CONFORMISMO INTELLETTUALE



di L. P.


Signori, finalmente apprendiamo che per un credente,  id est un cristiano, la virtù più qualificante e preclara che possa nobilitare una persona, non è tanto la fede in Dio, Creatore del cielo e della terra, quanto l’onestà intellettuale. Parola del professore Antonino Zichichi, scienziato notissimo, studioso del mondo subnucleare e credente ortodosso. Nel suo panegirico, tessuto in occasione della morte dell’astrofisica Margherita Hack – Il Giornale 30 giugno 2013  pag. 25 – egli  riporta  una frase della  stessa che così suona: “ Io, Margherita Hack, preferisco l’atto di fede nel Nulla (maiuscolo!) all’atto di ragione che mi porterebbe a credere in Dio”. E cioè: se la ragione può dimostrarmi l’esistenza di Dio, Creatore della logicità dell’universo, io mi rifiuto preferendo l’atto di fede nel nichilismo.

Un atteggiamento non proprio onesto, sotto il profilo della logica. Un’espressione che sembra ripescare dalla memoria l’altra di pari paradossale impatto – sconveniente all’etica stessa! – dell’esponente del PCI, Giancarlo Pajetta il quale richiesto quale avesse dovuto scegliere, tra verità e rivoluzione, rispose senza incertezze e senza ambagi lessicali : “ scelgo la rivoluzione”.
L’analogìa e la simmetrìa tra le due espressioni sono connotate dalla stessa consapevole volontà di rifiutare il valore primo: la Verità. Ma per Zichichi, siffatta dottrina è “esempio di onestà intellettuale. Iddio solo sa quanto ci sia bisogno di onestà intellettuale!
Lasciamo intanto da parte Dio il quale, invece, sa quanta necessità c’è – e non, ci sia - di Fede.

Da un credente, quale egli si presenta e si qualifica, ci saremmo aspettati una ben diversa riflessione che, fatto cenno al significato di onestà dell’intelletto, avrebbe dovuto invece sottolineare la cecità intellettuale della scienziata che si rifiutava a priori, e per scelta illogica, di credere in Dio preferendogli il Nulla (maiuscolo!).
Ora, questa vicenda, nata tra le mura della Chiesa Universitaria di Siena, ove il vescovo locale, Gaetano Bonicelli, aveva organizzato uno dei tanti accademici, salottieri e vacui incontri credenti/atei, evidenzia come, in una larghissima schiera di prelati e credenti, si sia avviata da tempo, e rafforzata, una dinamica che, trasmutata  la natura evangelizzatrice della Chiesa, è diventata moda e cialtronesca messinscena culturale ove, da affollate tribune, di tutto si parla meno che di Cristo.

Notevole, poi, che il professor Zichichi cataloghi questa uscita  tra le cose più preziose e nobili, tanto da scrivere, ad incipit d’articolo, che “il più bel ricordo che ho di Margherita Hack è quando a Siena mi disse che preferiva il Nulla”. Questo sarebbe, per un credente ortodosso come lui, un ricordo da inserire nella categoria metafisica della Bellezza!

Piaggerìa, signori miei, conformismo cucinato in salsa martiniana, quella che ha dato sapore – si fa per dire – alla famosa/fumosa  “Cattedra del non credente” e che dice consistere “la differenza fra gli uomini non tra chi crede e non crede ma tra chi pensa e non pensa”.
Sicché l’ateismo è diventato valore qualificante intellettuale dacché definirsi atei a prescindere è atto di onestà.

Sono o non sono, questi, i frutti, del nefasto “spirito di Assisi”, con cui qualsiasi forma di cultura, anche la più aberrante o illogica, come questa evidenziata da Zichichi nella Hack, è stata accreditata come “rispettabile”?
Il cattolico sa, o dovrebbe sapere, che l’ottica evangelica prevede la salvezza del peccatore ma, nel contempo, la condanna delle sue colpe, il dibattito anche aspro sulle sue idee. Ma non duriamo fatica ad immaginarci l’esito di quel convegno senese al termine del quale si sono sprecati i complimenti reciproci, le pacche sulle spalle, i riconoscimenti, i mirallegro, con grande gioia del vescovo per l’atmosfera “costruttiva, fraterna e democratica”  e convinto di aver seminato ottima semente.

La frase dell’illustre astrofisica, lungi dall’essere connotata da onestà intellettuale, altro non è che tradimento della logica stessa, dell’essere logico dell’uomo. Preferire il Nulla, definito da M. Heidegger, “filosofo” stimato da Rahner e da Ratzinger, “quale totalità del mondo, la sua negazione e la sua redenzione” – vuota, ampollosa, presuntuosa e venefica definizione – è commettere un delitto di lesa ragione dacché dire “Il Nulla è” significa attribuire essenza, esistenza e consistenza ad un alcunché che di per sé “non è”. Un evidente ossimoro.

Zichichi avrebbe dovuto riportare la signora Hack nella prospettiva della fede cristiana ove non c’è spazio per il Nulla e ove qualsiasi momento della propria vita va correlato con la dimensione dell’eternità futura. Avrebbe dovuto, lui credente ortodosso, far presente alla collega che non di onestà intellettuale si trattava ma del  suo consapevole suicidio dell’intelligenza, la sua di lei, che pur avendo chiaramente percepito le possibilità razionali di dimostrare l’esistenza di Dio, ne aveva chiuso gli esiti per un atto di vera e propria avversione. Avrebbe dovuto, con lealtà e chiarezza, criticare un magistero che, nel versante della speculazione filosofica, aveva sparso nelle coscienze di tanti studenti non soltanto il dubbio su Dio ma, addirittura, la negazione di Lui .

Diciamolo senza remore: una cattiva maestra, in questa senso. La Luce c’è, ma “kai egàpesan oi ànthropoi màllon to scòtos he to phoset dilexerunt homines magis tenebras quam luceme gli uomini preferirono le tenebre alla luce ( Joh. 3,19). E ciò non costituisce titolo di onestà.
E’ mancato allora, a Siena, e oggi, sulla cronaca, il coraggio di difendere il diritto di Dio. Ed anche questo, caro Zichichi, non è onestà intellettuale ma conformismo e appiattimento sulle coordinate del mondo del tutto simile a quello del padre Federico Lombardi che, in occasione della morte della Rita Levi Montalcini, si produsse in un peana e in un eccesso di beatificazione per una scienziata che s’era battuta per l’aborto, l’eutanasìa, l’eugenetica. 

In conclusione, poi,  vorremmo domandare al Vescovo di Mazara del Vallo, Mons.  Domenico Mogavero: “ Monsignore, con filiale rispetto ma con altrettale sincerità: le pare che l’ateo, come lei dichiara - ( Vaticano Massone, ed. Piemme 2013 pag.191) – sia più aperto, tollerante, ed io aggiungerei “logico”, che non il “cosiddetto tradizionalista” che non sente ragioni? Sarebbe imbarazzato nello scegliere tra chi crede e chi pensa? Non ci dica che indicherebbe l’ateo perché a questo punto lei si troverebbe sul livello della Hack che vede la luce ma chiude gli occhi. Insomma:  vale più  un ateo dialogico e sorridente o un credente cattolico/apostolico/romano? Ce lo dica.

E ci risponda anche Antonino Zichichi.


giugno 2013

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