Fatevi santi !

di Elia


Articolo pubblicato sul sito dell'Autore: La scure di Elia

L'mmagine è nostra






Audiam quid loquatur in me Dominus Deus, quoniam loquetur pacem in plebem suam, et super sanctos suos, et in eos qui convertuntur ad cor. Verumtamen prope timentes eum salutare ipsius, ut inhabitet gloria in terra nostra
(Sal 84, 9-10).

«Ascolterò che cosa dice in me il Signore Dio»
(Sal 84, 9).

  
L’intensificarsi dell’unione con Dio sviluppa nell’anima una spiccata sensibilità per i doveri che l’uomo ha verso di Lui e un desiderio ardente di ricambiarne l’amore in ogni maniera. Essa sente così un bisogno spontaneo di pregare di più e con maggior fervore; di moltiplicare atti nascosti di adorazione, umiliazione e dedizione; di servirlo in tutte le occasioni, grandi e piccole; di offrirsi costantemente a Lui in pegno, per quanto esiguo, di riconoscenza e di affetto.
Il sussurro discreto dello Spirito Santo suggerisce al cuore teso in ascolto mille modi di esprimere la gratitudine, mentre in modo ineffabile lo tormenta il Suo fuoco soavissimo, che arde dolcemente, ma in modo inarrestabile: nulla sembra bastare né essere adeguato allo scopo, mentre le lodi degli uomini causano acuta pena, in quanto percepite come inopportune verso un peccatore e lesive dell’onore divino.


Un ambiente sfavorevole

Quell’anima favorita dal Signore si trova però a vivere in una società inghiottita dal materialismo e regredita nella barbarie, nonché in un contesto ecclesiale completamente avverso, nel quale il culto dell’uomo ha trasformato la vita spirituale in ricerca di godimento emotivo, mentre la Liturgia è diventata un palcoscenico su cui esibirsi a vario titolo in vista di un effimero plauso umano.
Anziché sforzarsi di inventare e iterare atti di amore, offerta e mortificazione con cui dimostrare a Dio, com’è giusto, la propria gratitudine e corrispondenza, abbiamo ridotto sempre più, fino a eliminarli talvolta del tutto, i segni e le forme non solo di pentimento e abnegazione, ma finanche di semplice rispetto: le genuflessioni, il digiuno eucaristico, l’astensione dalle carni, le penitenze, il silenzio… e tante altre espressioni di quella contrizione e dedizione che la fiamma della carità stimola in coloro che Lo amano in verità e non a parole.
Siamo andati nel senso opposto a quello verso cui ci spinge l’obbligo di ricambiare l’immensa bontà di cui il Signore ci circonda senza sosta e il desiderio di unirci totalmente a Lui.
Come può Dio sopportarci ancora? Cosa sono mai le catastrofi provocate dai Suoi nemici, in confronto ai castighi che meritiamo? Chi mai prega come si deve perché essi siano allontanati?
Perfino la preghiera pubblica della Chiesa è stata ridotta al minimo con la semplificazione del Breviario, l’abrogazione delle Rogazioni e tanti altri tagli che sembrano rispondere più alla volontà di distruggere che all’asserito intento di favorire una partecipazione più consapevole. In realtà la demolizione del culto è cominciata prima di quel fatidico 1969: a ben tre riprese (nel 1955, nel 1960 e nel 1962) la Liturgia era già stata picconata nelle funzioni della Settimana Santa, nell’Ufficio Divino, nel Messale e nel calendario.

Senza certo negare l’enorme salto compiuto dopo il Vaticano II col completo rifacimento del culto cattolico, non se ne può tuttavia misconoscere la continuità con gli interventi precedenti, che di fatto ne furono una preparazione. Lo spirito dell’innovazione aveva già impregnato molti esponenti della Curia Romana, nonché tanti formatori di seminario e professori di teologia, soprattutto nell’Europa centro-settentrionale. La massoneria aveva sguinzagliato ovunque i suoi agenti, incaricati di propagare simultaneamente il modernismo, il comunismo e l’omoerotismo. Queste tre componenti si ritrovano quasi sempre congiunte nei medesimi soggetti; là dove manchi un’esplicita adesione ai temi tipici della propaganda di sinistra, essa è sostituita da un irritante comunitarismo in nome del quale bisogna per forza esser tutti amici, andar tutti d’accordo, far tutti le stesse cose… una farsa grottesca che, malgrado la sua evidente falsità, deve comunque continuare.

Che cosa dobbiamo fare?

Al termine del discorso pronunciato da san Pietro il giorno di Pentecoste, che aveva trafitto il cuore degli ascoltatori, la folla domandò a lui e agli altri Apostoli: «Che faremo, uomini fratelli?» (At 2, 37). La risposta non si fece attendere: «Fate penitenza» (At 2, 38 Vulg.).
Le tradizionali pratiche di mortificazione hanno il potere, per la misericordia divina, di espiare i peccati, stornare i castighi, purificare l’anima e renderla ricettiva alla grazia. Soltanto chi si astiene da ciò che fomenta peccato, impazienza e dissipazione può accogliere i doni celesti e udire come Dio «proclamerà la pace nei confronti del suo popolo, sopra i suoi santi e verso coloro che si volgono al cuore» (Sal 84, 9).
I beneficiari del Suo intervento favorevole appartengono a tre categorie: il Suo popolo, del quale si è membri in virtù della fede, del Battesimo e della Cresima (cf. At 2, 38); i Suoi santi, cioè le membra vive del Corpo Mistico, quelle che, essendo in stato di grazia, sono insignite della santità ontologica dei battezzati e perseguono la santità effettiva di tutto l’agire; coloro che si volgono al cuore, ossia i fedeli che, curando la vita interiore, scoprono il Cristo nascosto nell’intimo.

La successione dei gruppi enunciati indica in realtà un progressivo restringimento di prospettiva: non basta far parte della Chiesa né vivere abitualmente in grazia, ma bisogna acquisire la capacità di rientrare in sé stessi il più spesso possibile per ascoltare cosa il Signore dice alla coscienza. In tal modo si riceve la pace soprannaturale che Egli è pronto a riversare nei cuori umili e mortificati, ma ricolmi di incrollabile fiducia; in tal modo si scopre che la «Sua salvezza è vicina a quanti lo temono, affinché la gloria dimori nella nostra terra» (Sal 84, 10).
La familiarità con Dio, infatti, dona una conoscenza quasi sperimentale della verità rivelata, alla quale aderiamo, ovviamente, non a motivo di essa, ma in ossequio all’autorità di Lui; senza questa obbedienza previa sarebbe peraltro impossibile giungere a quella forma sublime di scienza che, come si vede negli scritti dei Santi, esprime asserti elementari della dottrina con impressionante profondità, chiarezza, perspicacia e forza persuasiva, cogliendone nessi e implicazioni, mostrandone l’irrefutabile veridicità e comunicandoli in modo che si imprimano indelebilmente nell’intelletto, muovendo al contempo la volontà.
Questa viva comprensione della fede, naturalmente, si dimostra autentica nel suo tradursi in atti di carità concreta: l’effusione di pace celeste e l’esperienza personale della salvezza, infatti, non possono rimanere rinchiuse nel cuore infiammato dallo Spirito Santo, ma sono per loro stessa natura contagiose.
Ciò presuppone tuttavia tre condizioni.
La prima è la determinazione nel perseguire la perfezione in ogni cosa, con l’esclusione di ogni peccato veniale deliberato; ben lungi dall’essere lo sforzo perfezionistico di un io tirannico, è un’esigenza che scaturisce da un amore di Dio sempre più ardente e totalizzante.
La seconda è l’approdo all’infanzia spirituale, da non confondere con quell’infantilismo che pretende tutto da Dio senza alcuno sforzo e si perde nella ricerca di fatti straordinari, così pericolosa nell’esporre l’anima alle illusioni psicologiche e agli inganni diabolici; si tratta invece di quella semplicità e mancanza di ipocrisia che consente ai bambini, malgrado i difetti del loro egocentrismo, di riconoscere l’amore sincero e di abbandonarvisi senza riserve né calcoli, ma con la fiduciosa dirittura della loro innocenza.
La terza, infine, è la volontà di imitare i Santi, non certo con assurdi tentativi di elevarsi da sé alle grazie singolari di cui il Signore li ha favoriti, bensì con l’esercizio dell’umiltà, della pazienza, della mortificazione e dell’astinenza non solo dai piaceri illeciti, già esclusi in partenza, ma anche da quelli leciti ogni volta che se ne senta la chiara ispirazione (purché non si tratti di uno scrupolo o di una tentazione sotto apparenza di bene; in caso di dubbio, si consulti un buon confessore). A questo fine è molto utile leggere le loro vite e i loro scritti, possibilmente in vecchie edizioni precedenti al Vaticano II, quindi scevre da quella mania di reinterpretare tutto in funzione delle innovazioni, con la sistematica espunzione di quanto sa di miracolo, castigo e penitenza, fino a riscrivere in certi casi perfino i loro testi col pretesto di aggiornarne la lingua.
La colossale opera di revisione mistificatrice non ha risparmiato proprio nulla, con un’impudenza da lasciare esterrefatti; essa è però per noi ulteriore motivo di stupore e gratitudine per l’immeritata grazia di aver potuto aprire gli occhi ed esserne gradualmente disintossicati. Laus Deo et Mariae!






giugno 2023
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