La lezione di San Francesco d’Assisi



Articolo pubblicato su  DICI
organo di informazione della raternità San Pio X




In occasione dell’Aïd-El-Fitr, che segna la fine del mese di Ramadan, il Papa Francesco, il 10 luglio 2013, ha firmato personalmente il messaggio che il Vaticano indirizza tutti gli anni ai musulmani, come aveva fatto Giovanni Paolo II nel 1991. Questo messaggio è stato reso pubblico il 2 agosto e Domenica 11 agosto, all’Angelus in piazza San Pietro, il Sommo Pontefice ha ripetuto: «Vorrei rivolgere un saluto ai musulmani del mondo intero, nostri fratelli, che da poco hanno celebrato la conclusione del mese di Ramadan».

Il Papa presenta il suo gesto come una «espressione di stima e di amicizia verso tutti i musulmani, specialmente verso i loro capi religiosi», e chiama cristiani e musulmani a promuovere il «mutuo rispetto attraverso l’educazione».
E a proposito del «mutuo rispetto nei rapporti interreligiosi, specialmente tra cristiani e musulmani» si legge: «siamo chiamati a rispettare la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori».
E il messaggio pontificio aggiunge subito dopo; «Chiaramente, nel manifestare rispetto per la religione degli altri o nel porgere loro gli auguri in occasione di una celebrazione religiosa, cerchiamo semplicemente di condividerne la gioia, senza fare riferimento al contenuto delle loro convinzioni religiose.»

Nonostante quanto qui è affermato, la cosa non è chiara. Essa è perfino del tutto paradossale.
Come «rispettare la religione dell’altro, i suoi insegnamenti, simboli e valori»? Come «condividerne la gioia, senza fare riferimento al contenuto delle loro convinzioni religiose»?
Si tratta forse di un rispetto puramente esteriore, farisaico?
E questo rispetto, com’è percepito da coloro che ricevono una tale «espressione di stima e di amicizia»?

In questo testo è contenuta  una confusione. Il rispetto dovuto alle persone non comporta il rispetto della loro religione quand’essa si oppone alla Verità rivelata dal Dio Trino, come nell’Islam. Come lo zelo del medico per la salute del paziente è pari al suo zelo nel combattere la malattia di cui questi soffre, così l’amore per il peccatore è correlato alla ripugnanza per il peccato da cui lo si vuol salvare.

Nel suo messaggio ai musulmani, il Papa cita il suo Santo patrono, Francesco d’Assisi, che presenta in questi termini: «un santo molto famoso, che ha amato profondamente Dio e ogni essere umano, al punto da essere chiamato “fratello universale”».



Ecco cosa disse al Poverello d’Assisi, nel 1219, il sultano d’Egitto Malik-al-Kâmil:
«Il vostro Signore vi ha insegnato nei suoi Vangeli che non dovete rendere male per male, e anche di abbandonare il mantello… Ma allora i cristiani non dovrebbero invadere i miei stati.»

Il Santo gli rispose così:
«Sembra che non abbiate letto per intero il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, perché vi è anche detto: ‘Se il tuo occhio ti scandalizza, cávalo e géttalo lontano da te…’ Dunque, con questo Egli ha voluto insegnarci che benché un uomo possa esser per noi tanto caro o tanto parente stretto, prezioso come il nostro occhio, se si allontana dalla fede e dall’amore di Nostro Signore, noi dobbiamo separarcene, rifiutarlo e gettarlo lontano da noi. Ecco perché i cristiani hanno avuto ragione di invadere le terre che voi occupate, perché avete offeso il nome di Cristo e avete sottratto al suo culto tutti quelli che avete potuto. Ma se volete conoscere il nostro Creatore e Redentore, confessarlo e rendergli omaggio, i cristiani vi amerebbero come si amano fra loro.» (Racconto del frate che accompagnava San Francesco in quell’occasione, riportato da San Bonaventura).

Qui San Francesco distingue tra il rigetto dell’errore e l’amore per coloro che si augura possa amare, a condizione che riconoscano Cristo.

Don Patrice Laroche, professore al seminario di Zaitzkofen (Germania) e autore di una tesi di dottorato su «L’evangelizzazione dei musulmani in Francia» (Strasburgo, 2001), in occasione di una conferenza tenuta a Parigi l’8 marzo 2006 (in Nouvelles de Chrétienté n. 98, marzo-aprile 2006), diceva:
«Avendo assimilato gli ideali di due secoli di cultura liberale, la Chiesa post-conciliare dà più peso alla parola dell’uomo che alla Parola di Dio, quindi la sua missione non è più la propagazione della fede da cui nasce l’amore, ma il dialogo da cui, secondo i suoi partigiani, dovrebbe scaturire il mutuo rispetto e la fraternità universale. Se essa abbassa la sua missione ad un livello che rimane di questo mondo, merita il rimprovero di essere infedele al suo Signore

E Raimondo Lullo (1232-1315) diceva:
«Quando la Chiesa cessa di essere missionaria, viene ben presto minacciata di indebolimento interno. L’oblio del fervore originario spiega l’ascesa dell’Islam, che ha già amputato la cristianità di metà della sua estensione e dei suoi fedeli».

E Charles de Foucauld, scrivendo a René Bazin nel 1906, diceva:
«Tenete ben a mente che è solo cristianizzando i musulmani che li civilizzerete, e che è civilizzandoli che li integrerete, e che è integrandoli che aggiungerete altri Cipriano e Agostino ai vostri Vincenzo de Paola e Curato d’Ars».

In rottura con la Tradizione, il messaggio ai musulmani del 10 luglio 2013 si inscrive nella linea del concilio Vaticano II, la cui “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, Nostra Aetate (28 novembre 1965), al n° 3 afferma:
«La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.»

Questa dichiarazione conciliare fa riferimento al contenuto delle convinzioni religiose professate dai musulmani. Il che solleva diversi interrogativi:
- in che “cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio”, dal momento che rigettano la Rivelazione fatta agli uomini?
- in che modo adorano il Dio “che ha parlato agli uomini”, dal momento che rigettano la Rivelazione del Figlio di Dio?
- in che modo onorano la “madre vergine” di Colui che non riconoscono come Dio?
- come possono onorare la Madre se disprezzano suo Figlio «il frutto benedetto del suo seno»?

Ma è soprattutto dal paragrafo seguente dello stesso n° 3 che si vede in questo messaggio l’eco della Dichiarazione Nostra Aetate:
«Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.»

Per dimenticare il passato, si devono chiudere gli occhi sul presente? Cioè sul martirio di tanti cristiani in Egitto, in Siria, in Irak, in Nigeria, in Pakistan, in Thailandia, in Indonesia o nelle Filippine? Bisogna aggiungere alla persecuzione sanguinosa di cui essi sono vittime, l’oblio della testimonianza che danno a prezzo della loro vita?

Desideroso di non favorire questo oblio dettato da 50 anni dal dialogo interreligioso, il Capitolo Generale della Fraternità San Pio X, nella sua dichiarazione finale del 14 luglio 2012, ha tenuto a precisare:
«Noi ci uniamo agli altri cristiani perseguitati nei diversi paesi del mondo, che soffrono per la fede cattolica, spesso fino al martirio. Il loro sangue versato in unione con la Vittima dei nostri altari è la prova del rinnovamento della Chiesa in capite et membris, secondo il vecchio adagio «sanguis martyrum semen christianorum».

DICI 20 agosto 2013



agosto 2013

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