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Dell’amore per la verità e dell’odio per l’errore Il liberalismo è un’assurdità eretica di Don Olivier Rioult Benedetto XVI è un apostolo instancabile della libertà religiosa. La sua teologia, malgrado le apparenze cattoliche, è più quella di un lupo rivestito con una pelle d’agnello che quella di un buon pastore. Per intenderlo bene, è necessario rendersi conto fino a che punto la Chiesa di Cristo aborra questa libertà religiosa tanto vantata dai nostri moderni. Il Vaticano II, bussola dei conciliari, dichiara che «la persona umana ha il diritto alla
libertà religiosa.» Che consiste nel fatto che «gli
esseri umani devono essere immuni dalla coercizione […] così che in materia religiosa
nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia
impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa:
privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata.
[…] il diritto alla libertà
religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona
umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione.
» (Dignitatis humanae
§ 2).
Mons. Lefebvre poneva così il problema: «Questo è conforme o no alla
dottrina tradizionale della Chiesa? È questa la questione. Non
è una questione sentimentale. È una questione di
verità. La Chiesa ha veramente insegnato la libertà
religiosa? […] La
libertà di aborto non esiste. La libertà all’omicidio non
esiste […] È
esattamente la stessa cosa con la religione. Non vi è
libertà religiosa. La libertà religiosa è stata
inventata dalla Massoneria, dai novatori e da coloro che vogliono
precisamente rivoltarsi contro Dio, che non vogliono ubbidire alla
legge del Vangelo, alla legge cristiana; allora hanno detto: “L’uomo
è libero di scegliersi la sua religione”.» (1)
I cattolici liberali, in definitiva, hanno puramente e semplicemente accettato nei loro discorsi il nuovo diritto voluto dai massoni. Non solo questo nuovo diritto è stato incapace di proteggere dalla persecuzione le minoranze cristiane (2), ma ha permesso la persecuzione di maggioranze cristiane! Il nuovo diritto si basa sulla (supposta) volontà del numero (manovrata dal potere occulto) e non sul rispetto dell’autorità divina, sovrana legislatrice delle società. Accettare il terreno del diritto comune, quando le circostanze lo impongono, può essere legittimo, ma attenersi solo ad esso ed impegnarsi in esso, come fosse un dovere, è cosa inaccettabile, poiché significa riconoscere indirettamente il diritto all’errore. Ora, «ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda, né all’azione.» (3). I papi, dopo le Rivoluzione, e specialmente Leone XIII nella sua enciclica sulla costituzione cristiana degli Stati, hanno costantemente riprovato questo nuovo diritto fondato su questa mostruosa libertà religiosa: «Ma quel pernicioso e deplorevole spirito
innovatore che si sviluppò nel sedicesimo secolo, volto dapprima
a sconvolgere la religione cristiana, presto passò, con naturale
progressione, alla filosofia, e da questa a tutti gli ordini della
società civile. Da ciò si deve riconoscere la fonte delle
più recenti teorie sfrenatamente liberali, senza dubbio
elaborate durante i grandi rivolgimenti del secolo passato e proclamate
come principi e fondamenti di un
nuovo diritto, il quale non solo era sconosciuto in precedenza, ma per
più di un aspetto si distacca sia dal diritto cristiano, sia
dallo stesso diritto naturale. […] In una società basata su tali
principi,Si tace
dell’autorità divina, come se Dio non esistesse o non si desse
alcun pensiero del genere umano; come se gli uomini, né
singolarmente né collettivamente, non avessero alcun obbligo
verso Dio […] di conseguenza
la comunità non si riterrà vincolata ad alcun dovere
verso Dio; non professerà pubblicamente alcuna religione; non
vorrà privilegiarne una, ma riconoscerà alle varie
confessioni uguali diritti […] a
ciascuno sarà lecito seguire la religione che preferisce, o
anche nessuna, se nessuna gli aggrada. Di qui nascono dunque
libertà di coscienza per chiunque, libertà di culto,
illimitata libertà di pensiero e di stampa. […] Ora, è
sufficiente la semplice ragione naturale per dimostrare come siffatte
teorie sul governo delle comunità siano assai lontane dalla
verità. […] In materia
di religione, poi reputare che non vi sia sostanziale differenza tra
eterogenee e contrarie forme di confessioni, conduce chiaramente a non
volerne accettare né praticare alcuna. E questo atteggiamento,
anche se gli si dà un nome diverso, in sostanza non è nient’altro che
ateismo. Chi infatti è convinto dell’esistenza di Dio, se
vuole essere logico e non affermare assurdità, capisce
necessariamente che le forme di culto esistenti, così diverse e
contrastanti tra loro anche su questioni della massima importanza, non
possono essere tutte ugualmente credibili, ugualmente vere, ugualmente
accette a Dio.» (Immortale
Dei, 1885).
[…] Benedetto XVI dice di credere in Dio, ma quando si reca in sinagoga o nel tempio luterano, lascia intendere che questi culti sono “ugualmente accetti a Dio». In un’altra famosa e splendida enciclica, Leone XII insegna: «Ora si consideri un poco la libertà
di parola e ciò che piace esprimere per mezzo della stampa.
È appena il caso di dire che questa libertà non
può essere un diritto se non è temperata dalla
moderazione ed esorbita oltre la misura. Infatti il diritto è
una facoltà morale: come dicemmo e come dovremo più
spesso ridire, è assurdo pensare che essa sia concessa dalla
natura in modo promiscuo e accomunata alla verità e alla
menzogna, alla onestà e alla turpitudine. […] le false opinioni, di cui non esiste
peggior peste per la mente, nonché i vizi che corrompono l’animo
e i costumi, devono essere giustamente e severamente repressi
dall’autorità pubblica, perché non si diffondano a danno
della società. […] Pertanto, la giustizia e la ragione vietano
che lo Stato sia ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda
la stessa desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e
gli stessi diritti ad ognuna indistintamente. Dunque, dal momento che
è necessaria la professione di una sola religione nello Stato,
è necessario praticare quella che è unicamente vera e che
non è difficile riconoscere, soprattutto nei Paesi cattolici,
per le note di verità che in essa appaiono suggellate. Conseguentemente
i governanti la conservino, la proteggano, se vogliono provvedere con
prudenza e profitto, come devono, alla comunità dei cittadini.»
(4).
Ora, è un fatto che Giovanni Paolo II e la Santa Sede abbiano chiesto alle Conferenze Episcopali di impegnare gli Stati a sopprimere il primo articolo della loro costituzione che diceva che la Chiesa cattolica era la sola religione riconosciuta ufficialmente. Questo rinnegamento pubblico di Nostro Signore non è avvenuto, come per il passato, per un atto unilaterale ed arrogante di uno Stato agnostico e anticlericale, e con le proteste dei papi e dei vescovi, ma di comune accordo con la Santa Sede e sulla base della nuova dottrina della Dignitatis Humanae. Se lo Stato deve avere una religione di Stato e se questa religione di Stato dev’essere la religione cattolica (5), la Chiesa non condanna affatto una certa tolleranza in una società in cui non esiste più l’unità cristiana: «Tuttavia la Chiesa, con intelligenza materna, considera il grave peso della umana fragilità e non ignora quale sia il corso degli animi e delle vicende da cui è trascinata la nostra età. Per queste ragioni, senza attribuire diritti se non alla verità e alla rettitudine, la Chiesa non vieta che il pubblico potere tolleri qualcosa non conforme alla verità e alla giustizia, o per evitare un male maggiore o per conseguire e preservare un bene. […] Tuttavia, come complemento a quanto detto, se a causa del bene comune e soltanto per questo motivo la legge degli uomini può o anche deve tollerare il male, non può né deve approvarlo o volerlo in quanto tale […] è pur sempre eternamente vero che codesta libertà di tutti e per tutti non è desiderabile di per se stessa, come più volte abbiamo detto, poiché ripugna alla ragione che la menzogna abbia gli stessi diritti della verità. E per quanto riguarda la tolleranza, sorprende quanto siano distanti dalla equità e dalla prudenza della Chiesa coloro che professano il Liberalismo.» (6). Dunque, lo Stato può tollerare l’esistenza delle sette, ma deve proteggere la vera Chiesa. Ora, Benedetto XVI rifiuta questo insegnamento apostolico: «È necessario passare dalla
tolleranza alla libertà religiosa […] poiché, a dispetto delle divergenze
umane e religiose, un raggio di verità illumina tutti gli uomini»
(7),
e questo col pretesto specioso «la
verità non si impone che per la forza della verità stessa»
(8)
o che la religione dev’essere
adottata dalle persone «solo mediante il processo del
convincimento» (9).
Questo insegnamento equivale a negare i diritti della verità e
di Dio, poiché una verità senza privilegi e senza potere
equivale concretamente all’errore. Il diritto alla libertà
religiosa è dunque un’aberrazione. Per meglio comprenderlo,
affermiamo il diritto alla libertà ortografica.Se la buona ortografia non «si impone che per la forza della verità stessa» e se dev’essere adottata dalle persone «solo mediante il processo del convincimento», allora ogni allievo avrebbe il diritto alla sua libertà ortografica, frutto della sua convinzione; così che l’espressione “apparentemente sana” si potrà scrivere “ha parente con mente sana”, o l’espressione “amore eterno” si potrà scrivere “ha le more e un terno”… tutte forme che essendo frutto della singola dignità umana si equivarrebbero e avrebbero diritto di essere riprodotte. Ed allora, se non si ha più il diritto di sanzionare l’allievo con uno zero, in forza delle regole ortografiche e grammaticali, perché significherebbe esercitare contro di lui una violenza, è inevitabile che non solo si distruggeranno le regole, ma anche il linguaggio, con la conseguenza che si istituirà solo una grande confusione. Come uscire da questo delirio soggettivo, se non col diritto esclusivo della norma oggettiva? Come abbiamo conosciuto la natura della nostra lingua? Non l’abbiamo scoperta, ma l’abbiamo ricevuta da un’autorità che ce l’ha trasmessa, con una tradizione che ha usato il suo potere coercitivo per obbligarci a padroneggiare queste regole. È questa forza o violenza esteriore che ci ha aiutati a liberarci dall’ignoranza. Senza di essa sarebbe il caos. La libertà religiosa, come la libertà ortografica, equivale alla distruzione della società e dell’individuo. «Chiunque può constatare che la
libertà, come la si intende oggi e cioè accordata
indistintamente alla verità e all’errore, al bene e al male,
questa libertà porta ad abbassare tutto ciò che vi
è nobile, di santo, di generoso, e ad aprire più
ampiamente la via al crimine, allo scandalo e alle turbe abiette delle
passioni.» (10).
Per concludere con le parole stesse di Gregorio XVI e di Leone XIII, noi diciamo che Benedetto XVI “delira” quando rifiuta agli Stati il diritto di restringere la libertà religiosa ad una coscienza falsata o ad una comunità che professa una falsa religione. Diciamo che il Vaticano II è un’“assurdità” quando proclama che la libertà religiosa appartiene naturalmente, “senza distinzione e discernimento”, alla dignità umana. Diciamo che la sana laicità predicata da Benedetto XVI e dai conciliari non è altro che “ateismo”, poiché «si tace dell’autorità divina, come se Dio non esistesse». Diciamo che la Chiesa conciliare, con la sua falsa dignità umana «si distacca sia dal diritto cristiano, sia dallo stesso diritto naturale». Diciamo che il male che propaga è «opposto al bene comune» e che questi insegnamenti «ripugnano alla ragione». Si comprende allora che predicare il diritto della Chiesa ad essere la sola religione di Stato, significa predicare la divinità della Chiesa e quindi la divinità del suo fondatore. Niente di meno! Ma come persuadere gli uomini di questo secolo che bisogna introdurre la religione nella legge? Nella sua summa contro il cattolicesimo liberale, Don J. Morel rispondeva: «Facilmente e insieme difficilmente, occorre persuaderli che bisogna credere all’Incarnazione del Verbo, alla castità nel matrimonio e all’inferno eterno. Come diceva San Paolo davanti a Festo, discutendo di fede e giustizia, di castità e del tremendo giudizio.» NOTE 1 – Mons. Lefebvre, Ecône, 28 gennaio 1986. 2 - In un rapporto del 2010 sulla libertà religiosa nel mondo, la Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre, ha indicato che oggi il 75% delle persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. 3 - Pio XII, Ci Riesce, 6 dicembre 1953. 4 - Leone XIII, Libertas præstantissimum, 1888. 5 - «In effetti, numerosissime ed eclatanti prove: la verità delle profezie, la moltitudine dei miracoli, la prodigiosa rapidità della propagazione della fede, anche in mezzo ai suoi nemici a dispetto dei più grandi ostacoli, la testimonianza dei martiri ed altri argomenti simili, provano chiaramente che la sola vera religione è quella che Gesù Cristo ha lui stesso istituito e per la quale ha assegnato alla Sua Chiesa la missione di conservarla e di propagarla.» Leone XIII, Sulla Costituzione Cristiana degli Stati, 1888. 6 - Leone XIII, Libertas præstantissimum, 1888. 7 – Benedetto XVI, Ecclesia in medio oriente, Beirut, Libano, 14 settembre 2012. 8 - Concilio Vaticano II, Dignitatis Humanae, n° 1. 9 - Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana, 22 dicembre 2005. 10 – Leone XIII, Lettera apostolica per il suo giubileo pontificale, 19 marzo 1902. (torna
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giugno 2013 |