«Fare Chiesa insieme» ?



Articolo di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX


Pubblicato sul n° 665 del Courrier de Rome del giugno 2023







«È lo Spirito che, facendoci partecipare, in modi distinti e complementari, al sacerdozio di Cristo, rende ministeriale l’intera comunità, per edificare il suo corpo ecclesiale.» (1).

1. Come comprendere questa dichiarazione di Papa Francesco?
Di primo acchito, essa suona male alle orecchie di un cattolico che intende rimanere fedele al suo Catechismo. Ogni fedele partecipa veramente al sacerdozio di Cristo sotto la mozione diretta dello Spirito Santo? Dovrebbe, la Chiesa, definirsi come la comunità di coloro che esercitano tutti «in modi distinti e complementari» dei «ministeri»?

2. Questa dichiarazione del Papa corrisponde in realtà ad una protestantizzazione della nozione di Chiesa. Per comprenderla occorre ricordare innanzi tutto la definizione tradizionale di Chiesa, come ci è indicata nel Catechismo e nell’insegnamento del Magistero, e poi ricordare la definizione protestante della Chiesa. Allora sarà possibile verificare se la dichiarazione di Francesco corrisponde ad una ridefinizione dei principali concetti dell’ecclesiologia sotto l’influenza dell’idea protestante della Chiesa.


I - La definizione tradizionale di Chiesa

3. Il Catechismo ci insegna che «La Chiesa cattolica è la società o congregazione di tutti i battezzati che, vivendo sulla terra, professano la stessa fede e legge di Cristo, partecipano agli stessi sacramenti, e obbediscono ai legittimi Pastori, principalmente al Romano Pontefice» (2).
In altri termini, la Santa Chiesa di Dio è una società ordinata, cioè l’insieme di tutti i battezzati che si sforzano di guadagnare la loro salvezza eterna professando la vera fede e celebrando il vero culto sotto la direzione dei Pastori stabiliti da Dio.
Affermando questo, non proponiamo – come materia di un eventuale dibattito - ciò che sarebbe solo l’opinione particolare della Fraternità San Pio X, o la personale posizione teologica  di un professore del Seminario di Ecône. Noi ci comportiamo esattamente come i membri della Chiesa discente, e facciamo nostri gli insegnamenti magisteriali di Papa San Pio X, con piena e completa adesione interiore del nostro intelletto.

4. Questo Papa ha ribadito con forza l’insegnamento del Catechismo nell’Enciclica Vehementer nos dell’11 febbraio 1906. Di fronte alle usurpazioni di un governo anticlericale, il Papa dichiara qual è la vera natura del Corpo Mistico di Gesù Cristo, e lo fa come Vicario di Cristo, cioè come supremo interprete delle fonti della Rivelazione divina.
«La Sacra Scrittura ci insegna, e la tradizione dei Padri ci conferma, che la Chiesa è il Corpo mistico di Gesù Cristo, Corpo retto da Pastori e da Dottori; cioè una società di uomini in seno alla quale si trovano dei capi che hanno pieni e perfetti poteri per governare, per insegnare e per giudicare (Matt. XXVIII, 18-20; XVI, 18-19; XVIII, 18; Tit. II, 15; II Cor. X, 6; XIII, 10). Ne risulta che la Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè una società formata da due categorie di persone: i Pastori e il Gregge, coloro che occupano un grado fra quelli della gerarchia, e la folla dei fedeli. E queste categorie sono così nettamente distinte fra loro, che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per promuovere e indirizzare tutti i membri verso le finalità sociali; e che la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire, come un docile gregge, i suoi Pastori» (3).

5. In altre parole, secondo il piano della sapienza e della volontà di Dio, come ce lo fa conoscere la Rivelazione, la Chiesa non deve essere definita come un «popolo» né come una «comunione», nel senso in cui queste espressioni designano una comunità egualitaria o democratica.
La Chiesa consiste formalmente in questo vincolo di subordinazione gerarchica, che lega i fedeli battezzati ai loro pastori, come coloro che sono governati a coloro che li governano, come quelli che vengono istruiti a coloro che li istruiscono, come coloro che sono santificati a coloro che li santificano.

A fronte di questa definizione tradizionale della Chiesa, sembra proprio che la definizione protestante, che è ben diversa, sia stata inserita nel nuovo supposto «magistero» a partire dal concilio Vaticano II.


2 – La definizione protestante della Chiesa

7. A questa definizione della Chiesa si oppone diametralmente un’altra definizione, che è quella di Lutero e di Calvino. Per cominciare è necessario sottolineare fino a che punto i protestanti hanno abbondantemente seguito la constatazione espressa dal cardinale Billot all’inizio del suo Trattato sulla Chiesa (4). Infatti, una delle prime considerazioni espresse nella sua De Ecclesia Christi è che sarebbe «impossibile raccogliere le opinioni dei protestanti in un solo punto di dottrina, poiché essi hanno cambiato molto nelle definizioni che hanno dato della Chiesa e sono stati sempre inclini ad una grandissima confusione». Ora, questa confusione è manifesta agli occhi dei protestanti, poiché il tema della Chiesa ha tra loro la reputazione di essere difficile, confuso, complicato.

8 - Per farsene un’idea, basta citare due dei più illustri rappresentanti del protestantesimo contemporaneo. Per primo, Karl Barth (1886-1968) (5), che dichiara: «Dal punto di vista teologico […] conviene evitare, se non assolutamente, almeno nella misura del possibile  il termine «Chiesa», che è poco chiaro e che genera una quantità di malintesi» (6).
Per secondo, Franz Leenhardt (1902-1990) (7), che dichiara: «Per poco che ci si sia accostati all’argomento, si sa che il bilancio degli studi esegetici relativi alla natura della Chiesa e del ministero è deludente. I molti lavori dedicati in questi ultimi anni al ministero, e per ciò stesso alla Chiesa, sottolineano che i testi ci portano all’impossibilità di concludere. Per giungere ad una visione coerente si devono accrescere certi dati e minimizzarne altri. Nessuno può condividere il laconismo, per non dire il silenzio della Scrittura su questo argomento così importante. Interessato a leggere la Scrittura correttamente perché vi trova ciò che vuole, ciascuno sollecita dolcemente i testi più discreti. La sincerità della persona non è messa in dubbio con tale procedimento ed io so che non sfuggirei alla difficoltà: siamo tutti sottomessi alle servitù della nostra condizione» (8). Condizione che è quella stessa del protestantesimo, in ragione del suo principio fondamentale della «sola Scriptura» o della somma autorità delle Sante Scritture in materia di fede (9).

9. Ne deriva una concezione molto particolare della Chiesa, in ogni caso molto diversa da quella enunciata da San Pio X. Nell’articolo 7 della Confessione di Augusta, luterana, noi leggiamo che vi è una Chiesa «là dove è insegnato il Vangelo nella sua purezza e dove i sacramenti sono amministrati secondo le regole» (10). Del pari, l’articolo 28 della Confessione di La Rochelle, riformata (cioè calvinista), afferma: «Là dove la parola di Dio non è ricevuta […], là dove non si usano i sacramenti, non si può dire che vi sia Chiesa» (11). Il diciannovesimo del Trentanove articoli della Chiesa anglicana, afferma che la Chiesa si trova «là dove è predicata la pura parola di Dio e dove i sacramenti sono correttamente amministrati secondo il comando di Gesù Cristo».
Queste formule, molto originali, caratterizzano la Chiesa tramite la stessa espressione che si trova sempre identica: «là dove». In effetti, il protestantesimo non dà mai una definizione propriamente detta della Chiesa e non dice mai «cos’è» la Chiesa. Tutte le formule che esso impiega si riferiscono piuttosto ad una relazione tra l’essere o la presenza della Chiesa e un contesto dato: «Là dove è predicato il Vangelo e sono amministrati i sacramenti, vi è la Chiesa».
A questo punto, la domanda che si pone è sapere qual è la precisa natura di questa relazione o di questo rapporto che sembra definire la Chiesa in funzione di un dato contesto.

10. Un studio attento del pensiero dei diversi teologi porta alla conclusione che: per i luterani-riformati questo rapporto tra la presenza concreta della Chiesa e il contesto della predicazione e del culto è un rapporto dall’effetto alla causa.
Agli occhi dei protestanti la Chiesa è prima di tutto un avvenimento suscitato dalla parola di Dio, la quale opera nel cuore dei credenti a favore della predicazione e del culto. Quindi, la Chiesa non è essenzialmente una società, un’istituzione basata su un rapporto di sottomissione ad una autorità, che implica l’azione comune dei credenti sotto la direzione di una gerarchia. La chiesa deriva dall’azione che la Parola di Dio esercita direttamente sull’insieme dei credenti, attraverso la predicazione e il culto; e la Chiesa ha luogo come un avvenimento, «là dove» degli uomini e delle donne, ascoltando la predicazione o ricevendo i sacramenti sono presi (12) da questa Parola. Si tratta quindi della Parola che la Chiesa riceve, che le giunge, di cui è destinataria, e non di quella che essa proferisce, pronuncia, rivolge. Lutero lo dice molto chiaramente: «Non è perché la Chiesa parla che si ha la parola di Dio, ma quando la parola è detta, ecco la Chiesa. Essa non crea la Parola, essa è creata dalla Parola» (13).
La Chiesa sorge, esiste, quando la Parola di Dio viene a noi, ci colpisce e ci tocca. Essa è costituita dall’annuncio e dall’ascolto della Parola di Dio. Tutto il resto appare secondario e attiene all’accessorio e al subordinato.

11. Uno dei rappresentanti più importanti del protestantesimo contemporaneo, già citato prima, si esprime in proposito in termini molto chiari: «Considerata in ciò che essa ha di essenziale, tolto tutto ciò che ne altera l’immagine al livello della sua esistenza concreta, storica, la Chiesa è dunque il luogo umano in cui l’uomo è raggiunto da una iniziativa alla quale fino ad allora era estraneo: iniziativa che lo mette allora in relazione con la realtà misteriosa fonte di questa iniziativa, che noi chiamiamo Dio» (14).

12. A questo punto, - e avremo più avanti occasione di insistere su questa conseguenza logica – poco importa chi predica e chi distribuisce i sacramenti, posto che lo faccia fedelmente, in maniera da suscitare il contesto in cui la Parola sorge e rendere presente la Chiesa. Colui che non è consacrato, ma che predica il Vangelo, è del tutto realmente pastore, quale che sia il titolo che gli si dà, mentre invece, come scrive Lutero, qualcuno che è consacrato e che non predica «non è pastore più di quanto sia uomo la sua ombra» (15).
La Chiesa si definisce, quindi, per l’annuncio del Vangelo, attraverso la predicazione e il culto, e questo annuncio attiene a tutti i credenti. Essa non si basa su un rapporto gerarchico, fondato sulla distinzione tra persone che hanno il potere di annunciare il Vangelo e persone a cui questo Vangelo è annunciato. Il «sacerdozio», se ve n’è nel protestantesimo, è allora universale e comune a tutti credenti.


3 – Vaticano II e Francesco: una definizione protestantizzata della Chiesa

13. Il lettore del Courrier de Rome non potrà impedirsi di provare a questo punto un certo malessere, se ha ancora presente alla memoria il recente Discorso tenuto da Papa Francesco in Vaticano il 25 maggio scorso.
https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/
2023/may/documents/20230525-incontro-cei.html

Rivolgendosi ai vescovi e ai referenti diocesani del Cammino Sinodale della Conferenza Episcopale italiana, il Papa ha infatti dichiarato:
«Questo incontro si colloca nel vivo di un processo di Sinodo che sta interessando tutta la Chiesa e, in essa, le Chiese locali, nelle quali i Cantieri sinodali si sono costituiti come una bella esperienza di ascolto dello Spirito e di confronto tra le diverse voci delle comunità cristiane.  […] Si tratta di un’esperienza spirituale unica, di conversione e di rinnovamento, che potrà rendere le vostre comunità ecclesiali più missionarie e più preparate all’evangelizzazione nel mondo attuale».

14. Qui, in questa descrizione a dir poco insolita, l’ambiguità è già evidente.
Infatti, da un lato, una tale descrizione è in linea con la concezione protestante
della Chiesa, ricordata prima, molto più che con le dichiarazioni di Papa San Pio X nella Vehementer nos. Certo, qui il Papa non intende dare una definizione della Chiesa nella sua natura profonda. Egli si pone dal punto di vista di un «cammino», cioè di un orientamento pratico. Ma è sempre così che egli parla della Chiesa: raramente per ricordare quello che è la Chiesa e più sovente per dire ciò che essa è chiamata a fare. L’agire prevale sull’essere; al punto che si possa esitare e chiedersi se, nel pensiero del Papa, la Chiesa non sia ridotta ad un agire, ad una «esperienza di ascolto dello Spirito». Poiché, fin dalla sua elezione, soprattutto dopo i discorsi che ha tenuto in occasione del Sinodo del 2015, il Papa ritorna continuamente su questa idea dell’«ascolto dello Spirito» (16), al punto che sembra voglia definire la Chiesa in funzione di questa idea. La nozione protestante della Chiesa-avvenimento, allora non è più molto lontana.

15. D’altra parte, il seguito della dichiarazione espressa dal Papa accentua il malessere; poiché esso sembra superare l’ambiguità in un senso protestante, quando egli rivolge ai suoi interlocutori la seconda delle sue tre consegne:
La seconda consegna è questa: fare Chiesa insieme. È un’esigenza che sentiamo di urgente, oggi, sessant’anni dopo la conclusione del Vaticano II. Infatti, è sempre in agguato la tentazione di separare alcuni “attori qualificati” che portano avanti l’azione pastorale, mentre il resto del popolo fedele rimane «solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, 120). Ci sono i “capi” di una parrocchia, portano avanti le cose e la gente riceve soltanto quello. La Chiesa è il santo Popolo fedele di Dio e in esso, «in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro […] è diventato discepolo missionario» (ibid.). Questa consapevolezza deve far crescere sempre più uno stile di corresponsabilità ecclesiale: ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa, a partire dallo specifico della propria vocazione, in relazione con le altre e con gli altri carismi, donati dallo Spirito per il bene di tutti. Abbiamo bisogno di comunità cristiane nelle quali si allarghi lo spazio, dove tutti possano sentirsi a casa, dove le strutture e i mezzi pastorali favoriscano non la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di sentirsi corresponsabili.

16. Se, secondo la citazione di Evangelii gaudium, «separare certi “attori qualificati” che conducono l’azione pastorale, mentre il resto del popolo fedele è “solamente ricettivo delle loro azioni”, è una tentazione alla quale bisogna evitare di soccombere, se ne deve concludere che gli insegnamenti della Vehementer nos di San Pio X rappresentano ormai per il cattolico una occasione di rovina spirituale?
In effetti, San Pio X non afferma la detta “separazione” condannata da Francesco, quando insegna che «la Chiesa è per essenza una società ineguale, cioè una società che comprende due categorie di persone: i pastori e il gregge, coloro che occupano un rango nei vari gradi della gerarchia e la moltitudine dei fedeli; e queste categorie sono talmente distinte tra loro che solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessarie per promuovere e dirigere tutti i membri verso il fine della società»? Poiché, evidentemente, la «separazione» di questi «attori qualificati», di cui parla Francesco in opposizione all’idea di «un santo Popolo di Dio», qui non è denunciata nel senso che il Popolo di Dio sarebbe, per la sua stessa definizione di «popolo», e come per principio, separato da ogni gerarchia. Il Papa intende criticare un certo esercizio dell’azione pastorale, che implicherebbe che solo i membri della gerarchia conducono questa azione, mentre i popolo dovrebbe accontentarsi di ricevere l’impulso di questa direzione. Dunque, la «separazione» qui denunciata non si situa al livello dell’essere della Chiesa, ma al livello del suo agire. E d’altronde (come abbiamo fatto notare prima) è sempre questo livello che richiama l’attenzione del Papa quando parla della Chiesa: il punto di vista considerato è quello della «vita», o dell’avvenimento, punto di vista che si rifà piuttosto ad una ecclesiologia di tipo protestante.

17. Da questo punto di vista (che nella predicazione del Papa sembra relativamente esclusivo), la «separazione» tra la gerarchia e il popolo è denunciata come una tentazione alla quale la Chiesa non deve soccombere. E la ragione la si trova nella natura stessa della Chiesa, poiché, evidentemente, agere sequitur esse: come in tutte le cose, l’agire della Chiesa deve derivare dal suo essere. Ora, come sappiamo dalla costituzione Lumen gentium, da dopo il Vaticano II la Chiesa si deve ridefinire innanzi tutto come popolo dei battezzati, cioè non più come una società gerarchica, ineguale per essenza, ma come una comunione. In effetti, dice Lumen gentium (al n. 9 del capitolo II) «Dio ha chiamato a raccolta tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza, principio di unità e di pace, e li ha costituiti in Chiesa, perché essa sia per tutti e per ciascuno il sacramento visibile di questa unità salvifica». La Chiesa è anche definita al n. 11 come una «comunità sacerdotale»,, perché, in ragione della grazia del loro battesimo, tutti i fedeli partecipano alla triplice funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo. Quindi si comprende che il Papa attuale possa dire che in questa Chiesa «ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa a partire dalla specificità della sua vocazione, in relazione con gli altri e con gli altri carismi, dati dallo Spirito per il bene di tutti». Ciascuno agisce «in relazione con gli altri», senza che questa relazione sia quella di una subordinazione gerarchica. Poiché le strutture e i mezzi pastorali non favoriscono la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di sentirsi corresponsabili, corresponsabilità che si radica in «una bella esperienza di ascolto dello Spirito e di confronto tra le diverse voci delle comunità cristiane».

18. Una tale concezione è lungi dall’essere isolata nella predicazione di Papa Francesco. Essa è anche al centro della sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, del 24 novembre 2013, nel primo anno del suo pontificato. In essa, al n. 111, è detto: L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale». E al n. 114 «Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità».
Lungi dall’essere delle novità in rottura con gli insegnamenti dell’ultimo Concilio, queste parole sono la ripresa del capitolo II di Lumen gentium. E l’ultimo discorso di maggio 2023 non fa altro che ripetere, sotto forma di citazione esplicita, il n. 120 della stessa Esortazione Evangelii gaudium: «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni».


4 – Una comunità ministeriale?

19. Restiamo a questa idea centrale della predicazione del Papa, come si trova sintetizzata nel n. 111 di Evangelii gaudium: il popolo di Dio «trascende» la gerarchia. Cosa può significare, nel pensiero di Francesco come in quello del Vaticano II, se non che la Chiesa non deve essere più definita nel senso indicato da San Pio X nella Vehementer nos.
Certo, la Chiesa comporta una dimensione «gerarchica» o, più precisamente (perché questi sono i termini ai quali ha voluto ricorrere ormai la nuova ecclesiologia) una dimensione «ministeriale». Vi è dunque come aggiunto o adiacente al «Popolo di Dio» (così definito al capitolo II della costituzione dogmatica Lumen gentium) una «costituzione gerarchica» (così definita al capitolo III della stessa costituzione). E tuttavia la Chiesa non è più definita nella sua essenza e nella sua natura profonda come un ordine gerarchico, cioè come una relazione di dipendenza (o di subordinazione) tra dei membri rivestiti da un’autorità sacra e dei membri battezzati.
L’aspetto «gerarchico» o «ministeriale» non è negato, ma esso corrisponde ad una modalità, cioè ad una maniera d’essere esteriore all’essenza profonda della Chiesa, modalità certo necessaria, ma semplice modalità. Il Papa lo dice esplicitamente: il Popolo di Dio «trascende sempre ogni espressione istituzionale, seppure necessaria. Vi è dunque una distinzione fondamentale tra la Chiesa presa nella sua natura di Chiesa e la sua «espressone istituzionale». Distinzione che è al centro dell’ideologia protestante, come avremo modo di verificare.


NOTE

1 – Francesco, «Messaggio in occasione del cinquantesimo anniversario della Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Ministeria quaedam », 15 agosto 2022.
2 – Catechismo Maggiore di San Pio X, Della Chiesa in generale, Cap. 10, n° 150.
3 – Enciclica Vehementer nos dell’11 febbraio 1906
https://www.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/
documents/hf_p-x_enc_11021906_vehementer-nos.html
4 -  Louis Billot, Traité de l’Eglise, tomo I : Sa divine institution et ses notes, question 1, n° 96-99, Courrier de Rome, 2010, p. 69-74.
5 – Karl Barth, nato e morto a Bâle, è un pastore, teologo riformato, professore di teologia, considerato come una delle maggiore personalità della teologia protestante del ventesimo secolo. A partire dalla fine degli anni 1920, Barth scrisse una dogmatica, che nel 1932 fu pubblicata come Kirchliche Dogmatik, la sua opera maggiore incompiuta, che continuerà a completare fino alla fine della sua vita. Nel 1934, è stato l’autore principale della Dichiarazione Teologica di Barmen, testo fondamentale dell’opposizione cristiana all’ideologia nazista. Sospeso per il suo rifiuto di prestare giuramento al Führer, poi espulso dalla Germania, divenne professore di teologia sistematica a Bâle. Nel 1948, ad Amsterdam, partecipò alla prima assemblea mondiale del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Karl Barth è stato certamente il teologo protestane più prolisso del suo tempo e uno dei più influenti. Tutta la sua opera è una protesta contro i tentativi (politici, morali, religiosi e anche teologici) di strumentalizzare Dio, identificandolo ad una causa o ad una dottrina. Barth ricorda l’alterità radicale di Dio: che è libero rispetto a tutto ciò che si può dirne o farne nelle Chiese o nelle dottrine. Così, la Chiesa cristiana non è là dove noi crediamo che sia, ma dove Dio vuole che sia. Per Barth, dunque, vi è un’attitudine cristiana solo critica e scomoda.
6 - Karl Barth, Introduction à la théologie évangélique, Labor et Fides, 1962, p. 33.
7 - Franz Josepf Leenhardt è un teologo ed esegeta riformato di Ginevra, ove ha svolto tutto il suo insegnamento alla Facoltà di Teologia, nonché alla Cité e negli ambienti ecumenici. Il suo pensiero, indipendente da ogni scuola teologica, si sforza sempre di superare le divisioni.
8 - Franz-Josef Leenhardt, L’église. Questions aux protestants et aux catholiques, Labor et Fides, 1978, p. 19.
9 – Sull’argomento si veda il numero di dicembre 2016 del Courrier de Rome: «Sola scriptura» e «una règle impossible».
10 - Cf. La foi des Eglises luthériennes, Cerf - Labor et Fides, 1991, p. 46.
11 - Confessions et catéchismes de la foi réformée, Labor et Fides, 1986, p. 124.
12 – Questa espressione «sono presi» è molto spesso impiegata da Paul Tillich (1886-1965), teologo protestante di origine germanica ed esiliato negli Stati Uniti d’America. La sua opera principale è la Théologie systématique. Egli ha avuto una forte influenza sul protestantesimo del ventesimo secolo.
13 - Martin Lutero, citato da René Esnault in Luther et le monachisme, Labor et Fides, 1926, p. 199.
14 - Franz-Josef Leenhardt, L’église. Questions aux protestants et aux catholiques, Labor et Fides, 1978, p. 23.
15 -  Martin Lutero, OEuvres, Labor et Fides, 1957 et ss, t. 2, p. 249.
16 - Si vedano gli articoli pubblicati nel numero di Ottobre 2015 del Courrier de Rome.






 
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