Sinodo sulla sinodalità: un altro passo verso l’abisso



Articolo di Matteo D'Amico



Pubblicato il 23 giugno 2023 sul sito dell'Autore






Il 20 giugno è stato presentato in Vaticano il documento Instrumentum Laboris per il Sinodo dei vescovi che si svolgerà sempre a Roma dal 4 al 29 ottobre 2023, intitolato: PER UNA CHIESA SINODALE: COMUNIONE, PARTECIPAZIONE, MISSIONE.

Siamo di fronte al metodo ormai ampiamente collaudato da Francesco per manomettere la dottrina cattolica, o il poco che ne resta intatto, metodo già ampiamente sperimentato, ad esempio con il Sinodo per l’Amazzonia:  un lunghissimo cammino di avvicinamento, l’elaborazione di un Instrumentum Laboris, il Sinodo effettivo che discute il documento preparatorio in modo “democratico”, un documento finale come esito del Sinodo che viene presentato al Papa, infine, magari dopo qualche mese, il documento papale, più o meno in assonanza con quanto proposto dal Sinodo. 
La procedura descritta sembra libera e aperta a ogni soluzione, ma in realtà è quanto di più controllato e guidato si possa immaginare. Infatti l’Instrumentum Laboris consta essenzialmente di una lunga serie di domande, alle quali però i “gruppi di lavoro” sono vincolati nelle risposte: insomma dal tenore delle domande tutti capiscono, anche non volendolo, dove si viene dolcemente invitati ad andare, in quale direzione. 
Lo ha già capito la stampa laicista che ha così sintetizzato il documento di lancio del Sinodo: aperture possibili a sacerdoti coniugati, al diaconato femminile e a una nuova accoglienza degli omosessuali. Vi sono anche altri contenuti, ovviamente, ma è già chiara a tutti la strategia rivoluzionaria che si sta per attivare.

Ma per capire il degrado al quale si è giunti basta leggere alcune delle dichiarazioni fatte alla conferenza stampa di presentazione dell’Instrumentum in Vaticano  (sottolineature mie):
“ (…) è emerso il desiderio di continuare a utilizzare per l’ascolto e il discernimento in comune il metodo della conversazione nello Spirito, che ha segnato profondamente la fase consultiva del cammino sinodale. Un metodo che può essere descritto come “una preghiera condivisa in vista di un discernimento in comune, a cui i partecipanti si preparano con la riflessione e la meditazione personale”. Una conversazione che “risulta tanto più feconda quanto più tutti i partecipanti vi si impegnano con convinzione, condividendo esperienze, carismi e ministeri a servizio del Vangelo”. E che punta a raggiungere, affrontando insieme anche “tematiche controverse”, un consenso “inclusivo, in cui ciascuno possa sentirsi rappresentato, senza trascurare i punti di vista marginali né trascurare i punti in cui emerge un dissenso, che non va eliminato ma sottoposto a discernimento

Dunque, in parole povere il metodo consisterebbe nel fatto che si dovrebbe pregare prima di incontrarsi nelle riunioni: un metodo non molto originale e che neppure è giusto chiamare “metodo”, visto che stiamo parlando di vescovi e religiosi che, come minimo, dovrebbero pregare abitualmente.

Ma si noti soprattutto come si parli di “tematiche controverse” sulle quali occorre raggiungere un “consenso inclusivo”;  ora, le tematiche controverse abbiamo già capito quali sono: avvio dell’abrogazione del celibato sacerdotale, donne diacono (il passo successivo sarà quello delle “donne sacerdote”) e distruzione della legge naturale (apertura all’omosessualità), ma rasenta il delirio il nuovo concetto di “consenso inclusivo”, sia perché il termine inclusivo è una delle parole chiave del mondo LGBT+, e dunque la Chiesa farebbe bene a non utilizzarlo; sia perché il consenso o è tale, o non è: non può esserci un consenso non inclusivo. Se due persone sono in pieno consenso che senso ha specificare che questo consenso deve essere inclusivo?  Si intende forse dire che anche le posizioni di minoranza andranno in qualche modo incorporate nei testi finali, evitando una netta demarcazione fra vero e falso, fra bene e male?

Un’ulteriore specificazione del “metodo” che dovrà caratterizzare il cammino del Sinodo è data da un altro sacerdote (sott. nostre):
Questa conversazione, chiarisce padre Costa, si articola su tre passaggi: la “presa di parola da parte di ciascuno, a partire dalla propria esperienza riletta nella preghiera durante il tempo della preparazione”; una nuova presa di parola “per esprimere che cosa durante l’ascolto lo ha toccato più profondamente e quando ha sentito lo Spirito Santo far risuonare la propria voce”; infine si identificano “i punti chiave emersi durante la conversazione e si raccolgono i frutti del lavoro comune, in vista del passaggio all’azione”. Rispetto al passato, ci saranno “alcuni momenti di preghiera comune” e alcune celebrazioni liturgiche, “in aggiunta alla preghiera con cui si apre e chiude ogni sessione”.

Si noti la retorica di tipo pentecostalista/carismatica che ricorda certi movimenti protestanti e l’idea che si tratti  di “ascoltare” profeticamente cosa dice lo “Spirito”, quasi fosse in gioco  una nuova rivelazione. 
Anche nell’Instrumentum Laboris ricorre continuamente l’idea di ascoltare, capire, discernere che cosa la Chiesa deve fare per andare incontro agli uomini di oggi.  Non si trova mai un appello per un ritorno alla Tradizione, all’immutabile legge di natura, a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato sui temi proposti:  sembra di essere ancora di fronte al mito di una “nuova Pentecoste” che tanti danni aveva già fatto al Concilio Vaticano; il fatto però più grave è che i temi (ad esempio la possibilità del matrimonio dei sacerdoti) vengono proposti come se non ci fosse una Chiesa Docente (l’Episcopato in unione con il Papa) che ha tutti i mezzi per insegnare come occorra rispondere alle domande proposte, ma sono piuttosto temi presentati come se fosse la Chiesa Discente a dover insegnare alla Chiesa universale come risolvere i diversi problemi: ciò è coerente con tutto il pontificato di Bergoglio, caratterizzato da subito da questo rovesciamento anticristico fra autorità e sudditi, fra Chiesa Docente e popolo dei fedeli. Non dimentichiamo che Bergoglio ha parlato di “pastori che devono avere l’odore delle pecore”, e che devono, in generale, seguire il popolo e non guidarlo.  Si tratta dei principi delle rivoluzioni democratico-socialiste (e della teologia della liberazione, che tanta influenza ha avuto sul giovane Bergoglio) applicati  alla dottrina e all’insegnamento della Chiesa, che per ciò stesso  cessa di avere la dignità di un vero atto di magistero.
Sul piano della strategia comunicativa il meccanismo che si sta avviando implica tre messaggi:
1.    È iniziata una positiva rivoluzione nella Chiesa;
2.    Chi muove tutto è lo Spirito, siamo in realtà di fronte a una nuova Pentecoste;
3.    Il segno della bontà e positività di quanto è in corso consiste nel fatto che siamo di fronte a un processo iper-democratico, che parte dal basso, dal popolo, dall’ascolto di quanto insegnato dalle periferie e dagli ultimi.

Abbiamo qui condensata l’essenza del modernismo nella più tipica interpretazione che ne dà Bergoglio: non esiste una verità dogmatico-dottrinale immutabile che la Chiesa deve custodire gelosamente  e dunque l’insegnamento proposto dalla Chiesa è pensato pragmatisticamente come vero nella misura in cui si mostra capace di aderire e di rispondere ai bisogni dei fedeli.
In tale contesto, culturalmente e intellettualmente disturbato, la Chiesa è pensata come  una sorta di agenzia dove l’autorità è legittima solo se “avvia processi” di cambiamento volti a riallineare la dottrina e gli usi della Chiesa con i bisogni, i desideri, le aspirazioni dei popoli.  In tale contesto fra l’altro, si pensa come cosa virtuosa, non assurda e negativa, il fatto che prassi ecclesiastiche e convinzioni dottrinali mutino da paese a paese, da Conferenza episcopale a Conferenza episcopale: l’unità dottrinale è un limite, non una virtù della Chiesa cattolica storica.
In questo quadro di assoluto relativismo e mobilismo dogmatico, l’unico nemico sono i “passatisti”, i farisaici cultori dell’idea che le verità di fede siano immutabili, che la legge morale sia eterna e non passibile di attenuazioni o modifiche.  Costoro sono i nuovi aridi dottori della legge che scagliano i dogmi come “pietre” contro i poveri cristiani comuni…
Il documento Instrumentum Laboris andrà analizzato a fondo, punto per punto, ma fin d’ora, anche alla lettura più superficiale, emerge, infine, una particolarità stilistica: il testo è scritto in uno strano linguaggio che sembra un miscuglio di lessico aziendale-manageriale, da formatore di tecniche di team-working (lavoro di gruppo), da movimento politico o d’opinione; non è in nessun modo un linguaggio riconoscibile come teologico, né, tantomeno, come cattolico.  La lunga, direi sconfinata, serie delle schede preparatorie non consiste in altro che in una interminabile serie di domande, che più che essere  domande sono in realtà già chiare indicazioni di risposte.  Si tratta dunque, in realtà, di domande retoriche, del tutto scontate. 
Facciamo un esempio. Una delle schede di lavoro recita così (sott. nostre):
6) Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?”.

Il testo è esemplare: innanzitutto non si vede dove sia il problema di una Chiesa che giudica: il giudizio della Chiesa è un giudizio che distingue il peccato da ciò che è lecito, il vero dal falso, ciò che giova spiritualmente da ciò che è dannoso. La Chiesa è maestra, non è solo madre, e in quanto tale il suo compito è guidare gli uomini in qualità di suprema autorità dottrinale e morale. Il problema non è che una persona si senta giudicata, ma che il giudizio della Chiesa sia retto e in grado quindi di orientare con sicurezza la vita delle persone. C’è bisogno poi di ricordare l’antico adagio: “la Chiesa condanna il peccato e non il peccatore”?.

Il secondo passo sottolineato è ancora più grottesco: domandare cosa deve fare la Chiesa per andare incontro a chi, vivendo relazioni affettive gravemente immorali, si sente escluso dalla Chiesa. Il problema però è mal posto: il vero nodo non è sentimentale (che una persona si senta o non si senta escluso), ma morale (se una persona è in uno stato di peccato grave o no).  E stiamo parlando di cose come la poligamia o il far parte della “comunità” LGBT+!

Con ciò concludiamo venendo al punto essenziale: in tutto il documento non compare praticamente mai il concetto di colpa, di peccato;  è assente del tutto il tema della Redenzione, dello stato di grazia, della salvezza delle anime, della vita eterna, dell’importanza della vita di pietà, della centralità dei sacramenti e del Santo Sacrificio della Messa.  
In altre parole si parla ossessivamente di Chiesa “sinodale”, come di una nuova realtà messianica che va profeticamente edificata, ma si dà al contempo una lettura del cristianesimo che espunge da esso completamente ogni elemento soprannaturale. 
In un certo senso l’Instrumentum non sembra nemmeno parlare di una religione (è del tutto assente il dramma del rapporto fra l’uomo e Dio), appare piuttosto come il documento di una holding, di una gigantesca ONG dedicata alla filantropia su scala internazionale. Leggendolo si è immersi nel mondo e nei suoi problemi, veri o presunti, senza alcuna prospettiva e senza nemmeno il più piccolo riferimento alla trascendenza, al Cielo, al destino eterno dell’uomo, all’immortalità dell’anima, al peccato e alla virtù, al giudizio che attende ogni uomo, alla vita di grazia, alla lotta necessaria, con l’aiuto di Dio, per salvare la propria anima.
Lo stesso nome di Nostro Signore Gesù Cristo, il Vangelo sono in pratica dimenticati, resi del tutto periferici.  La fede cristiana, se ancora si può usare simile espressione, sembra essere ridotta a un vago, irrazionale e sentimentalistico dovere di accogliere tutti, dai migranti ai gay, dai pagani agli LGBT. Forse questo è l’esito ultimo della definizione, data al Concilio Vaticano II, della Chiesa come “sacramento dell’unità del genere umano”. Se il Sinodo di ottobre obbedirà alle ferree indicazioni dell’Instrumentum Laboris, senz’altro siamo, umanamente parlando, alla liquidazione della fede cristiana e della Chiesa cattolica.







 
giugno 2023
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