L’autorità, la vera posta in gioco del Sinodo

parte terza

Articolo di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX


Pubblicato sul sito francese della Fraternità
La Porte Latine










L’Autorità secondo il Vaticano II?  «Un partito al potere e tutti gli altri in prigione (1) (Mikhaïl Tomski).


1. «La riuscita ingiustizia di un fatto non porta pregiudizio al carattere inviolabile del diritto». Questa proposizione condannata, la n° 61 del Syllabus di Pio IX, descrive abbastanza bene la pastorale di Papa Francesco, almeno nella misura in cui non nega nella pratica l’ammissione dei peccatori pubblici alla ricezione della Santa Eucaristia. E forse presto anche la benedizione delle unioni LGBT?
Potremmo anche tracciare un parallelo tra questa proposizione del Syllabus e la recente destituzione di Mons. Strickland. Ma già nel 1976, il cattolico perplesso e stupito aveva assistito alla condanna di un «Seminario selvaggio», il Seminario di Ecône, dove Mons. Lefebvre, ex arcivescovo di Dakar, si limitava ad applicare i decreti del santo Concilio di Trento.

2. Questo modo di esercitare l’autorità corrisponde ad un cambiamento di definizione della natura stessa dell’autorità. Infatti, se esso consacra ed impone il fatto è perché è la bruta espressione del Numero, la volontà di una maggioranza. L’autorità diventa allora quello che è nel Contratto Sociale di Rousseau, cioè l’espressione della volontà generale. E diventa anche quello che è nel modernismo, cioè l’espressione della coscienza comune del Popolo di Dio.

3. Dunque, nel modernismo del Vaticano II il bene comune non è più ciò che era fino ad allora nella dottrina della Chiesa: basato sulla spiegazione che ne hanno dato Aristotele e San Tommaso. Per questi ultimi, il bene comune è il Fine, cioè la causa prima da cui dipende tutto il resto e in vista del quale tutto il resto deve essere organizzato; e questo Fine, questa causa, è innanzi tutto la trasmissione del deposito della fede, l’espressione della duplice legge divina, naturale e rivelata, alla quale gli uomini devono conformare i loro atti se vogliono ottenere la salvezza eterna delle loro anime.
Con il Vaticano II e Francesco, il bene comune è quello di una «Fraternità universale», cioè di una comunione voluta per se stessa o piuttosto voluta come segno di speranza dell’unità di tutto il genere umano. Non un Fine, ma un segno – o un sacramento. La Costituzione pastorale Gaudium et spes afferma infatti: «… il santo Concilio, proclamando la grandezza somma della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all’umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d’instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione.» (Proemio, n°3).
Di conseguenza, la Costituzione dogmatica Lumen gentium definisce la Chiesa come un «popolo messianico», cioè «… per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza» inviato «a tutto il mondo quale luce del mondo e sale della terra» (capitolo II, n° 9). La missione della Chiesa è quella di una testimonianza, espressione della coscienza comune del Popolo di Dio che cristallizza i bisogni dell’umanità, ed è per questo che l’autorità nella Chiesa è definita come un servizio, nella misura in cui sancisce questa espressione e ne assicura la permanenza.

4. Il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 2005 sotto la responsabilità di Benedetto XVI, dice al n° 15: «A chi è affidato il deposito della fede? Il deposito della fede è affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa. Tutto il popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede, sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita».
Il Compendio riprende qui il n° 91 del Catechismo della Chiesa cattolica: «Tutti i fedeli partecipano della comprensione e della trasmissione della verità rivelata. Hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo che insegna loro ogni cosa e li guida alla verità tutta intera».
E nella Esortazione Verbum Domini, che nel 2010 espone le conclusioni del Sinodo del 2008, il Papa Benedetto XVI dichiara anche che «Il Verbo di Dio … ci coinvolge non soltanto come destinatari della Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori» (2). «Poiché tutto il Popolo di Dio è un popolo “inviato”, il Sinodo ha ribadito che “la missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Gesù Cristo come conseguenza del loro battesimo”. Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità che proviene dall’appartenere sacramentalmente al Corpo di Cristo. Questa consapevolezza deve essere ridestata in ogni famiglia, parrocchia, comunità, associazione e movimento ecclesiale. La Chiesa, come mistero di comunione, è dunque tutta missionaria e ciascuno, nel suo proprio stato di vita, è chiamato a dare un contributo incisivo all’annuncio cristiano» (3).

5. Nel discorso pronunciato in occasione del Sinodo, mercoledì 25 ottobre 2023, Papa Francesco è ritornato su questa idea con dei termini immaginifici di cui ha il segreto.
«Mi piace pensare alla Chiesa come a questo popolo semplice e umile che cammina alla presenza del Signore (il popolo fedele di Dio). […] Una delle caratteristiche di questo popolo fedele è la sua infallibilità; sì, è infallibile in credendo. (In credendo falli nequit, dice Lumen gentium, n. 12) Infallibilitas in credendo. […] Mi viene in mente un’immagine: il popolo fedele riunito all’ingresso della cattedrale di Efeso. La storia (o la leggenda) racconta che la gente si trovava su entrambi i lati della strada verso la Cattedrale mentre i Vescovi facevano il loro ingresso in processione, e che ripeteva in coro: ‘Madre di Dio’, chiedendo alla Gerarchia di dichiarare dogma quella verità che loro già possedevano come popolo di Dio. (Alcuni dicono che avevano in mano dei bastoni e li mostravano ai Vescovi). Non so se è storia o leggenda, ma l’immagine è valida. […] Noi membri della Gerarchia proveniamo da questo popolo e abbiamo ricevuto la fede da questo popolo, in genere dalle loro madri e nonne, “tua madre e tua nonna”, dice Paolo a Timoteo».
Su questo punto, dunque, Francesco è in continuità con Benedetto XVI e il Sinodo del 2023-2024 è in continuità con quello del 2008.

6. Nell’Enciclica Pascendi, San Pio X spiega molto chiaramente qual è il principio radicale che nella Chiesa porta a fare dell’autorità la portavoce della coscienza comune. Questo principio è solo una variante (o un adattamento) del principio protestante, principio dell’autonomia della coscienza – o del libero esame – in ragione del quale la Rivelazione è identificata con la coscienza – o col «senso soprannaturale della fede» o anche con «l’unzione dello Spirito Santo». Se la Rivelazione divina (cioè la comunicazione della verità e della fede fatta da Dio agli uomini) è identica alla coscienza (o ad una presa di coscienza), allora l’autorità nella Chiesa diventa logicamente l’organo della coscienza.
Il protestantesimo identifica la Rivelazione con la coscienza individuale ed è per questo che introduce un fermento di divisione e di anarchia, sia intellettuale sia morale. I protestanti possono neutralizzarlo solo al prezzo di una contraddizione: introducendo nella Chiesa la regola di una autorità che il loro principio del libero esame rende impossibile.
Il modernismo identifica la Rivelazione con la coscienza comune, e col Vaticano II il «senso soprannaturale della fede» o «l’unzione dello Spirito Santo» è la prerogativa dell’intero Popolo di Dio. Questa variazione del tema protestante rende possibile il mantenimento dell’autorità come principio di unità, senza cadere nella contraddizione. Ma solo al prezzo di un completo cambiamento della definizione dell’autorità, cambiamento che equivale ad una inversione: l’autorità non scende più dall’alto, essa emerge dal basso.
San Pio X, quando evoca questa «equivalenza tra la coscienza e la Rivelazione» e «la legge che fa della coscienza religiosa una regola universale, del tutto pari alla Rivelazione», precisa che tutto le deve essere assoggettato, «fino alla suprema autorità nella sua triplice manifestazione, dottrinale, culturale, disciplinare».

7. Se nella Chiesa l’autorità diventa portavoce della coscienza comune del Popolo di Dio, allora, dice ancora San Pio X, «soffocare la critica, impedire che essa spinga alle evoluzioni necessarie, non è più un uso del potere impegnato per fini utili, è un abuso di autorità».
Noi vediamo che Papa Francesco sta dando piena libertà di espressione a coloro che definisce «le periferie della Chiesa», che in effetti spingono per queste evoluzioni necessarie, di cui l’ultimo Sinodo ha voluto manifestare la presa di coscienza. E se soffoca le critiche di un Mons. Strickland, è proprio perché quest’ultimo si oppone alle dette evoluzioni e per ciò stesso si oppone anche al Sinodo.

Con Francesco e l’ultimo Sinodo, l’autorità del Papa nella Chiesa è dunque ad un bivio.


NOTE

1
- Mikhaïl Tomski (1880–1936) fu un sindacalista rivoluzionario, poi membro del Politburo nell’URSS sotto Stalin.
2 - Verbum Domini, n° 91.
3 - Verbum Domini, n° 94.





    NOTIZIA





Don Jean-Michel Gleize è professore di Apologetica, Ecclesiologia e Dogma al Seminario San Pio X di Ecône, Svizzera. È il principale collaboratore del mensile Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali tra Roma e la FSSPX tra il 2009 e il 2011.






 
novembre 2023
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