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Fatevi santi ! - 2
di Elia
Articolo pubblicato sul sito
dell'Autore: La scure di Elia
L'immagine è nostra Viam iustificationum tuarum instrue me, et exercebor in mirabilibus tuis (Sal 118, 27). «Insegnami la via dei tuoi precetti e mi applicherò alle tue meraviglie». In tal modo l’intera dottrina e sapienza ascetico-mistica accumulata dalla Chiesa in due millenni è inevitabilmente finita nel dimenticatoio: la nuova Pentecoste l’ha resa del tutto superflua, a meno che non sia in parte ricuperata, sebbene in modo puramente nominale oppure in ossequio a false apparizioni, non certo in continuità con la Tradizione né in conformità alla propria vera natura e ai propri veri scopi. Lo sforzo di correzione e miglioramento individuale è stato rimpiazzato dalle attività di gruppo, come se la salvezza fosse una realtà collettiva di cui si beneficia in virtù della mera appartenenza ad esso. In questo contesto han pullulato ovunque nuove comunità in cui l’ascesi viene variamente intesa come congerie di velleitari propositi o, all’opposto, impegno volontaristico estraneo a una vera cooperazione con la grazia. Il risultato, di solito, è un ottuso convincimento di essere a posto, che rende le persone refrattarie a qualsiasi richiamo. Santità a buon mercato In una temperie spirituale del genere, non raro è il caso di fondatori che, in forza di un presunto privilegio, si considerano esonerati dagli obblighi morali cui sono vincolati i comuni mortali e, di conseguenza, informano i loro comportamenti a un’asserita libertà evangelica che, in realtà, copre l’assuefazione all’arbitrio, all’illegalità e all’abuso. Pare che il chiaro monito paolino non sia stato ben compreso: «Voi foste chiamati a libertà, fratelli, purché la libertà non si trasformi in occasione per la carne» (Gal 5, 13). Logorroiche affabulazioni spiritualoidi o solenni documenti zeppi di titoli pomposi non valgono a nascondere la realtà di un sostanziale nulla sul piano della vita interiore, il cui spazio è riempito da parole vuote e luoghi comuni. Il peggio è che tutto questo fa scuola tra giovani e meno giovani trovando appoggio da parte della gerarchia, la quale, finché non è costretta ad aprirli dallo scoppio di uno scandalo, tiene serrati entrambi gli occhi. Senza toccare qui il problema dei condizionamenti mentali cui spesso sono sottoposti i seguaci, ridotti a volte in balìa di un esercizio dell’autorità del tutto arbitrario e irretiti da insegnamenti manipolatori che possono giungere ad alterarne la coscienza, ci limitiamo a evidenziare come la conversione non consista in un’esperienza emotiva che instauri un rapporto di dipendenza, bensì nella decisione di abbandonare effettivamente il peccato e di impegnarsi a osservare la legge di Dio nella condotta concreta. Questo è il punto di partenza di ogni percorso autenticamente cristiano; senza iniziare da qui, non si va da nessuna parte, ma ci si perde nelle illusioni. Sicuramente è solo con l’aiuto della grazia che tale decisione può essere presa e applicata; nondimeno il Signore, che non nega mai la grazia a chi sia ben disposto, la vuole in quanto parte integrante della necessaria cooperazione umana. Essa, inoltre, è solo l’inizio di un processo di graduale purificazione e santificazione, non certo un punto di arrivo. La commedia degli equivoci Il credersi già arrivati in virtù dell’accettazione nel gruppo comporta un altro grave equivoco: quello di scambiare la perfezione con l’ordinaria vita cristiana, intesa oltretutto in modo riduttivo come una sorta di patteggiamento col peccato o di compromesso permanente, uno stato di tiepidezza e ipocrisia ammantato di nobili discorsi infarciti di concetti astratti e tendenti a legittimare il peccato: accoglienza, fraternità, inclusione, solidarietà, condivisione… Un errore analogo è quello con cui si presenta la perfezione come qualcosa di normale, alla portata di chiunque: le disposizioni e i fenomeni che la caratterizzano sembrano immediatamente accessibili a tutti, senza alcuno sforzo umano né speciale intervento della grazia. Il nominalismo protestante impera ormai senza pudore e senza remore: l’importante è convincersi di essere giusti grazie alle opinioni, alle parole e, per dare almeno una parvenza di concretezza, a un po’ di volontariato privo di ogni soprannaturalità. Contro questa deriva luterana, che conduce nel vicolo cieco di un’impossibile autosalvazione, risuona possente la divina parola. Chi si è sinceramente convertito ricerca ardentemente una guida sicura per la propria condotta; sapendo che Dio solo può offrirgliela, ne medita e scruta i precetti, la cui osservanza è capace di renderlo effettivamente giusto per effetto della grazia divina. Dato però che la grazia, lungi dal sopprimerlo o soppiantarlo, si inserisce nell’agire umano per elevarlo al piano soprannaturale, è indispensabile che l’uomo faccia qualcosa, ovviamente in sintonia con la volontà di Colui che gliela dona, non in contrasto. È assurdo che Dio, suprema verità, consideri giusto chi persevera nel peccato senza volersi emendare, abusando della Sua misericordia nonché disonorandolo di fronte a quanti vedono vivere in tal modo uno che si fregia del nome di cristiano. Una religiosità costruita su questa stridente contraddizione è un’insopportabile farsa. Quale evangelizzazione? Ora, che cosa si intende, oggi, quando si parla di evangelizzazione? Si tratta forse di convincere chi è lontano dalla fede e dalla pratica religiosa a partecipare a questa finzione? di spingerlo a questa illusoria conversione a buon prezzo? di coinvolgerlo in un itinerario di apparente progresso spirituale? Ci sono purtroppo molte persone pronte ad accogliere simili proposte, che danno loro l’impressione di un grande cambiamento lasciandole esattamente come sono: è così facile e allettante! Poiché però, pur essendo possibile ingannare sé stessi e gli altri, è impossibile frodare Colui che tutto vede, si rivela necessario costruirsene un’immagine a proprio uso e consumo, un vitello d’oro da adorare come autore della liberazione da un Egitto nel quale, in realtà, si è rimasti sia col cuore che con la condotta; in altre parole, ci si foggia un idolo che legittimi la contraddizione e nasconda l’apostasia dietro la cortina fumogena di un culto artificiale, elaborato dall’uomo e non prescritto, com’è logico, da Colui che lo esige. Quando, per pura grazia, si fa ritorno all’autentico rito, si prende piena coscienza della vera portata dell’insegnamento dei mistici: si capisce bene cosa sia l’odio del peccato, che essi inculcano come preliminare di ogni ascesa, e in che consista il sincero amore di Dio, il quale va dimostrato con i fatti. Il cuore si sente allora sopraffatto dal bisogno di ricambiare in modo effettivo la Sua impagabile misericordia e brama di dare sfogo alla fiamma di carità che lo tormenta. In quest’operosa tensione, dopo essersi lasciato adeguatamente istruire e purificare in successivi passaggi, esso può finalmente applicarsi alle meraviglie del Signore nell’esercizio delle virtù, che il divampare dell’amore spinge fino all’eroismo. Ecco: questo è ciò che ci insegna la tanto celebrata Parola, se letta nell’alveo della Tradizione che l’ha custodita e ce l’ha consegnata, piuttosto che secondo i vaniloqui dei moderni spiritualisti; questo è ciò che può farci realmente santi. Solo così Cristo non è relegato all’ultimo posto col pretesto di servire il prossimo, come mero puntello di un’ideologia pseudoreligiosa; solo così la verità che salva si realizza nella coscienza e nella vita. (torna
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giugno 2023 |