendeva di per se stesso ad aggregarGli coloro che avrebbe redenti con la propria Passione e morte. L’Incarnazione, in altre parole, ha posto la condizione che rendesse possibile tale unione: l’umanità del Verbo è il mezzo con cui Egli ha riscattato i colpevoli e li incorpora a Sé nel Battesimo. A volte basta cambiare una parola per trarsi d’impaccio; vista la pletora di vescovi e periti presenti a quell’assise, meraviglia non poco che nessuno ci abbia pensato.

Dopo tre anni di accese discussioni, indubbiamente, nessuno, arrivando esausto in dirittura d’arrivo, aveva voglia di imbarcarsi nell’analisi approfondita di un testo interminabile, zeppo di ambiguità e approssimazioni. Questo fu forse il motivo per cui quell’enormità passò inosservata; più arduo risulta giustificare l’insistenza con cui essa è stata ripresa nei decenni successivi. La prima impressione che si ricava da quell’affermazione è che l’agire divino sia del tutto arbitrario, noncurante non soltanto della giustizia, ma anche della necessità che l’uomo sia realmente rinnovato nell’essere, nella coscienza e nella condotta.
Quella frase, presa così com’è, può dare ad intendere che non esista più né il peccato originale né quello personale, ma che l’uomo sia buono per nascita e debba soltanto esser messo al corrente di un fatto che avrebbe rimosso a monte ogni difficoltà. Proprio questo fa pensare l’asserto che precede immediatamente quello che stiamo esaminando: la natura umana, una volta assunta dal Verbo, per ciò stesso sarebbe stata innalzata ad una dignità sublime anche in noi (cf. ibid.).

Non si capisce in che modo i peccatori conseguano tale dignità sublime senza previamente convertirsi con l’assenso alla grazia preveniente, onde poter ricevere anche la grazia santificante. Questo problema sembrerà però superato nel leggere il seguito: vivendo in tutto come noi e spargendo il proprio sangue, Gesù ci ha meritato la vita, ci ha riconciliati con il Padre e strappati alla schiavitù del demonio, ci ha aperto la strada da seguire, ci ha conformati a Sé e rinnovati con lo Spirito Santo… Ciò varrebbe non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini di buona volontà, anch’essi abilitati ad essere «associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (ibid.), dato che Cristo è morto per tutti.
A questo punto – verrebbe da dire – tutti han fatto tombola, anche se non lo sanno o non lo vogliono. Purtroppo ci si è dimenticati che la redenzione oggettiva (ossia l’opera di salvezza) è sì compiuta in se stessa, ma va applicata ad ogni singola anima nella redenzione soggettiva (ossia nella rigenerazione individuale, che si attua mediante l’adesione alla verità rivelata e la ricezione del Battesimo).


Il sostrato “culturale”

Per non apparire troppo ingenui, quasi credessimo che questa nuova dottrina fosse frutto di fortuite sviste piuttosto che di un progetto pianificato, sondiamo il terreno su cui sono spuntate.
Secondo uno dei periti più attivi al Concilio, il gesuita Karl Rahner, i dogmi della fede sarebbero kantianamente già presenti nella ragione in modo trascendentale e attenderebbero soltanto di esser portati alla coscienza dall’annuncio della Chiesa. Tutti gli uomini, pur senza rendersene conto, sarebbero pertanto cristiani, sebbene anonimi, e andrebbero semplicemente aiutati a scoprire quella verità che sarebbe insita nella struttura stessa del loro intelletto. Si comprende bene perché, a partire da quel momento, i missionari siano andati in crisi e la missione si sia ridotta, quando non a propaganda socio-politica, alla cosiddetta promozione umana, quasi l’unica urgenza fossero il cibo, l’istruzione e le cure sanitarie; l’Inferno non è più un pericolo per nessuno, se è vero che tutti si salvano, anche senza desiderarlo e senza far nulla.

Questa nuova prospettiva non elimina soltanto la necessità dell’evangelizzazione, ma la stessa ragion d’essere della Chiesa, vanificando il compito di insegnare, governare e santificare, minando alla base ogni autorità e conferendo autonomia assoluta al pensiero individuale, peraltro esposto ad ogni genere di manipolazione. Se ognuno porta in sé la verità che salva, chi ha più il diritto di dirgli cosa credere o non credere, cosa fare o non fare?
Con tali premesse, il cardinale eretico che nel 2012, in ossequio alle sue aberranti idee, morì per eutanasia, aveva perfettamente ragione; il fatto è che questa non è la fede cattolica, bensì una dottrina gnostica secondo la quale l’uomo si salva da sé in virtù di una pretesa conoscenza. In altre parole, è ciarpame massonico che svuota di ogni senso e valore, se possibile, la Passione del Figlio di Dio, riducendola a mera dimostrazione di favore a un uomo autosufficiente e superbo che di quelle sofferenze pensa di non aver bisogno per evitare la catastrofe eterna.


Connessioni nascoste

Coloro che al giorno d’oggi propalano sfrontatamente questo pensiero nella Chiesa, d’altronde, sono gli stessi che, per coprire i propri misfatti, non hanno esitato a gettare fango sulla memoria di un papa defunto sfruttando il caso di una ragazza scomparsa quarant’anni fa. Quegli individui spregevoli sono pederasti della peggiore specie, dediti a riti satanici svolti all’interno delle mura leonine; la sorte che li aspetta è quella di Gezabele. Quei disgraziati non sono poveretti a cui nessuno ha mai detto che Dio li ama, bensì gente che serve il demonio perché odia l’amore in quanto amore, detesta la verità in quanto verità, disprezza Gesù proprio perché è Gesù. Con diabolica astuzia, affermano una parte del vero omettendo il resto: proclamano sì la liberazione dal peccato e dalla morte, ma tacendo la necessità della corrispondenza umana perché essa si attui nei singoli. Chi li ascolta, perciò, si perde nell’illusione di essere ormai affrancato dalla schiavitù che, in realtà, ancora lo assoggetta.

Gli orrendi crimini cui sono avvezzi quei traditori, a loro volta accecati dal padre della menzogna, vengono variamente giustificati come un modo di vincere il male sondandone fino in fondo l’abisso, oppure come una via di redenzione che dovrebbe completare quella del bene in vista della conciliazione degli opposti. Queste farneticazioni, la cui assurdità salta agli occhi di chiunque abbia un po’ di buon senso, sono invece presentate come dottrine superiori riservate a pochi eletti; allettati così dalla superbia, quegli scellerati cadono in una trappola da cui è praticamente impossibile uscire, eccetto per miracolo.
Certamente il Figlio di Dio non si è incarnato per unirsi a coloro di cui, nella Sua prescienza, sapeva che si sarebbero dannati, né ha dato la vita per loro. Questa semplice osservazione demolisce alla base quello stolido ottimismo conciliare che ha portato tanti cattolici, nel clero e nel laicato, alla rovina morale e spirituale. Essa è al contempo una salutare sferzata per i buoni, i quali, consapevoli della posta in gioco, devono pregare e riparare giorno e notte per sé e per gli altri, desiderosi di passare insieme l’eternità a lodare e ringraziare l’impagabile misericordia del loro Redentore.






maggio 2023
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