Dalle bestemmie degli apostati,

uno sprone ad evangelizzare


di Elia


Articolo pubblicato sul sito dell'Autore: La scure di Elia

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La vita mi è divenuta come una specie di sogno, e sogno mi sembra tutto ciò che io vedo. Non sento più né grandi gioie né grandi afflizioni. Se talvolta ne provo ancora, è solo per poco tempo, tanto da meravigliarmene io stessa, rimanendomene poi con l’impressione come di una cosa sognata. Ciò è così vero che, se volessi rallegrarmi di quella gioia o rattristarmi di quell’afflizione, mi sarebbe tanto impossibile quanto a una persona assennata concepire gioia o dolore per un sogno. Il Signore si è degnato di affrancarmi da tutte queste impressioni, prima in me così vive perché non mortificata né morta al mondo (santa Teresa d’Avila, Vita scritta da lei stessa, cap. XL, 22).

I Santi ci insegnano il sano distacco interiore proprio di chi è radicato in Dio. Non possiamo certo pretendere di raggiungere i loro livelli, ma dobbiamo comunque sforzarci di imitarli per avvicinarci il più possibile. La grande riformatrice del Carmelo ci dimostra che è possibile limitare, fin quasi ad annullarlo, l’impatto dei fatti esterni sull’anima. Alla sua epoca, diversi Paesi d’Europa eran devastati da luterani, calvinisti e altri eretici, responsabili di orribili massacri di cattolici, specie di consacrati. Ella non rimaneva certo indifferente all’eco che gliene giungeva; aveva però a tal punto soffocato le passioni umane e reciso l’attaccamento al mondo da non esserne più emotivamente sconvolta, ma semmai confermata nel proposito di immolarsi a Dio per la Chiesa, con le sue sorelle, nella vita di silenzio, austerità e nascondimento cui il Signore l’aveva condotta. Da lei impariamo a mantenerci immuni dagli effetti delle notizie che, anche nostro malgrado, ci raggiungono tramite gli altri.

Nella misura del possibile, ignoriamo tranquillamente detti e misfatti dei traditori che attualmente occupano i vertici della Chiesa; attendiamo piuttosto a pregare per essa confidando nella Provvidenza, come insegna un carmelitano vissuto nel secolo successivo, fra’ Lorenzo della Risurrezione (1614-1691): «Egli non si meravigliava delle miserie e dei peccati di cui sentiva parlare ogni giorno, ma anzi era sorpreso che non ce ne fossero anche di più, vista la malizia di cui il peccatore è capace. Si limitava a pregare per il peccatore, senza affliggersi troppo, ben sapendo che Dio poteva rimediare a tutto quando voleva» (La presenza di Dio, Milano 1924, 15).
Certo, è inevitabile sentir ribollire il sangue nelle vene e rimanere un po’ scossi quando Colui che si ama sopra ogni cosa è scandalosamente bestemmiato, sulle pagine di un quotidiano di bassa lega, dal direttore della (un tempo) prestigiosa rivista dei gesuiti. Anche in questo caso, però, plachiamo le passioni e lasciamo parlare la Scrittura.


Le risposte del Cielo

Ancora una volta, è nell’Ufficio Divino che il Signore parla per rischiarare la situazione: «Sempre costoro errano col cuore; essi non han conosciuto le mie vie. Nella mia ira ho giurato loro: “Non entreranno nel mio riposo”» (Sal 94, 10-11). Riguardo ad essi, ai più giovani si può raccomandare: «Non siano come i loro padri, generazione malvagia e irritante, generazione che non ha reso retto il suo cuore e il cui spirito non si è affidato a Dio» (Sal 77, 8).
Il nocciolo del problema è la mancanza di fede e la conseguente disobbedienza: «Non hanno osservato l’alleanza di Dio e nella sua legge non han voluto camminare. Così han dimenticato le sue benefiche azioni e le meraviglie che aveva loro mostrato. […] Non han creduto in Dio né sperato nella sua salvezza. […] Si sono volti indietro e han tentato Dio, esasperando il Santo d’Israele» (Sal 77, 10-11.22.41). Di conseguenza non solo rischiano di mancare la mèta, ma riceveranno gli stessi castighi dell’Egitto, cioè della potenza demoniaca al cui servizio si son posti: «Mandò contro di loro la sua ira sdegnata: sdegno, ira e tribolazione scagliati per mezzo degli angeli cattivi» (Sal 77, 49).

«La sinagoga dei peccatori è stoppa ammucchiata; la sua fine è una fiamma ardente» (Sir 21, 10). Se non si convertono, gli apostati bruceranno per sempre all’Inferno; dalla Sacra Scrittura si evince altresì che quanti han peccato con parole particolarmente blasfeme subiranno anche in questa vita un tremendo castigo quale estremo appello al ravvedimento.
Nel Secondo Libro dei Maccabei si narra del generale ellenistico Nicanore, il quale, dopo aver minacciato di radere al suolo il tempio di Gerusalemme appena riconsacrato, fu pesantemente sconfitto in battaglia (cf. 2 Mac 14, 32s; 15, 25ss). Interessante è la sorte riservata alle sue spoglie mortali: per ordine di Giuda Maccabeo, convocati nel tempio i sacerdoti, il popolo e l’esercito, la lingua che aveva parlato con arroganza contro Dio fu tagliuzzata e data in pasto agli uccelli; la mano che, nell’iniquo giuramento, era stata levata contro la Sua santa casa, sospesa verso il sacello; la testa mozza, appesa sulla sommità della fortezza quale segno evidente dell’aiuto divino (cf. 2 Mac 15, 30ss).


Magnifico mandato

Dettagli truculenti a parte, ciò che di quell’episodio più gonfia il cuore di gioia è la modalità della vittoria di Giuda Maccabeo, che affrontò un’enorme armata, dotata di elefanti, con forze decisamente sproporzionate. Prima della battaglia, egli arringò le truppe esortandole con le parole della Scrittura e ricordando loro le vittorie già riportate. Poi ravvivò il loro valore indicando il fine ultimo della lotta: non si trattava solo di proteggere le proprie famiglie, ma soprattutto di preservare il culto e la fede. Egli aveva inoltre visto in sogno il santo sommo sacerdote Onia e il profeta Geremia, dal quale aveva ricevuto una spada d’oro quale dono di Dio per sconfiggere gli avversari (cf. 2 Mac 15, 7ss). Dopo aver pubblicamente invocato il Signore, che dà la vittoria a chi la merita non in base alla potenza delle armi, ma come a Lui piace, Giuda e i suoi attaccarono continuando a pregare: «Combattendo con le mani, ma pregando il Signore col cuore, abbatterono non meno di trentacinquemila nemici, magnificamente rallegrati dalla presenza di Dio» (2 Mac 15, 17).

Se Dio non ci chiama a combattere fisicamente, facciamolo con la preghiera e l’apostolato, purché ci manteniamo costantemente, con la mente e col cuore, alla santa presenza del Signore, cosa che non impedisce affatto l’esecuzione dei nostri compiti, anzi la facilita e la perfeziona. Per riparare ai discorsi blasfemi contro il Redentore, recitiamo spesso il Credo e parliamo di Lui in quanto Dio, difendendo la storicità dei Vangeli e l’interpretazione tradizionale della Chiesa. Non lasciamoci intimidire da reazioni beffarde o da espressioni di stolida ignoranza: a noi è stato concesso di conoscere la verità che salva; oltre ad esserne debitori a chiunque desideri conoscerla, abbiamo il dovere di difenderla contro chi la nega o la offusca. Per adempiere bene questo compito, occorre sicuramente studiare, ma soprattutto leggere e rileggere il Nuovo Testamento, chiedendo allo Spirito Santo, con fiducia e insistenza, di illuminarci la mente e di ispirare i nostri discorsi. La preghiera continua è la spada d’oro che il Signore pone nelle nostre mani per far vendetta dei Suoi nemici.

Alleluia! Cantate al Signore un cantico nuovo; la sua lode nella Chiesa dei santi. Si rallegri Israele per colui che lo ha fatto e i figli di Sion esultino per il loro re. Lodino il suo nome in coro, con il cembalo e la cetra cantino a lui. Poiché il Signore si è compiaciuto del suo popolo ed esalterà i mansueti nella salvezza. I santi esulteranno nella gloria, si rallegreranno nei loro giacigli. Le lodi di Dio nella loro gola e spade a doppio taglio nelle loro mani, per compiere il castigo fra le nazioni e rimproverare i popoli, per rinchiudere i loro re nei ceppi e i loro nobili in manette di ferro, perché eseguano in loro la sentenza scritta: questa è la gloria per tutti i suoi santi. Alleluia! (Sal 149).

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https://www.ibs.it/compendio-di-teologia-fondamentale-o-libro-albert-lang/e/9788885742093









settembre 2023
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