Communicatio in sacris - Alcune note

Alcune note relative alla situazione attuale della Chiesa




Qui ci sono quattro fatti certi circa l’atteggiamento della Chiesa su ciò che è tecnicamente noto come communicatio in sacris cum acatholicis – cioè  partecipazione al culto religioso con i non cattolici.

1. La costituzione Ad evitanda scandala (1418) di Papa Martino V autorizza esplicitamente la communicatio in sacris con coloro che l’autorità competente non ha personalmente condannato o ha dichiarato di aver subito la scomunica.
Questa autorizzazione di per sé si applica non solo agli scomunicati che sono ancora membri della Chiesa, ma anche agli eretici e agli scismatici, purché non siano condannati [1].

2. La costituzione Ad evitanda scandala è ancora oggi in vigore; una parte sostanziale delle sue disposizioni figura nel Canone 2261 del Codice di Diritto Canonico del 1917 — canone per il quale è nominato come fonte –  questo canone autorizza i fedeli a ricevere i sacramenti e i sacramentali da qualsiasi scomunicato non condannato, specialmente, ma non esclusivamente, se altri ministri non sono disponibili.
La ricezione dei sacramenti non è solo un atto di communicatio in sacris, ma ne è la forma più grave.

3. Tutti i canonisti e i moralisti sono unanimi sul fatto che la preghiera privata tra un cattolico e un non cattolico è consentita se la preghiera utilizzata è essa stessa cattolica (cfr. Wernz-Vidal, ecc.).

4. Il Sant’Uffizio ha dichiarato nel 1949 che la recita in comune da parte di un gruppo misto di cattolici e non cattolici del Padre Nostro o di una preghiera approvata dalla Chiesa non costituisce un atto proibito di communicatio in sacris [2].

E’ chiaro da questi esempi che non esiste alcuna legge divina che vieta assolutamente la communicatio in sacris con ogni eretico o scismatico anche prima di qualsiasi condanna formale.

Tuttavia la legge divina o naturale proibisce la communicatio in sacris se il ministro non è validamente ordinato, se il rito utilizzato non è interamente cattolico o se le circostanze sono tali che la comunione sacramentale è equivalente a una professione di eresia — o per motivi di scandalo [3].

Nel caso dei sacerdoti aderenti allo Scisma d’Oriente, la Chiesa ha sempre ritenuto “quasi impossibile” che tutti questi impedimenti siano assenti.
Per questo ha sempre giudicato illegittima la communicatio in sacris tra cattolici e membri degli organismi scismatici orientali [4].

Il Codice del 1917 dichiara che “la partecipazione attiva ai riti dei non cattolici” è illecita [5].
Ma non si può trovare un commentatore che estenda questo divieto all’uso di un rito cattolico da parte di un ministro debitamente ordinato nella Chiesa cattolica che successivamente cada in un atto personale di eresia o scisma senza unirsi a nessuna setta condannata e senza essere oggetto diretto di alcuna sentenza di condanna.

Il Canone 2316 specifica che chiunque partecipi alla communicatio in divinis [6] con gli eretici “contrariamente a quanto previsto dal Canone 1258” è “sospetto di eresia”.
Chiaramente questa pena non riguarda un atto che non si oppone al Canone 1258 — per esempio la preghiera privata o la comunicatio in sacris con persone che non sono state condannate direttamente o hanno aderito a una setta condannata.
Né si applica alla communicatio in sacris con scismatici condannati che non sono eretici, che è vietato dal Canone 1258, ma è escluso dagli effetti del Canone 2316 dalla formulazione esplicita di quel Canone.

In questo contesto possiamo rivolgerci una domanda più concreta:
Ogni vescovo che ha accettato il Vaticano II è necessariamente eretico o scismatico?

Le osservazioni di cui sopra mostrano già che nel peggiore dei casi un vescovo che abbia accettato il Vaticano II sarebbe un eretico o scismatico non condannato e quindi che la communicatio in sacris con lui, se accettasse di usare un rito cattolico, ricadrebbe sotto l’autorizzazione di Ad Evitanda Scandala e del Canone 2261, e non sotto la proibizione del Canone 1258.

Ho detto “al peggio”. Ma questo peggio è  in realtà una certezza?

Ricordiamo che:

1. Al Concilio di Rimini (359 d.C.) i vescovi che erano ortodossi ma deboli cedettero alle pressioni degli eretici e firmarono una proposta eretica.
Quando la Santa Sede (nella persona dei papi Liberio e Damaso rispettivamente) ha dovuto fare i conti con la situazione risultante, i vescovi sottoscrittori non sono stati giudicati di aver perso i loro uffici ipso facto, ma solo se non hanno rispettato l’ordine formale di ritirare i loro errori.

2. Papa Pio VI agì allo stesso modo con i vescovi cattolici francesi che avevano firmato la Costituzione civile del Clero al tempo della Rivoluzione. Li invitò a ritrattare, sotto pena di scomunica e perdita dell’ufficio.

3. La crisi ariana del IV secolo diede luogo a tanti diversi gradi di complicità, reale o sospetta, con l’eresia, che anche i santi non sempre furono d’accordo tra loro su chi si dovrebbe essere in comunione con e chi no.
Sant’Ilario è stato accusato di eccessiva clemenza con coloro che erano andati in una certa misura fuori strada sia in formulazioni verbali o nella loro valutazione di quale clero potesse essere avvicinato per i sacramenti.

4. L’esempio del beato Noel Pinot nella Francia rivoluzionaria la dice lunga.
Quando il clero fu convocato dal governo rivoluzionario per sottoscrivere la Costituzione civile del Clero, questo parroco osservò tre fatti essenziali:
(i) gli era chiaro che il documento era eretico e scismatico;
(ii) non era ancora stato condannato come tale dalla Santa Sede, e
(iii) non tutti i sacerdoti condividevano il suo severo giudizio.
Quindi
(a) ha fermamente rifiutato di firmare il testo stesso, qualunque cosa fosse accaduta, ma (b) ha continuato a condividere il ministero della chiesa di cui era pastore [7] con il suo curato, Don Garanger, che, nonostante le rimostranze di Pinot, aveva firmato.

“In ogni caso - scrive il biografo del Beato Noel - poiché il Papa non si era ancora pronunciato sul tema della Costituzione civile del Clero, Don Garanger non aveva subito alcuna censura a seguito del giuramento di fedeltà ad esso.
Il beato Pinot confidò che le istruzioni che Roma avrebbe presto rilasciato sul tema gli avrebbero aperto gli occhi e nel frattempo gli permise di continuare le sue attività in parrocchia come prima...” [8].


NOTE

1. Prospero Lambertini (Papa Benedetto XIV): Tractatus de synodo diœcesana, lib. v, cap. 5 e Sant’Uffizio, Rescritto del 10 maggio 1753, citato da Gasparri, Fontes, vol. IV, pag. 83.

2 - 20 dicembre 1949, Instructio ad locorum Ordinarios, “De Motione Œcumenica” n. v

3 - In teologia un atto è definito “scandaloso", non perché sconvolge, stupisce o attira disaccordo o disapprovazione, ma quando provoca altri a commettere peccato.

4 - Sant’Uffizio, Rescritto del 10 maggio 1753

5 - Canone 1258.

6 - L’espressione è equivalente a communicatio in sacris.

7 - La parrocchia di Le Louroux Béconnais.

8 - Mons. Francis Trochu, Vie du Bienheureux Noël Pinot, p. 65.







maggio 2023
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