Fiducia Supplicans
e la «benedizione pastorale»


Articolo Don Jean-Michel Gleize, FSSPX


Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X
La Porte Latine

Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma nel Seminario San Pio X di Ecône; è il principale autore del mensile Courrier de Rome; ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011.





«La Chiesa, inoltre, deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari»

1. Questo passo del numero 25 della recente Dichiarazione Fiducia supplicans non è altro che la ripresa del principio fondamentale già enunciato da Papa Francesco nell’Esortazione postsinodale Amoris laetitia. Questo principio trova la sua giustificazione nel numero 8 della stessa Dichiarazione, che fa riferimento al numero 12 del Nuovo rituale promulgato da Giovanni Paolo II nel 1985; in cui si dice: «Le benedizioni possono essere considerate come uno dei sacramentali più diffusi e in costante evoluzione. Esse infatti portano a cogliere la presenza di Dio in tutti gli avvenimenti della vita e ci ricordano che, anche nell’uso delle cose create, l’essere umano è invitato a cercare Dio, ad amarLo e a servirLo fedelmente».
Le benedizioni sono «in costante evoluzione». Perché? Perché esse hanno lo scopo di «far cogliere» e di «ricordare»… Far cogliere e ricordare: dunque le benedizioni sarebbero solo un linguaggio, dei puri segni che operano né più né meno come una presa di coscienza? Se è così è logico che esse, come ogni linguaggio, si adattino alla mentalità di coloro ai quali vengono rivolte. Poiché l’essenziale, in ogni pastorale è farsi comprendere. Da lì deriva tutto il resto.

2. Innanzi tutto, per benedire basta mettersi all’ascolto delle diverse persone «che vanno spontaneamente a chiedere una benedizione» (numero 21). Questa richiesta esprime da sé il bisogno «della presenza salvifica di Dio nella sua storia» (numero 20). Chiedere una benedizione è riconoscere la Chiesa «come sacramento di salvezza» (ididem), «ammettere che la vita della Chiesa scaturisce dal seno della misericordia di Dio e ci aiuta ad andare avanti, a vivere meglio, a rispondere alla volontà del Signore» (ididem).
In breve, la richiesta esprime delle convinzioni, ma anche? Esprime una volontà di guarigione, una risoluzione efficace? Esprime il desiderio di una conversione?
Il numero 21 si limita ad evocare, da parte di coloro che chiedono la benedizione, «la loro sincera apertura alla trascendenza, la fiducia del loro cuore che non confida solo nelle proprie forze, il loro bisogno di Dio e il loro desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei sui limiti». E uscire dal peccato? Apparentemente qui non se ne parla. Cosa che non sorprende, dal momento che la benedizione sarebbe un ascolto e come ogni ascolto non deve preoccuparsi delle risoluzioni efficaci. Esse arrivano nel momento della speranza e dell’attesa.

3. La benedizione non è solo un ascolto; essa deve anche esprimere l’amore di Dio e per questo viene data a tutti. Certo, essa non può «offrire una forma di legittimità morale … ad una prassi sessuale extra matrimoniale» (numero 11). Tuttavia, «Si deve altresì evitare il rischio di ridurre il senso delle benedizioni soltanto a questo punto di vista, perché ci porterebbe a pretendere, per una semplice benedizione, le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti. Tale rischio esige che si ampli ulteriormente questa prospettiva. Infatti, vi è il pericolo che un gesto pastorale, così amato e diffuso, sia sottoposto a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione» (numero 12).
La benedizione, quindi, deve esprimere l’amore di Dio in modi diversi. L’essenziale è non «perdere la carità pastorale, che deve attraversare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti» e «evitare di essere giudici che solo negano, respingono, escludono» (numero 13).

4. Il nuovo «magistero» pastorale inaugurato da Giovanni XXIII non cerca più di convertire. Cioè non cerca più di fare uscire le anime dal peccato. Esso ascolta e dialoga; e così facendo dà al mondo il mezzo di realizzarsi come tale, uscendo dal materialismo e aprendosi al trascendente. «In fondo, la benedizione offre alle persone un mezzo per accrescere la loro fiducia in Dio. La richiesta di una benedizione esprime ed alimenta l’apertura alla trascendenza, la pietà, la vicinanza a Dio in mille circostanze concrete della vita, e questo non è cosa da poco nel mondo in cui viviamo. È un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato» (numero 33). E il peccato? E la conversione? E la salvezza eterna? Non una parola.
E’ stato già detto: la benedizione è lì per aiutarvi a cogliere «la presenza di Dio in tutti gli eventi della vita».

5. Ecco perché «La Chiesa deve rifuggire dall’appoggiare la sua prassi pastorale alla fissità di alcuni schemi dottrinali o disciplinari». Questo si capisce, perché la benedizione è un aspetto della pastorale e la pastorale consiste nel mettersi all’ascolto e a dialogare, a «far cogliere» e a «ricordare». In questo ambito non c’è spazio per gli schemi, «soprattutto quando danno luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare» (citazione di Papa Francesco al numero 25). Perciò «quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale» (numero 25). Poiché non si tratta di conversione; si tratta di dialogo e ascolto. Il principio base di questo ascolto, che è anche il principio base della Nuova Evangelizzazione, è che «noi per Dio siamo più importanti di tutti i peccati che noi possiamo fare, perché Lui è padre, è madre, è amore puro, Lui ci ha benedetto per sempre. E non smetterà mai di benedirci» (numero 27). Se ci si attiene ad un tale principio, l’Inferno esiste? E se esiste non è vuoto? … Questo principio consiste nel «far sentire a quelle persone che rimangono benedette nonostante i loro gravi errori, che il Padre celeste continua a volere il loro bene e a sperare che si aprano finalmente al bene» (ibidem). «Aprirsi al bene»? In che senso? Si tratta solo del «desiderio di uscire dalle anguste misure di questo mondo chiuso nei sui limiti» di cui si parla prima? Logicamente, sì. Ed è per questo che la conclusione, tanto attesa, appare ineluttabile: le coppie dello stesso sesso hanno anch’esse il diritto di ricevere la benedizione della Chiesa.

6. Questa conclusione arriva nero su bianco, senza sorpresa, al numero 31 della Dichiarazione. «Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso». Certo si precisa che questa benedizione avrà luogo secondo una «forma che non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio». E il numero 39 aggiunge a questa precauzione che si vuole rassicurante – per chi? Ci si chiede - «per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la preghiera di benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso».
Ma il numero 40 si affretta a riaprire le porte chiuse dal numero precedente: «Tale benedizione può invece trovare la sua collocazione in altri contesti, quali la visita a un santuario (Lisieux ?), l’incontro con un sacerdote (all’uscita dalla Messa?), la preghiera recitata in un gruppo (alla recita dei vespri o del Rosario?) o durante un pellegrinaggio (Lourdes o Fatima?). Infatti, attraverso queste benedizioni che vengono impartite non attraverso le forme rituali proprie della liturgia, bensì come espressione del cuore materno della Chiesa, analoghe a quelle che promanano in fondo dalle viscere della pietà popolare, non si intende legittimare nulla ma soltanto aprire la propria vita a Dio, chiedere il suo aiuto per vivere meglio, ed anche invocare lo Spirito Santo perché i valori del Vangelo possano essere vissuti con maggiore fedeltà».
Quindi, le forme rituali proprie della liturgia non sarebbero l’espressione del cuore materno della Chiesa? Sembra proprio di no; poiché il numero 36 precisa che voler fare di queste benedizioni un atto liturgico «costituirebbe un grave impoverimento, perché sottoporrebbe un gesto di grande valore nella pietà popolare ad un controllo eccessivo, che priverebbe i ministri della libertà e della spontaneità nell’accompagnamento pastorale della vita delle persone».
Sempre questa puerile e nefasta dialettica tra l’autorità e la libertà, tra il diritto e la carità, tra la giustizia e l’amore. Teniamo presente per adesso che questo tipo di «benedizione» può svolgersi all’interno delle chiese e, perché no, al banco della comunione, di fronte all’altar maggiore.

7. Queste benedizioni scendono «da parte di Dio su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo» (numero 31).
Si tratta quindi di un miglioramento a partire da ciò che è già buono e non di una guarigione. Non è detto niente di ciò che è falso e malvagio, anche parlando umanamente, e ancor meno dello stesso peccato. Niente di niente, né qui né altrove in tutto il resto del documento. Ma del resto, il peccato esiste? Ciò che importa è che «le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino» (ibidem). Imperfezioni e fragilità... Non è forse dire troppo poco quando si parla di adulterio e omosessualità?
Vero è che «la grazia di Dio … opera nella vita di coloro che non si pretendono giusti ma si riconoscono umilmente peccatori come tutti. Essa è in grado di orientare ogni cosa secondo i misteriosi ed imprevedibili disegni di Dio» (numero 31). Sì, di disegni misteriosi ed imprevedibili ce ne sono alcuni che corrispondono a ciò che i teologi chiamano la volontà divina «del buon piacere»; ma vi è anche una volontà divina «significata», che si esprime in una maniera per niente misteriosa, ma del tutto chiara e corrisponde a dei disegni perfettamente prevedibili: la volontà di Dio come quella che si esprime attraverso i dieci Comandamenti e la legge della Chiesa. Prima di benedire qualcuno, non dovremmo ricordargli questi requisiti ed esortarlo nel modo più persuasivo possibile?
Il numero 40 descrive le ambizioni di questa nuova pastorale: «aprire la propria vita a Dio, chiedere il suo aiuto per vivere meglio, ed anche invocare lo Spirito Santo perché i valori del Vangelo possano essere vissuti con maggiore fedeltà».
L’inconsistenza di simili espressioni è troppo vaga per non diventare dilatoria.

8. L’impatto di questa Dichiarazione, insieme sinistra e vergognosa, si farà sentire soprattutto nei cattolici, che saranno ancora una volta scossi nella loro morale e propriamente scandalizzati, in altre parole sollecitati - si potrebbe anche dire esortati - non solo a tollerare, ma ad ammettere l’inaccettabile. Il risultato più tangibile, nell’immediato, si manifesta sulle prime pagine di tutti i giornali, i quali titolano che il Vaticano autorizza alla fine (è la prima) la benedizione delle coppie omosessuali.

9. Questa Dichiarazione è dunque propriamente scandalosa e lo scandalo che provoca è grande. Dov’è dunque «la macina girata da un asino» del Vangelo (1)? … Ma poiché la bontà di Dio rimane grande, senza dubbio si dovrà fare più spazio nelle chiese della Tradizione, per accogliere - come nella stalla di Betlemme - tutti i poveri cattolici che sono sempre più traditi nella loro fiducia...


NOTA

1 - Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» Mt. XVIII, 6).








 
gennaio 2024
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