Una risposta alla

Fraternità San Vincenzo Ferreri



Articolo di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX



Pubblicato sul n° 676 del Courrier de Rome, giugno 2024








1. «Risposta a Don J-B Gleize e ritorno sulla spinosa questione della libertà religiosa».
E’ questo il titolo (con un errore sull’iniziale del mio nome) dell’articolo pubblicato sulla pagina del 20 aprile 2024 del sito «Claves» della Fraternità San Pietro, ormai ben noto ai lettori del Courrier de Rome.
Questo articolo è firmato dal reverendo Padre Antoine-Marie De Araujo, della Fraternità San Vincenzo Ferreri. Questi intraprende la difesa dell’argomentazione del Padre de Blignières, qualificata «seducente, ma errata» dal Courrier de Rome del febbraio scorso.
Il Padre de Blignières, fondatore della suddetta Fraternità, intendeva provare che il diritto alla libertà religiosa, insegnata dalla Dichiarazione Dignitatis humanae del concilio Vaticano II, non si opporrebbe alla Regalità sociale di Cristo sulle società umane.



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Un’opposizione scritta nei testi



2. La denuncia di questa opposizione è stata ed è ancora uno dei punti principali della battaglia condotta dalla Fraternità San Pio X. L’opposizione (che è una contraddizione) sta sostanzialmente in questo. Fino al concilio Vaticano II, la dottrina sociale della Chiesa obbligava a credere che solo la religione cattolica, perché vera, aveva il diritto si esprimersi pubblicamente, beneficiando del riconoscimento ufficiale dei poteri pubblici. Le altre religioni, perché false, non avevano questo diritto e potevano beneficiare tutt’al più  della tolleranza dei poteri pubblici. L’insegnamento del concilio Vaticano II, come figura nella Dichiarazione Dignitatis humanae, rivendica il diritto per tutte le religioni di non essere impedite di esprimersi pubblicamente, nella misura in cui tale espressione è quella di una persona umana.

3. Questa è l’autentica dottrina del Vaticano II, in rottura con tutta la Tradizione della Chiesa. I successori di Paolo VI ne hanno dato la spiegazione. Benedetto XVI indica chiaramente la differenza fondamentale tra il regime di tolleranza, ammesso dai Papi prima del Vaticano II,  e il nuovo diritto introdotto da questo Concilio. Ormai la tolleranza non basta più: «La tolleranza religiosa esiste in numerosi paesi, ma essa non impegna molto, poiché rimane limitata nel suo campo d’azione. E’ necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa» (1).


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Delle analisi pertinenti

4. Mons. Lefebvre non fu il solo a denunciare la rottura introdotta su questo punto dal Vaticano II. I due apostoli laici – si potrebbe dire – di questa battaglia furono, con Jean Madiran e dopo di lui: Michel Martin e l’instancabile Arnaud de Lassus.
Il primo pubblicò, nel numero speciale del gennaio 1968 della rivista De Rome et d’ailleurs, col titolo Il concilio Vaticano II e la libertà religiosa, l’insieme degli otto principali articoli pubblicati sull’argomento a partire dal 1976.
Quanto al secondo, le colonne dell’Action Familiale et Scolaire accolsero regolarmente le sue analisi sempre precise e documentate, che richiamavano l’autentica dottrina della Chiesa a fronte della nuova e grande «illusione liberale» uscita dall’ultimo Concilio (2).

5. A tre riprese (3), lo stesso Arnaud de Lassus riporta il giudizio del Padre Joseph de Sainte-Marie, autore di uno studio approfondito, pubblicato nel numero 162 di ottobre 1976 del Courrier de Rome e intitolato: «Le concile Vatican II échappe-t-il à l’accusation de libéralisme ?» [Il concilio Vaticano II sfugge all’accusa di liberalismo?]. Questo testo fu riprodotto due volte, nei numeri di luglio-agosto 1987 e di inverno 1991-1992 della rivista Itinéraires. Esso è ancora presente e ben recuperabile sul sito «Salve Regina» (4), fondato nel 2001 da dei preti e dei seminaristi della Fraternità San Pietro.

6. Il Padre Joseph de Sainte-Marie (che firmava con lo pseudonimo di R. Teverence) scriveva:
«Presi come sono, i testi relativi alla “libertà religiosa” cadono immediatamente sotto le condanne contro il liberalismo di tutti Papi precedenti, fino a Giovanni XXIII compreso. Poiché – secondo questa dottrina costante della Chiesa – se è vero che la sacra libertà dell’atto di fede proibisce ogni pressione sulla coscienza della persona umana per imporgli o per proibirgli l’adesione religiosa dell’anima a Dio, è altrettanto vero che Cristo ha istituito una religione alla quale tutti gli uomini hanno il dovere di tendere e che la stessa società civile ha il dovere di servire e di proteggere nella giusta distinzione fra ciò che compete al suo ambito e ciò che compete alla Chiesa».

7. Infatti, non basta ricordare, come fa al n° 1 la Dignitatis humanae, il dovere delle società di abbracciare la vera religione; occorre anche ricordare il dovere delle società di prevenire le false religioni e di conseguenza ricordare che in ogni società il potere politico ha il dovere di reprimere con delle sanzioni legali i trasgressori della religione cattolica – che sono proprio tutti coloro che abbracciano una falsa religione e che la professano nel foro pubblico.
Infatti, il Papa Pio IX, nella Quanta cura, condanna la seguente proposizione: «La migliore condizione della società è quella in cui si riconosce al potere il dovere di reprimere con delle sanzioni legali i trasgressori della religione cattolica nella misura in cui lo richiede la tranquillità pubblica» (DS 1689).
Il n° 1 della citata Dignitatis humanae pretende che la dottrina della libertà religiosa «lascia intatta la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo», col pretesto che «la libertà religiosa che gli esseri umani esigono nell’adempiere il dovere di onorare Iddio riguarda l’immunità dalla coercizione della società civile».
Di quale coercizione si tratta precisamente? Se si tratta di non costringere il credente ad abbracciare la vera religione, l’inferenza è vera. Ma se si tratta di non impedire ai credenti di professare pubblicamente una falsa religione, l’inferenza non è più vera.
Ora, Dignitatis humanae insegna la libertà dalla costrizione in materia religiosa nei due sensi. Se dunque questa Dichiarazione non porta pregiudizio alla dottrina cattolica tradizionale sul primo punto, di certo lo porta sul secondo.
Come abbiamo scritto nel numero di febbraio del Courrier de Rome: «Tutta la contraddizione del cattolico liberale sta nel fatto che egli pretende di obbligarsi in coscienza e di obbligare anche la società a professare la vera religione, ma pretende anche di obbligarsi in coscienza a non interdire ai violatori della vera religione di violarla per il fatto stesso di professare le loro false religioni. Il che è l’esatta negazione della Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo».

8. Facciamo notare, in più, che agli occhi di Papa Benedetto XVI, l’espressione utilizzata dal n° 1 di Dignitatis humanae che indica: «il dovere delle società di abbracciare la vera religione» è «discutibile» e rappresenta una «mancanza di gusto» nella misura in cui questo modo di dire attiene ad una logica diversa da quella del Vaticano II.
«Il proemio si sforza di mettere in rilievo la continuità delle posizioni del magistero ecclesiastico su questa questione e dice a questo proposito che «essa lascia intatta la dottrina cattolica tradizionale sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo». L’espressione “dovere delle società nei confronti della Chiesa” si rivela discutibile: la Dichiarazione conciliare presenta in realtà del nuovo e in un modo diverso da quello che si può trovare nelle dichiarazioni di Pio IX o di Pio XII.  Questa espressione corregge una infarinatura di retorica iniziale che  forse sarebbe stato meglio tralasciare del tutto o almeno formulare diversamente in vista di ciò che sarebbe seguito. Essa non cambia nulla nel tenore del testo e tutto sommato non bisogna vedervi nient’altro che una semplice mancanza di gusto» (5).

9. In ogni caso, il Padre Joseph de Sainte-Marie si esprime con tutta la precisione richiesta e nella fedeltà più esatta alla condanna di Pio IX, quando scrive che la stessa società civile ha «il dovere di servire e di proteggere» la vera religione. Servire la vera religione riconoscendole il diritto esclusivo di essere adottata sia dagli individui sia dalla stessa società. Proteggerla impedendo la professione pubblica delle false religioni, la quale come tale rappresenta una violazione di questo diritto.

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Delle obiezioni speciose

- 3.1 -
I limiti della libertà religiosa in Dignitatis humanae

10. La Fraternità San Vincenzo Ferreri ci obietta qui, a firma di Padre Araujo, - e questo è diventato un luogo comune della controversia – la famosa questione dei «limiti» della libertà religiosa.
Il testo di Dignitatis humanae vorrebbe contenere il diritto alla libertà religiosa nei «giusti limiti» (indicati al n° 2) stabiliti dal potere civile: «secondo le norme giuridiche conformi all’ordine morale, che sono richiesti dall’efficace salvaguardia dei diritti di tutti i cittadini e dall’armonizzazione pacifica di questi diritti, e con una adeguata preoccupazione per una autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una vera giustizia, nonché dalla protezione dovuta alla moralità pubblica. Tutto ciò costituisce una parte fondamentale del bene comune e rientra nella definizione dell’ordine pubblico» (precisazione del n° 7).
E Padre De Araujo ci dice: «Siccome la verità religiosa fa parte del bene comune, il testo di Dignitatis humanae significherebbe che l’autorità civile deve governare tenendo conto della verità religiosa. Pertanto, poiché i limiti della libertà religiosa sono quelli della verità religiosa, la sola libertà religiosa valida sarà la libertà di professare la vera religione, cioè la sola religione cattolica.
E inoltre, dopo il concilio Vaticano II, il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica pubblicato nel 1992 sotto Giovanni Paolo II, l’Enciclica Veritatis splendor pubblicata dallo stesso Papa nel 1993 e l’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI pubblicata nel 2009, hanno chiarito il testo della Dignitatis humanae in questo senso.

11. A questa obiezione, il Padre Joseph de Sainte-Marie, e dopo di lui Arnaud de Lassus, i cui testi sono sempre presenti sul sito « Salve Regina», avevano già risposto.
«E’ esattamente in questo», scriveva il primo nel 1976, «che consiste la novità e il grave problema posti dal testo conciliare: nell’affermazione di un diritto alla libertà religiosa in foro esterno inscritta nella natura umana e nell’ordine stesso stabilito da Dio, diritto che sarebbe limitato unicamente dalle esigenze dell’“ordine pubblico”.
Di quest’ordine pubblico è detto un po’ più avanti (al n° 7) che esso implica il “bene comune”. Ma bisogna ammettere che, in tale confusione di pensiero, la nozione di “bene comune” diventa molto vaga e che l’unico criterio pratico che rimane per l’inevitabile regolazione  della libertà religiosa è “l’ordine pubblico assicurato dallo Stato sovrano, padrone dei propri affari» (6).
L’imprecisione di questa nozione fu peraltro segnalata, nel corso del concilio Vaticano II, dal cardinale arcivescovo di Firenze, Mons. Ermenegildo Florit (1901-1985), che prese la parola nel corso della cento trentesima assemblea generale, il 17 settembre 1965, per osservare che la nozione di «bene comune», lungi dall’essere implicata in quella dell’«ordine pubblico», la supera di molto.
Il bene comune infatti integra altri beni più importanti di quelli richiesti dall’ordine pubblico: come la verità e la virtù. Ed è per questo che i limiti della libertà religiosa non possono ridursi a quelli che impongono le necessità dell’ordine pubblico, ma devono corrispondere anche a quelli imposti dalla verità religiosa (7).
Ora, il testo di Dignitatis humanae non contiene queste precisazioni che tuttavia sono indispensabili.
Inoltre, sempre nel corso del Concilio, alla ottantesima assemblea  generale del 15 settembre 1965, il relatore dello schema, Mons. De Smedt, diede una spiegazione del testo che rifiutava ai poteri pubblici la competenza richiesta per prevenire l’errore religioso e che si basava per questo sulla segnalata distinzione delle due nozioni di bene comune e di ordine pubblico.
«Talvolta si sostiene che gli errori religiosi, principalmente se sono diffusi in una nazione che ha l’unità cattolica, nuocciano al bene comune. Anche a volerlo ammettere, non se deriva che questi errori o i culti fondati in qualche modo nell’errore debbano essere impediti in maniera coercitiva dal potere pubblico» (8).
Certo, potrebbe rientrare nella prudenza di un capo di Stato non impedire tali errori e tollerarli, al fine di evitare un male peggiore, ma la ragione addotta da Mons. De Smedt per rifiutare al potere pubblico il dovere di impedire l’errore religioso è diversa, poiché è nel principio stesso che lo Stato è ritenuto incompetente a farlo: «In effetti – egli precisa – da un lato non appartiene al dovere dello Stato estirpare per legge o con un’altra azione coercitiva tutto quello che, in qualche modo, è contrario al bene comune. D’altra parte, appartiene assolutamente al dovere dello Stato proteggere i diritti o le immunità delle persone in materia religiosa, a meno che essi cessino occasionalmente perché è stato violato l’ordine pubblico».

12. Il Padre Joseph de Sainte-Marie aggiunge allora molto giustamente: «Non è forse lo Stato che, in ultima analisi, giudicherà le esigenze dell’“ordine pubblico”, in nome del quale esso sarà autorizzato a regolare la libertà religiosa? Si parla di “ordine morale oggettivo” (n° 7) che fonda questi diritti del potere civile. Ma su che si fonderà questo stesso ordine dal momento in cui non si riconosce più allo Stato alcun dovere verso la religione come tale e verso la religione rivelata in particolare?»
Nessun dovere, poiché, giustamente, ogni individuo ha il diritto di non essere impedito dallo Stato a professare, solo o con altri, la religione di sua scelta, nei giusti limiti dell’ordine pubblico - diverso dal bene comune. Ne deriva logicamente che i soli limiti che potrebbero restringere il diritto del Vaticano II sono i limiti estrinseci all’ambito propriamente religioso, limiti imposti dall’ordine pubblico, tali che di conseguenza non possono implicare la verità o la falsità di una religione.


- 3.2 -
Il limiti alla libertà religiosa
nel Nuovo Catechismo di Giovanni Paolo II

13. il Nuovo Catechismo di Giovanni Paolo II (1992) chiamato in soccorso da Padre de Blignières e da Padre De Araujo, lungi dal cattolicizzare il diritto alla libertà religiosa, non fa che confermare l’analisi fatta da Padre Joseph de Sainte-Marie. E’ Arnaud de Lassus che lo dimostra nel suo libretto del 1995. Questo contiene, com’è giusto che sia, un capitolo VIII dedicato a «L’insegnamento sulla libertà religiosa del Catechismo della Chiesa Cattolica» (9).
Questo Nuovo Catechismo di Giovanni Paolo II tratta del diritto alla libertà religiosa ai §§ 2104-2109 e al § 2137. Il § 2106 riproduce l’essenziale del n° 2 della Dichiarazione Dignitatis humanae.
Il § 2107 riproduce il passo del n° 6: «Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell’ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa».
A nessuna religione, vera o falsa, può quindi essere riconosciuto un valore esclusivo, sul piano puramente religioso, rispetto ad altre religioni, vere o false.

Il § 2108 definisce la libertà religiosa come «un diritto naturale della persona umana all’immunità dalla costrizione esteriore, nei giusti limiti, in materia religiosa, da parte del potere politico».
Il § 2109 precisa tuttavia che questo diritto alla libertà religiosa non può essere limitato «solo da un “ordine pubblico” concepito in maniera positivista o naturalista. I “giusti limiti” che gli sono inerenti devono essere determinati, per ogni situazione sociale, dalla prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune e ratificate dall’autorità civile in base a “regole giuridiche conformi all’ordine morale oggettivo” (DH 7).

14. Tuttavia, questo bene comune temporale della città deve essere inteso nel senso indicato dai §§ 1906-1909 dello stesso Nuovo Catechismo. Dire che non è «naturalista» non equivale a dire che sarà cattolico. Esso equivale (§ 1906) a «l’insieme delle condizioni sociali che permettono, tanto ai gruppi, quanto a ciascuno dei loro membri di raggiungere la loro perfezione, in modo più completo e più facile». Esso suppone: primariamente (§ 1907) «il rispetto della persona in quanto tale», in particolare «il diritto di agire secondo retta regola della sua coscienza, diritto a salvaguardare la vita privata e la giusta libertà, anche in materia religiosa»; secondariamente (§ 1908) «il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo stesso»; in terzo luogo (§ 1909) «la pace, cioè la durata e la sicurezza di un giusto ordine».
Come osserva Arnaud de Lassus, «questa nuova concezione del bene comune temporale della città è pienamente conforme alla concezione del bene comune proposto dalla Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa. Lo Stato, che ha il compito di assicurare questa protezione, non ha più la possibilità pratica di intervenire contro le false religioni quando il giusto ordine pubblico non sia turbato». I limiti del diritto alla libertà religiosa sono quelli richiesti dal rispetto di questo «bene comune», ma la nuova definizione che dà il Nuovo Catechismo integra proprio la protezione del detto diritto, come afferma il § 1907.

Dal diritto ai limiti del diritto e da questi allo stesso diritto, il pensiero di questo Nuovo Catechismo sembra girare in tondo.

15. In verità, questi limiti non limitano alcunché nel dominio propriamente religioso. Come dire che non sono intrinseci ad esso. Il diritto di non essere impedito dal professare la propria religione in foro esterno sarà limitato non in ragione della natura di tale religione, vera o falsa, ma per altre ragioni che le sono estrinseci, per esempio il rispetto del diritto positivo della legge civile, come quello della circolazione stradale o del silenzio notturno; o anche il rispetto dell’ordine morale oggettivo in conformità con la sola legge naturale, come spiega il Papa Benedetto XVI nel suo discorso all’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani del 9 dicembre 2006.
Come dire che, se le pubbliche autorità hanno il potere di impedire la professione pubblica di una religione che non rispettasse l’ordine morale oggettivo della legge naturale, esse non hanno più il potere di impedire la professione pubblica di una religione che non rispetta l’ordine della legge divina positiva, rivelata da Cristo e dagli Apostoli e il cui deposito è stato affidato alla Chiesa cattolica.
Lo Stato non ha alcun potere per reprimere coloro che violano la vera religione rivelata, la religione cattolica. L’autonomia delle realtà terrene, di cui parla la Costituzione Gaudium et spes al n° 36 e che Benedetto XVI ha inteso ricordare nel discorso già citato, non deve certo intendersi come un’autonomia dell’ordine morale, ma deve comunque essere intesa come un’autonomia dell’ambito ecclesiastico (10).
Questo rispetto dell’ordine morale oggettivo, conforme alla legge naturale, va di pari passo col diritto di non essere impedito a professare la propria religione, anche se falsa e contraria al diritto divinamente rivelato come espresso dal diritto ecclesiastico, purché questa falsa religione non vada contro la legge naturale.


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Benedetto XVI, interprete autentico
di Dignitatis humanae

16. In definitiva, tutta la questione sta nel sapere se il diritto rivendicato da Dignitatis humanae è esclusivamente quello dei cattolici, nella misura in cui essi professano l’unica vera religione.
In altri termini, la libertà religiosa, presentata come uno dei diritti fondamentali della persona umana, è uno dei diritti dell’uomo cristiano o rappresenta solo uno dei diritti dell’uomo in quanto tale, e dunque comune a ogni uomo, qualunque sia la sua religione?

17. La spiegazione data in questo caso da Benedetto XVI è inequivocabile: «I cristiani prestano un’attenzione particolare ai diritti fondamentali della persona umana. Affermare pertanto che questi diritti sono solo dei diritti cristiani dell’uomo, non è giusto. Essi sono semplicemente dei diritti richiesti dalla dignità di ogni persona umana e di ogni cittadino quali che siano le sue origini, le sue convinzioni religiose e le sue scelte politiche» (11).
Tra questi diritti fondamentali della persona umana in quanto umana (e non solo in quanto cattolica) figura la libertà religiosa: «La libertà religiosa è il culmine di tutte le libertà. Essa è un diritto sacro e inalienabile. Essa comprende, sia a livello individuale che collettivo, la libertà di seguire la propria coscienza in materia religiosa e la libertà di culto. Essa include la libertà di scegliere la religione che si ritiene vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza. Deve essere possibile professare e manifestare la propria religione e i suoi simboli, senza mettere in pericolo la proprio vita e la propria libertà personale» (12).
L’uomo non ha diritto alla libertà religiosa perché professa la vera religione; egli vi ha diritto per il semplice fatto che è una persona umana: «La libertà religiosa è radicata nella dignità della persona; essa garantisce la libertà morale e favorisce il mutuo rispetto» (13). […] «Ogni persona deve poter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare individualmente o in maniera comunitaria la propria religione o la propria fede, sia in pubblico sia in privato, nell’insegnamento e nella pratica, nelle pubblicazioni, nel culto e nell’osservanza dei riti. Essa non deve incontrare ostacoli se desidera eventualmente aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna» (14).

18. Questo principio è stato richiamato dettagliatamente a più riprese da Benedetto XVI nel corso del suo pontificato. Per esempio durante il suo viaggio in Turchia nell’autunno 2006: «E’ dovere delle Autorità civili in tutti i paesi democratici garantire la effettiva libertà di tutti credenti e permettere loro di organizzare liberamente la vita della loro comunità religiosa. Io mi auguro naturalmente che i credenti, a qualunque comunità religiosa appartengano, possano sempre beneficiare di questi diritti, certi che la libertà religiosa è un’espressione fondamentale della libertà umana e che la presenza attiva delle religioni nella società è un fattore di progresso e di arricchimento per tutti. Questo implica ovviamente che le stesse religioni non cerchino di esercitare direttamente un potere politico, poiché non hanno alcuna vocazione in tal senso e, in particolare, che rinuncino assolutamente al ricorso alla violenza come legittima espressione dell’approccio religioso» (15).

L’idea della sana laicità, correlativa al principio della libertà religiosa, è dunque rigorosamente identica a quella dell’indifferentismo religioso dei poteri pubblici.


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Nuove obiezioni speciose

19. Padre de Blignières e Padre De Araujo ci obiettano anche, con il n° 34 dell’Enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II, il n° 55 dell’Enciclica Caritas in veritate, in cui Benedetto XVI afferma al pari dei suoi predecessori: «La libertà religiosa non vuol dire indifferenza religiosa ed essa non implica che tutte le religioni siano equivalenti. Si rende necessario un discernimento sul contributo che possono dare le culture e le religioni in vista dell’edificazione della comunità sociale nel rispetto del bene comune, in particolare da parte di coloro che esercitano il potere politico. Un tale discernimento dovrà basarsi sui criteri della carità e della verità».

Ancora una volta, di quale indifferentismo si tratta?
Giovani Paolo II e Benedetto XVI condannano l’indifferentismo religioso della coscienza individuale, ma ammettono anche, in dipendenza di Dignitatis humanae, l’indifferentismo religioso dei poteri pubblici.

20. L’affermazione di Benedetto XVI del 2009 acquista tutto il suo significato alla luce di ciò che il Papa spiega tre anni dopo nell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente, citata prima. Dichiarando che è necessario «passare dalla tolleranza alla libertà religiosa», il Papa precisa: «Questo passaggio non è una porta aperta al relativismo, come affermano certuni» (16).

Il relativismo consisterà qui nell’accordare lo stesso diritto alla verità e all’errore, nella coscienza individuale, cosa che certo negano sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI nelle due Encicliche citate prima.
Il concilio Vaticano II pretende di evitarlo per il fatto che il diritto alla libertà religiosa è propriamente un diritto alla libertà: non alla verità né all’errore, ma alla libertà. E la libertà in questione è quella di cui gode la persona umana, nei confronti dei poteri pubblici, quando agisce nel foro esterno della società in materia religiosa, quale che sia la religione che professa. Con il che, secondo le parole di Papa Benedetto XVI, il passaggio dalla tolleranza al diritto alla libertà «non è una breccia aperta nella credenza, ma una riconsiderazione nel rapporto antropologico con la religione e con Dio» (17).

Con l’aver evitato l’indifferentismo della coscienza individuale, non si è evitato l’indifferentismo dei poteri pubblici.

21. il principio enunciato da Dignitatis humanae non riguarda direttamente la verità o la falsità della credenza; riguarda la persona umana e il modo in cui essa deve esercitare la sua religione per entrare in rapporto con Dio: questo modo deve essere quello dell’uomo, un modo «antropologico» conforme alla dignità della natura umana. Ora, l’uomo agisce in conformità con la sua dignità quando agisce in maniera libera. Quindi, il Vaticano II ha semplicemente voluto erigere a principio questa realtà del modo umano di agire, che è quello della libertà: «La verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, per questo non possiamo imporre la verità agli altri» (18).
E la libertà nel modo in cui l’intende qui il Concilio è la libertà da ogni costrizione da parte dei poteri pubblici, nel quadro dell’agire nel foro esterno della società: libertà che equivale a non essere impediti dalle autorità civili a professare la propria religione, vera o falsa che sia.
Benedetto XVI l’aveva già detto in occasione del suo viaggio del 2008 nei paesi arabi: «Io auspico vivamente che una autentica libertà religiosa sia effettiva dappertutto e che i diritti di ciascuno a praticare liberamente la propria religione, o a cambiarla, non siano ostacolati. Si tratta di un diritto primordiale di ogni essere umano» (19).

22. E’ precisamente questo che è in contraddizione manifesta con l’insegnamento di tutta la Tradizione delle Chiesa, ricapitolata da Pio IX nella Quanta cura.
In contraddizione manifesta anche con la natura profonda dell’uomo, che è un essere fatto per vivere in società e che ha bisogno dell’aiuto dell’autorità per evitare l’errore nella ricerca del vero. Ecco perché l’autorità ha il dovere di reprimere l’espressione pubblica dell’errore, per venire in aiuto all’esercizio della libertà nella ricerca del vero. Poiché, come dice il Papa Leone XIII: «la libertà consiste nel fatto che, con l’aiuto delle leggi civili, noi possiamo più facilmente vivere secondo le prescrizioni della legge eterna» (20).
Ed ecco anche perché non si potrebbe evitare l’indifferentismo delle coscienze individuali senza evitare l’indifferentismo dei poteri pubblici. Questo indifferentismo è stato condannato in questi termini dal Papa Leone XIII: «come a nessuno è lecito trascurare i propri doveri verso Dio – e il più importante di essi è professare la religione nei pensieri e nelle opere, e non quella che ciascuno preferisce, ma quella che Dio ha comandato e che per segni certi e indubitabili ha stabilito essere l’unica vera – allo stesso modo le società non possono, senza sacrilegio, condursi come se Dio non esistesse, o ignorare la religione come fosse una pratica estranea e di nessuna utilità, o accoglierne indifferentemente una a piacere tra le molte» (21).

23. Se si replica che è la persona che agisce liberamente, non la verità o l’errore, noi rispondiamo che da questo non si può dedurre che il diritto alla libertà religiosa non sia un diritto all’errore. Poiché la verità e l’errore non esistono come sostanze separate che come tali sarebbero soggetti di diritti. La verità è lo stato di una intelligenza che si conforma al reale, l’errore quello di una intelligenza che non vi si conforma.
Esistono dunque concretamente non la verità o l’errore, ma coloro che sono nel vero e coloro che sono nell’errore.
Il diritto dell’errante è dunque già di per sé il diritto all’errore, poiché l’errore esiste solo (almeno inizialmente e prima di tutto come prima analogia) nell’intelligenza di colui che erra (22). Così, il Papa Pio IX condanna con molta precisione non il diritto civile all’errore religioso, ma il diritto civile di coloro che violano la verità religiosa: «La migliore condizione della società è quella in cui non si riconosce al potere il compito di reprimere con delle sanzioni legali coloro che violano la religione cattolica, se non quando lo richiede la pace pubblica; la libertà di coscienza e dei culti è un diritto proprio a ciascun uomo; questo diritto deve essere proclamato e garantito dalla legge in ogni società ben organizzata» (23).

24. In definitiva, cosa ci obietta la Fraternità San Vincenzo Ferreri? Ci obietta che, secondo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, la libertà religiosa del Vaticano II non sarebbe la libertà dell’indifferentismo religioso nel senso in cui gli individui e le società non sarebbero tenuti ad abbracciare la vera religione piuttosto che una delle false.
Noi lo concediamo, ma al tempo stesso rispondiamo che questa obiezione non coglie il vero problema posto dalla Dichiarazione Dignitatis humanae e, in più, fraintende il vero significato dell’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
Se non insegna direttamente l’indifferentismo religioso, la Dichiarazione sulla libertà religiosa (nel senso autentico che le danno Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) insegna l’indifferentismo dei poteri pubblici, nel senso in cui questi hanno il dovere di non impedire l’esercizio pubblico delle religioni, della vera come di quelle false, e questo in virtù del diritto della persona umana a non essere impedita ad agire, in privato come in pubblico, secondo la sua coscienza in materia religiosa.
Il n° 2 di Dignitatis humane precisa perfino che: «il diritto a questa esenzione da ogni costrizione persiste anche per coloro che non adempiono l’obbligo di cercare la verità e di aderirvi; il suo esercizio non può essere ostacolato finché resta salvo un giusto ordine pubblico». 


- 6 -
Una vecchia utopia


25. Il migliore – e più triste – omaggio indirizzato dal predecessore di Francesco al dogma massonico della libertà religiosa, e che al tempo stesso è una delle sue migliori spiegazioni, lo si trova nel discorso del 16 aprile 2008 rivolto dal Papa al Presidente degli Stati Uniti in occasione del suo ricevimento alla Casa Bianca.
«Sono felice» - dice Benedetto XVI – di essere ospite di tutti gli Americani. Io vengo come amico e annunciatore del Vangelo, come una persona che rispetta profondamente questa grande società pluralista. […] Nei prossimi giorni, io attendo con gioia di incontrare, non solo la comunità cattolica d’America, ma anche le altre comunità cristiane e le delegazioni delle numerose tradizioni religiose presenti in questo paese. Storicamente, non solo i cattolici, ma tutti i credenti hanno trovato qui la libertà di adorare Dio secondo l’imperativo della loro coscienza, essendo nello stesso tempo accettati come parte di una confederazione nella quale ogni individuo e ogni gruppo può far sentire la propria voce. Mentre la nazione deve oggi affrontare delle questioni politiche ed etiche sempre più complesse, io sono certo che gli Americani potranno trovare nelle loro credenze religiose una fonte preziosa di discernimento e una ispirazione per perseguire un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso nello sforzo di edificare una società più umana e più libera» (24).

26. In virtù di questo pluralismo, nel Medio Oriente come negli Stati Uniti d’America, secondo l’auspicio del Papa e il nuovo orientamento del Vaticano II, «le religioni possono mettersi insieme al servizio del bene comune e contribuire allo sviluppo di ogni persona e alla costruzione della società» (25).
Noi troviamo qui, dopo appena un secolo di intervallo, l’ideale di Marc Sangnier. Ideale falso, in quanto condannato da San Pio X nella lettera Notre Charge apostolique:
«Essi chiedono dunque a tutti quanti vogliono trasformare la società attuale nel senso della democrazia a non respingersi reciprocamente a causa delle convinzioni filosofiche o religiose che possono separarli, ma di camminare mano nella mano, non rinunciando alle loro convinzioni, ma cercando di dare sul terreno delle realtà pratiche la prova dell’eccellenza delle loro convinzioni personali. […] Che cosa produrranno? Che cosa sta per uscire da questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e chimerica, in cui si vedranno luccicare alla rinfusa e in una confusione seducente le parole di libertà, di giustizia, di fraternità e di amore, di uguaglianza e di umana esaltazione, il tutto basato su una dignità umana male intesa. […]  Temiamo che vi sia ancora di peggio. Il risultato di questa promiscuità nel lavoro, il beneficiario di quest’azione sociale cosmopolita, può essere soltanto una democrazia che non sarà né cattolica, né protestante, né ebraica; una religione più universale della Chiesa cattolica, che riunirà tutti gli uomini divenuti finalmente fratelli e compagni, nel “regno di Dio”. “Non si lavora per la Chiesa: si lavora per l’umanità”» (26).

27. Il sogno del Vaticano II e di Benedetto XVI, il sogno della fraternità universale di Francesco, è quello che in cui vorrebbero accomodarsi il Padre de Blignières e il suo discepolo, dandogli le false apparenze di una supposta Regalità sociale di Cristo.
Che cos’è questo in realtà, se non l’utopia già denunciata da San Pio X? Sogno di una «grande società pluralista»; sogno di una «società più umana e più libera»: sarebbe questa tutta l’ambizione di un vero Vicario di Cristo?
Il principio della libertà religiosa, come lo predicano Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, e come vorrebbe difenderlo la Fraternità San Vincenzo Ferreri, equivale strettamente al relativismo condannato da Pio IX, relativismo che prende per pretesto il bene apparente della libertà: esso si chiama liberalismo.
 


NOTE

1 – Benedetto XVI, Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente del 14 settembre 2012, n° 27.
2  – «La liberté religieuse» nei due numeri 79 e 80 di ottobre e dicembre 1988; «Cinq questions sur la liberté religieuse» nel numero 82 di aprile 1989; «Liberté religieuse. Aide-mémoire» nel numero 180 di agosto 2005; «La doctrine sociale de l’Eglise dans la crise doctrinale actuelle», supplemento al numero 134; «Connaissance élémentaire du libéralisme catholique», supplemento al numero 140; e soprattutto l’importante libretto «La liberté religieuse. Trente ans après Vatican II (1965-1995)».
3 – AFS 80 di dicembre 1988, p. 30-31; Supplemento al numero 134 dell’AFS di dicembre 1997, p. 72; libretto «La liberté religieuse trente ans après Vatican II (1965- 1995)» [La libertà religiosa trent’anni dopo il Vaticano II (1965-1995)], p. 66-67.
4 - Sito Salve-regina.com : http://salve-regina.com/index.php?title=La_liberté_religieuse. Noi l’abbiamo consultato martedì 21 maggio 2024. Il sito «Salve Regina» reproduce integralmente lo studio di rnaud de Lassus pubblicato nel supplemento al numero 134 dell’AFS: «La doctrine sociale de l’Église dans la crise doctrinale actuelle» - http://salve-regina.com/index.php?title=La_doctrine_sociale_de_l%27Église_dans_la_crise_
doctrinale_actuelle#.E2.80.A2Un_jugement_du_p.C3.A8re_Joseph_de_sainte_Ma¬rie
5Joseph Ratzinger, Mon Concile Vatican II, Artège 2011, p. 215-216.
6Itinéraires 315 di luglio-agosto 1987, p. 105.
7 - Acta concilii vaticani secundi, vol. IV, t. I, p. 286.
8 - Acta concilii vaticani secundi, vol. IV, t. I, p. 191.
9 - «La libertéreligieuse trente ans après Vatican II (1965-1995)», p. 88-93.
10 - Benedetto XVI, «Discorso all’Unione dei Giuristi Cattolici Italiani del 9 dicembre 2006» in DC n° 2375, pp. 214-215.
11 - Benedetto XVI, Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, n° 25.
12 - Benedetto XVI, Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, n° 26.
13Ibidem.
14 - Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2011.
15 - Benedetto XVI, « Discorso al corpo diplomatico della Repubblica di Turchia », 28 novembre 2006.
16Benedetto XVI, Esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, n° 27.
17 -
Ibidem
18 -
Ibidem
19 - Benedetto XVI, «Discorso ai vescovi latini delle regioni arabe» del 18 gennaio 2008.
20 - Leone XIII, Enciclica Libertas del 20 giugno 1888.
21
Leone XIII, Enciclica Immortale Dei del 1 novembre 1885.
22 - San Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I parte, questione 15, articoli 1 e 3; Questioni disputate De veritate, questione 1, articoli 1 e 12.
23 - Pio IX, Enciclica Quanta cura dell’8 dicembre 1864.
24 - Benedetto XVI, «Discorso al Presidente degli Stati Uniti nel corso della cerimonia di benvenuto alla casa Bianca», del 16 aprile 2008.
25 – Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente, n° 28.
26 - San Pio X, Lettera Notre charge apostolique del 25 agosto 1910.






Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011.




 
giugno 2024
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