Il femminismo ha distrutto la famiglia

e sta causando un gravissimo crollo demografico



Articolo di Matteo D'Amico



Pubblicato il 6 luglio 2023 sul sito dell'Autore






In tutto il mondo è in corso da decenni un lento, ma inarrestabile, crollo demografico.
Il numero di figli per donna in età fertile e tutti gli altri indicatori legati all’andamento della popolazione stanno peggiorando in tutto il mondo, sia nei paesi opulenti e avanzati, sia nei paesi più poveri, sia nei paesi ex-comunisti o comunisti, sia nei paesi “democratici”, nei paesi islamici, come nei paesi africani.
Ovviamente non dappertutto la situazione è tragica come, ad esempio, in Occidente, ma ovunque è iniziata una decisa parabola negativa che non può che portare a un invecchiamento della popolazione, alla mancanza di forza lavoro, a una crisi dei consumi e dei sistemi sanitario e previdenziale. 
La rivoluzione che ha portato a questo generalizzato rifiuto del matrimonio e dei figli ha radici lontane che, sul piano culturale, possono essere fatte rimontare al Sessantotto.

Il Sessantotto è stata la più grave rivoluzione politico-sociale moderna e, come nessun altra, ha manipolato e sovvertito l’immagine e l’immaginario femminile.  Il femminismo, come ideologia deleteria e nichilista, è esploso negli anni Settanta e si è così innestato su una mente femminile già profondamente alterata. I termini di questo sovvertimento dell’idea di donna sono i seguenti:

•    rifiuto della patria potestà: la donna è eguale all’uomo e deve avere lo stesso potere, gli stessi diritti e le stesse opportunità dell’uomo; ciò fa sì che anche nel matrimonio venga meno l’autorità del padre e si apre così la strada al divorzio;
•    la donna deve lavorare per realizzarsi ed è il lavoro ad occupare il posto centrale nella sua vita; la famiglia e i figli iniziano a essere pensati come un fastidioso ostacolo alla carriera, come un inciampo rispetto ai propri impegni professionali;
•    la figura di chi si limita a essere “casalinga” inizia a essere disprezzata e mal tollerata: bisogna quasi vergognarsi di limitarsi a svolgere bene i propri doveri di moglie e di madre;
•    i figli devono essere pochi e ciò non per motivi economici (fanno pochi figli anche le donne di famiglie abbienti), ma perché socialmente la famiglia numerosa è oggetto di disprezzo e percepita collettivamente come un disvalore;
•    la donna lavoratrice deve giungere al matrimonio non più custodendo gelosamente la propria verginità, ma, al contrario, avendo già avuto esperienze sentimentali con molteplici partner; l’uso della contraccezione fin dalla giovinezza diventa un valore positivo che inquina quindi da subito anche il matrimonio;
•    diventa un valore e un costume quasi universale la convivenza prematrimoniale, con “fidanzamenti” sempre più lunghi; si attenua fino a scomparire la differenza fra convivenza more uxorio e matrimonio;
•    all’interno del matrimonio crescono le aspettative sentimentali della donna: poiché il matrimonio non è più pensato come essenzialmente orientato alla procreazione di figli,  la donna da madre diventa e si pensa come amante, assetata di riconoscimenti sentimentali, emotivi, affettivi, sessuali da parte del marito, che inizia a essere percepito come inadeguato (l’80% dei divorzi è richiesto dalle donne);
•    adulterio, separazioni e divorzi iniziano a dilagare in un clima di crescente edonismo e permissivismo;
•    in tale contesto psicopatologico e moralmente completamente corrotto non solo non nascono più figli, ma i pochi figli che nascono cessano di essere educati in modo sano e si avviano a rimanere a loro volta eterni adolescenti viziati e fragili, destinati a replicare il modello dissolutorio inaugurato dal ’68.
•    La sovversione/distruzione dell’immagine della donna sovverte l’uomo, la famiglia, la società ponendo le premesse per una crisi radicale della religione cattolica, incapace, dopo il Vaticano II, di guidare con vigore verso la santità i pochi desiderosi di rimanerle fedeli.

Un articolo ampio e articolato tocca alcune delle conseguenze della rivoluzione dei costumi che abbiamo descritto sopra, mostrando bene la gravità della situazione attuale.

(Articolo di Santiago Gascó Altaba)

Inverno demografico è il termine coniato per descrivere l’invecchiamento, ovvero l’aumento dell’età media, della popolazione, ovvero la mancanza di natalità. Ci vuole un tasso di natalità di 2,1 figli per donna per mantenere la popolazione. In Italia il tasso di natalità è di 1,3 figli per donna circa, più della metà delle donne in età fertile non ha neanche un figlio. La Plasmon ha realizzato un cortometraggio, “Adamo”, sull’ultimo bambino che nascerà in Italia fra una generazione. «Se le nascite in Italia proseguissero il percorso di diminuzione con il ritmo osservato nel decennio scorso ci troveremmo a entrare nella seconda metà di questo secolo con reparti di maternità del tutto vuoti».
A Genova, la città più vecchia d’Europa, per venti giorni consecutivi non c’è stata nessuna nascita. Ci sono 269 anziani per ogni 100 bambini, i morti sono il triplo dei nati, per due negozi della linea per bambini Prénatal ci sono una quindicina tra punti vendita e supermercati per animali delle catene Arcaplanet e Fortesan.
«La città che presto potrebbe svanire nel nulla», intitolano i media.
Ma l’inverno demografico non riguarda unicamente l’Italia.

In Giappone il mercato dei pannoloni per anziani da anni surclassa quello per bambini. Qualche giorno fa c’è stato un professore dell’Università di Yale che ha suggerito il suicidio di massa dei vecchi per risolvere il problema dell’invecchiamento in Giappone. Anche qui il tasso di fecondità è di 1,3 figli per donna circa, le nascite totali sono cadute nel 2022 per la prima volta nella storia del paese sotto le 800.000. La popolazione sotto i 15 anni è al minimo storico, 11,7%, a fronte di un numero crescente di persone con più di 65 anni, 29%.
Il paese con il tasso di fecondità più basso al mondo è la Corea del Sud, era di 0,81 figli per donna nel 2021, nel 2022 è crollato ancora fino a 0,78 figli per donna. Nel 2022, nel paese ci furono 249.000 nascite e 372.800 decessi. Nel frattempo l’età media delle madri continua a protrarsi fino a 33,5 anni nel 2022.
In Italia, 33,1 anni per le italiane e 31 anni per le cittadine straniere. In 16 anni il governo della Corea ha speso più 200.000 milioni di dollari allo scopo di aumentare la popolazione senza riuscirci. Tra alcune delle misure elencate dagli esperti per capovolgere la situazione e aumentare le nascite ci sono la promozione sociale delle famiglie monoparentali, l’accesso delle donne single a trattamenti di fecondazione in vitro e il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il denaro non inverte la tendenza

L’inverno demografico rappresenta uno sconvolgimento della società di una portata incalcolabile. Non solo mette a rischio la salute del sistema pensionistico, o può provocare lo spopolamento di certi territori e cittadine e il deterioramento dei loro servizi, fino ad arrivare addirittura alla completa sostituzione e scomparsa della cultura autoctona per altre di popolazioni immigranti.
Dalla crisi demografica e dalla sparizione dei legami familiari ne derivano nuovi fenomeni dovuti all’isolamento sociale, una volta sconosciuti, come è ad esempio la “morte in solitudine”. Si tratta di persone che muoiono da sole, il corpo talvolta scoperto dopo giorni o settimane. Alcuni paesi, come il Giappone o il Regno Unito, hanno emanato delle normative per prevenire “la morte in solitudine”. Sempre in Corea del Sud il fenomeno riguarda migliaia di persone, fenomeno in aumento. Nel 2021 ci furono 3.378 morti di questo tipo, a fronte di 2.412 nel 2017. I gruppi sociali più a rischio sono gli anziani e gli uomini. Nel 2021 il numero di uomini che sono morti da soli è stato 5,3 volte superiore a quello delle donne, in precedenza il numero era solo 4 volte superiore. Oltre alla mancanza di figli, il rischio «aumenta rapidamente a causa della perdita del lavoro e del divorzio».

Suicidio demografico, declino demografico, denatalità, invecchiamento della popolazione, insomma, inverno demografico, in questi ultimi anni gli articoli sul tema si stanno moltiplicando velocemente. Infatti, si tratta di un fenomeno con accelerazione costante, i suoi effetti seguono una progressione geometrica: se 20 anni fa gli effetti sembravano trascurabili e ora sono preoccupanti, tra 20 anni possono essere diventati sconvolgenti, oltre che inarrestabili. È normale dunque che l’inverno demografico riceva sempre di più l’attenzione dei media. Questi articoli solitamente seguono lo stesso pattern: elencano dei dati preoccupanti, avvertono sugli effetti devastanti, ipotizzano le cause e citano le misure che i governi hanno intrapreso o pensano di intraprendere per combatterle.
Ed è proprio sulle cause che voglio richiamare l’attenzione del lettore. Evidentemente si tratta di un fenomeno multifattoriale. Secondo la visione prevalente di questi articoli e dei governi la causa principale è economica, il fenomeno può essere invertito solo mediante un consistente sostegno economico a favore delle donne che decidono di avere dei figli: creazioni di asili nido, sostegno della carriera lavorativa, gravidanza e maternità retribuite, ferie pagate per trascorrerle con i figli, assegni per i figli, agevolazioni per l’affitto e l’acquisto della casa, conteggio dei figli per la pensione… In altre parole, oltre 200.000 milioni di dollari spesi dal governo della Corea del Sud che non sono serviti a invertire il fenomeno, al contrario, esso è peggiorato nel tempo. E chi dice la Corea dice il Giappone, la Germania, il Portogallo, il Regno Unito, l’Italia…

I giovani non vogliono figli

Qualcuno avrà notato che nelle misure economiche proposte dalle istituzioni pubbliche mai, o quasi mai, compare la figura paterna. L’aspetto economico per promuovere la natalità è spesso legato al concetto dello sviluppo dei diritti delle donne. Per qualche misteriosa ragione, natalità e femminismo devono camminare di pari passo.
Per far crescere la natalità, si deve agevolare la carriera lavorativa delle madri, sostenere i loro redditi, garantire la loro libertà, a tutte le madri, anche a quelle single, e in qualsiasi contesto familiare. Quindi si tratta di promuovere le famiglie monoparentali, la fecondazione in vitro per le donne single, la maternità surrogata e i matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Se è vero che è stata osservata e ammessa una forte correlazione negativa tra il tasso di natalità e la crescita del lavoro femminile, questa presunta incompatibilità (tra maternità e carriera) non viene messa in discussione da nessuno. Al contrario, come è stato già detto, i governi continuano a promuovere il lavoro femminile. Parimenti succede su un altro fattore, innominabile, che gravita intorno ai diritti delle donne: l’aborto, raramente accennato.
Per quanto riguarda invece la coppia tradizionale, l’uomo dovrebbe essere coinvolto di più nella crescita e nelle cure dei figli e dei lavori di casa. Il mutamento dei comportamenti inadatti dei padri, mediante la loro rieducazione, a sostegno delle madri, oberate di impegni, gioverebbe alla crescita della natalità.
Io sono piuttosto del parere che i governi e i media sbagliano, che la causa principale dell’inverno demografico sia ideologica e possa essere nominata: si chiama femminismo. Il femminismo è l’ideologia di maggior successo e più influente nella società occidentale, per ammissione delle sue stesse seguaci. Da oltre mezzo secolo quest’ideologia promuove e divulga esplicitamente la guerra alla famiglia, alla maternità, al matrimonio, all’allattamento al seno, al compagno sentimentale e padre (uomo)…
Il femminismo ha osannato l’aborto, il divorzio, le pratiche sessuali sterili. Quest’ideologia è dichiaratamente nemica della natalità. I figli sono una «schiavitù», il desiderio di averli o il sogno femminile di un progetto familiare sono chiaramente vestigia patriarcali. L’amore romantico è un mito patriarcale, e il legame con un uomo in un progetto familiare un “pericolo”.

La felicità e la realizzazione delle donne passano unicamente per la carriera lavorativa, se possibile lontana dagli uomini, nella sorellanza, meglio se lesbiche. C’è un’innegabile correlazione nella società tra diffusione del femminismo e crollo della natalità. Da oltre mezzo secolo le nuove generazioni hanno assorbito con un martellamento costante questi insegnamenti, dalle istituzioni, dai media e nelle scuole. I giovani e le giovani non fanno figli principalmente perché non li vogliono. Punto. La questione economica è secondaria. La domanda è: perché non li vogliono? Come è stato possibile trasformare una società che prima degli anni ’70 era pro-famiglia e pro-natalità in una società che rifugge la famiglia e i figli?


Le conseguenze della rivoluzione femminista

Risulta assurdo che l’ideologia di maggior successo e più influente di quest’epoca, il femminismo, non abbia alcuna responsabilità per i mali che affliggono sempre di più le società moderne: l’aumento dei suicidi, la diffusione di malattie mentali, della depressione e dell’insonnia, il consumo di analgesici, farmaci e psicofarmaci, l’isolamento sociale, o per l’appunto, l’inverno demografico.
Secondo uno studio del 2020 le donne di sinistra in America sono il gruppo sociale che più patisce problemi di salute mentale. Nello specifico, e con differenza rispetto a qualsiasi altro gruppo sociale, oltre il 50% delle donne bianche di sinistra sotto i 30 anni in America ha un problema di salute mentale.
Se bombardiamo le giovani menti ogni santo giorno, in special modo quelle delle ragazze, con pericoli reali e soprattutto fittizi che le colpiscono di continuo, vittime della storia, del patriarcato, della violenza, del linguaggio, dell’uomo, del razzismo, dell’inquinamento, della sessualizzazione del corpo, della transfobia, della omofobia, del lgbtfobia… è normale che queste ragazze crescano tra la paranoia giustizialista e il delirio di persecuzione. In questa realtà parallela, quante di queste ragazze potrebbero desiderare avere dei figli in un progetto familiare a lungo termine?
Scrive il Corriere sulla denatalità in Cina: «il femminismo delle donne cinesi […] ormai le giovani donne cinesi ignorano gli incentivi alla natalità, non fanno figli e non si sposano. Allevare un figlio in Cina, oggi, è un tremendo sforzo economico, ricade soprattutto sulla donna e c’è un vero femminismo cinese che si ribella alla visione tradizionale della moglie e della madre».
L’analisi del Corriere non manca di menzionare il «tremendo sforzo economico», come al solito, per dire successivamente che la vera causa dell’inverno demografico cinese è il rifiuto «delle donne cinesi», ormai «femministe», ad accettare i “malvagi” ruoli tradizionali: «non fanno figli e non si sposano».
I soldi c’entrano poco.
E in Italia? Lo stesso. I valori nella società sono stati sostituiti, gli effetti sono visibili, ma le istituzioni e i media sono troppo invasi dal femminismo per poter fare un semplice lettura critica delle conseguenze della rivoluzione femminista.
 
Articolo del 26 marzo 2023 di Santiago Gascó Altaba

(autore del libro La grande menzogna del Femminismo, Persiani Editore)

Fonte: https://www.lafionda.com/la-rivoluzione-femminista-e-linverno-demografico/

Commento di Matteo D’Amico






 
luglio 2023
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI