La risposta di Don Joseph Ratzinger
(poi Benedetto XVI)

al Prof. Michael Schmaus

e le sue conseguenze


Articolo di Gederson Falcometa




Don Joseph Ratzinger            e          il Prof. Michael Schmaus



Secondo quanto riporta l’ottimo giornale SìSì NoNo nel suo articolo “Ratzinger: un enigma risolto” il giovane Don Joseph Ratzinger (poi Benedetto XVI) ebbe la sua tesi di dottorato rifiutata perché modernista, dal suo esaminatore: il tomista Prof. Michael Schmaus.
La tesi aveva una seconda parte dedicata alla “teologia della storia” di Bonaventura, messa a confronto con quella di Gioacchino da Fiore. Questa seconda parte non ebbe una valutazione negativa, e Ratzinger ricorse all’espediente di presentarla per ottenere il conseguimento del suo dottorato.

Sempre secondo il testo dell’articolo, Läpple racconta “Quando il giovane Joseph discusse la sua tesi, Schmaus gli chiese se “secondo lui la verità della Rivelazione fosse qualcosa di immutabile o di storico-dinamico”. Non rispose Ratzinger, ma il correlatore Söhngen, e i due professori iniziarono a scontrarsi. […] Infine arrivò il Rettore che avvertì che il tempo era scaduto (pp. 54-55) e la tesi fu approvata” (1).

La domanda posta da Schmaus a Ratzinger è molto importante perché ci permette comprendere molto del concilio Vaticano II e del post-concilio.

Nel 2009, come Benedetto XVI, Ratzinger scrisse la prefazione al secondo volume della sua Opera Omnia in cui fece pubblicare per intero la sua tesi di allora, giudicata modernista.
In un passo della sua prefazione, Ratzinger scrisse quella che possiamo considerare indirettamente una risposta alla domanda di allora di Schmaus, dopo 52 anni. In esso si può leggere:  
Se la Rivelazione nella teologia neoscolastica era stata intesa essenzialmente come trasmissione divina di misteri, che restano inaccessibili all’intelletto umano, oggi la Rivelazione viene considerata una manifestazione di Sé da parte di Dio in un’azione storica e la storia della salvezza viene vista come elemento centrale della Rivelazione. Mio compito era quello di cercare di scoprire come Bonaventura avesse inteso la Rivelazione e se per lui esistesse qualcosa di simile all’idea di “storia della salvezza”».

Indirettamente, egli dice che la Rivelazione non è immutabile, ma un processo storico-dinamico, e questa è una risposta modernista. Almeno a quel tempo, la risposta sarebbe stata accolta così, ed è per questo che allora Ratzinger non rispose.
Possiamo quindi dire che Ratzinger rimase un neo-modernista fino alla fine della sua vita.

Il modernismo era solo un prodotto della teologia neo-scolastica, niente di più.
Oltre ad essere chiaramente modernista, la risposta si richiama al concetto di “storia della salvezza”, come lo concepiva il protestante Oscar Cullmann, come si può leggere nella suddetta prefazione:
«Per quanto riguarda il contenuto, ho dovuto affrontare la seconda importante questione di cui si occupa la teologia fondamentale, ovvero il tema della Rivelazione. A quel tempo, in particolare a motivo della celebre opera di Oscar Cullmann “Christus und die Zeit [Cristo e il tempo]” (Zürich, 1946), il tema della storia della salvezza, specialmente il suo rapporto con la metafisica, era diventato il punto focale dell’interesse teologico.”».

Secondo le parole di Ratzinger, dalla sua tesi di dottorato in poi, la Rivelazione cessa di essere immutabile e il punto focale della teologia cattolica diventa la nozione protestante/modernista della storia della salvezza.
Questo ricorda in parte l’accusa di Mons. Antonio Livi che la teologia di Ratzinger è una teologia protestantizzata (2). Si tratta della confessione della fine del rinnovamento neotomista promosso a partire dalla Aeterni Patris di Leone XIII, passando per la Pascendi Dominici Grecis, la Doctoris Angelici, le XXIV tesi tomiste di San Pio X, il discorso di Benedetto XV all’Accademia Romana di San Tommaso, la Humani Generis di Pio XII, e della sua sostituzione col neo-modernismo della Nouvelle Theologiae.
Per inciso, questo stesso magistero ha condannato la filosofia moderna.

Ricordo anche l’ottimo articolo di Disputationes Theologicae intitolato: “La tesi di Ócariz contraddetta anche dalla tesi di Ratzinger”.
Detto in breve, in quella occasione Mons. Ócariz difendeva la tesi della inesistenza di un magistero provvisorio, mentre il cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, difendeva l’esistenza di tale magistero provvisorio e come esempio citava proprio le dichiarazioni papali contro la libertà religiosa e le decisioni antimoderniste dell’inizio del secolo scorso, come si può leggere nel testo di Disputationes:

«Il Cardinale Ratzinger: “ [l’Istruzione Donum Veritatis] afferma – forse per la prima volta con questa chiarezza – che ci sono delle decisioni del magistero che non possono essere un’ultima parola sulla materia in quanto tale, ma sono, in un ancoraggio sostanziale nel problema, innanzitutto anche un’espressione di prudenza pastorale, una specie di disposizione provvisoria. Il loro nocciolo resta valido, ma i singoli particolari, sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche. Al riguardo si può pensare sia alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, come anche alle decisioni antimoderniste dell’inizio del secolo» (L’Osservatore Romano, 27 giugno 1990, p. 6)».

Guareschi parlava di Italia provvisoria, mi chiedo se i cambiamenti apportati dal Concilio non abbiano introdotto anche una Chiesa provvisoria.
Tornando all’articolo, esso mostra chiaramente che la tesi di Ócariz è di fatto contraddetta dalla tesi di Ratzinger. Per altro verso, nella considerazione di Ratzinger abbiamo lo stesso principio di Ócariz, secondo il quale “il Concilio deve essere letto alla luce della tradizione e la tradizione alla luce del Concilio”. Perché il magistero antiliberale/antimodernista è stato reinterpretato e le sue dichiarazioni e decisioni non hanno più alcuna validità (è diventato come quello del Vaticano II?).
Pio XII, nella Humani generis ha insegnato che il metodo che pretende di spiegare il chiaro con lo scuro è palesemente falso.
Concretamente, ciò significa che è palesemente falso il metodo che pretende di spiegare con la regola remota gli atti della regola prossima della fede.
Avrebbe dovuto essere il Concilio a spiegare alla luce della tradizione i temi che ha trattato, e non il contrario.
Aggiungere che anche la tradizione deve essere letta alla luce del Concilio, solleva la stessa domanda posta da Schmaus a Ratzinger: la Rivelazione è qualcosa di immutabile o di storico-dinamico?

Nella sua teologia personale, Ratzinger, contro il Decreto Lamentabili, afferma che la Rivelazione non è conclusa con la morte dell’ultimo Apostolo, essa continua nella storia.
Nella sua teologia personale, come dottore privato, il suo concetto può essere inteso come: “La Tradizione non comporta la trasmissione orale di conoscenze rivelate, che non ci sono nella Bibbia, come ritiene invece la tesi delle due fonti, perché in questo caso la fede cristiana sarebbe venata di gnosticismo caratteristico delle tradizioni ereticali. La Tradizione viene intesa non come “trasmissione meccanica” ma come “processo dinamico”, essa non è una fonte esterna rispetto alla Scrittura, ma è nella Sacra Scrittura stessa sulla base del potere di interpretazione trasmesso alla Chiesa (p. 37).
Ecco emergere l’ermeneutica, per cui la Scrittura rimanda a quanto è avvenuto una volta nella Storia ed è valido sempre (aspetto ontologico), mentre la Tradizione incarna il presente vivo della fede (aspetto gnoseologico). In questo modo la Rivelazione non è solo del passato ma anche del futuro” (3).
Tuttavia, tale concezione della tradizione, la tesi dell’unica fonte della Rivelazione, è stata quella che ha ribaltato lo schema delle due fonti della Rivelazione che risale ai concilii Tridentino e Vaticano II, come è vista anche da Mons. Gherardini nella stessa Dei Verbum (4). Questa concezione della tradizione come interpretazione, finisce col produrre quella falsa concezione del magistero di cui parlava Padre Giuseppe Filograssi, SJ:

«… Altro giudizio si deve portare di quell’opinione, che identifica la tradizione col magistero della Chiesa, ma soltanto con l’attuale e, per giunta, indipendentemente dalla trasmissione della Rivelazione nelle età trascorse.
I documenti del passato non gioverebbero a darci la dimostrazione positiva che la verità oggi annunziata dalla Chiesa risponde a quella che già prima si era costantemente predicata. I documenti attesterebbero soltanto i vari stadi per cui quella verità è passata, nel processo evolutivo di età in età. Questo modo di vedere si allontana dalla dottrina cattolica, la quale riconosce una linea continua di movimento in progresso dagli Apostoli sino a noi, e i documenti del passato giudica connessi con la presente fede della Chiesa, come sue manifestazioni, più o meno chiare, più o meno espresse» (5).

Il grave problema a partire dal concilio Vaticano II è proprio l’identificazione della tradizione solo col magistero presente. Questo riflette chiaramente l’applicazione di ciò che diceva Padre Garrigou Lagrande, OP, sulla Nouvelle Theologie, quando, citando Padre Boulliard, disse “una teologia che non fosse attuale sarebbe una teologia falsa” (6).

Oggi, non si arriva ad affermare che il magistero anteriore fosse falso, ma, come abbiamo visto all’inizio, che le dichiarazioni papali contro la libertà religiosa e le condanne antimoderniste erano valide solo al loro tempo.
Se applichiamo questo principio a tutto il passato della Chiesa, cosa rimane?
Questo è un fatto inedito nella storia della Chiesa, perché tutto ciò che è stato insegnato prima sarà valido oggi solo se interpretato dal magistero attuale. Per questo motivo durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI si è parlato di giornate di purificazione della memoria e di diverse richieste di perdono. Benedetto XVI, per esempio, si è sempre attenuto all’oggi della Chiesa, come se essa non avesse un passato.

E’ proprio questo problema del concetto di Tradizione che è alla base delle discordie sulla Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Un concetto protestante di tradizione non può vedere le leggi naturali presenti nella Rivelazione, e molto meno nella creazione. Tanto che in quella occasione il teologo protestante Karl Barth scrisse a Paolo VI:
«“Il punto che in questa discussione mi turba è il problema teologico fondamentale della “legge naturale”, che nell’enciclica è adottato in modo pieno di conseguenze - o piuttosto, il suo valore come seconda fonte di rivelazione - dalla parte dei critici del suo testo, la “coscienza” della singola persona o del singolo cristiano, a cui viene attribuita una funzione corrispondente.
Nel lungo cammino della mia relazione con la teologia, è diventato impossibile per me, a questo punto, camminare con Tommaso d’Aquino, in quale cammino, insieme a Vostra Santità, si muovono gli amici e i critici dell’enciclica [Humanae Vitae], e, inoltre, molti non anche cattolici. Da questo punto di vista, non posso, da parte mia, considerare l’enciclica come convergente con la bella Costituzione Dei Verbum dell’ultimo Concilio, nella quale non trovo che si parli né di “legge naturale” né di “coscienza” come fonti della Rivelazione”!» [7].

A partire dal nuovo concetto di tradizione, la legge naturale, anch’essa creata, non regge più, essa perde la sua ragione d’essere.
Da semplice laico, per quanto ne so, la morale cattolica si è sempre basata sulla legge naturale come creazione di Dio e parte della Rivelazione. Tuttavia, a partire dai cambiamenti conciliari, la legge naturale è stata considerata solo un’opzione; l’altra sarebbe una teologia morale da creare sulla base della Bibbia, come rivela lo stesso Benedetto XVI:
«Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia. Ricordo ancora come la Facoltà dei Gesuiti di Francoforte preparò un giovane padre molto dotato (Bruno Schüller) per l’elaborazione di una morale completamente fondata sulla Scrittura. La bella dissertazione di padre Schüller mostra il primo passo dell’elaborazione di una morale fondata sulla Scrittura. Padre Schüller venne poi mandato negli Stati Uniti d’America per proseguire gli studi e tornò con la consapevolezza che non era possibile elaborare sistematicamente una morale solo a partire dalla Bibbia» [8].

Come spiegare il fatto che accanto all’opzione giusnaturale (il diritto naturale è diventato una mera opzione) si sia sviluppata una morale interamente basata sulla Bibbia?
Ora, di fatto, a causa del nuovo concetto di Tradizione, la morale basata sulla legge naturale ha perso la sua ragione d’essere. Il fatto che Ratzinger ci dica questo è un’ulteriore rivelazione, perché se, da un lato, il magistero promulgava documenti basati sulla legge naturale e, dall’altro, lavorava a una nuova morale interamente biblica, conferma la reductio ad unum della tradizione e del magistero alla sola scriptura (anche i protestanti non accettano la legge naturale, vedi Karl Barth) e, dall’altro, rivela che sarebbe arrivato il momento in cui la morale giurisprudenziale avrebbe ceduto il passo alla nuova morale creata da don Bruno Schüller. Questo sta accadendo proprio a partire dal pontificato di Francesco. La rivoluzione è avvenuta per gradi, ma ciò che è nascosto viene sempre alla luce.

Come si può vedere, non fu solo la Messa di Paolo VI ad essere fabbricata, ma anche la stessa morale. Che senso ha promuovere una morale mentre dietro le quinte se ne crea un’altra? Questo rappresenta una rottura senza precedenti in tutta la storia della Chiesa.

Un commento a parte meritano le allusioni di Benedetto XVI al maggio del ’68. In verità esse si basano sul “proibito proibire” di Sartre ed era stato preceduto dal “condannato condannare” dello stesso Concilio. Uomini che vi parteciparono, come Yves Congar e Urs Von Balthasar, sono i prototipi  dei rivoluzionari del ’68. Congar si vantava di urinare sulla pareti del Sat’Uffizio, paragonandolo alla Gestapo (9). Dal canto suo, Urs Von Balthasar rispose all’Enciclica Humani Generis col suo libro Abbattere i bastioni (10).
Il “condannato condannare” del Concilio seguì esattamente il “proibito proibire” del maggio ’68 (11).

Infine, un ricordo lontano è che a un certo punto del suo pontificato, Benedetto XVI ha detto qualcosa sul fatto che la Chiesa non ha rinunciato alla condanna degli errori. Questo ha ispirato gli intellettuali polacchi a chiedere il ritorno della Chiesa infallibile.
Ma come può la Chiesa non aver rinunciato alla condanna degli errori, se il modernismo che ieri era un errore oggi non lo è e costituisce la dottrina stessa del Papa?
Da questa concezione emerge l’idea di un modernismo/neomodernismo buono e accettabile, che rende fallibile la stessa condanna di San Pio X della sintesi di tutte le eresie.


NOTE


1 – Trascrivo integralmente il passo del testo “Ratzinger: un enigma risolto”.
L’enigma Ratzinger finalmente risolto: “conciliare l’inconciliabile”, SìSì NoNo, nel quale è trattata la sua tesi di dottorato:
A pagina 50 Valente affronta la discussione della Tesi di laurea di Ratzinger e intitola il paragrafo “Una Tesi modernista”. Infatti Ratzinger aveva scritto in essa che “la Rivelazione [doveva essere] percepita come storia della salvezza e non secondo l’impostazione neoscolastica, che concepiva la Rivelazione come l’insieme oggettivizzato dei contenuti di verità […]. Ratzinger si spingeva anche oltre, fino a suggerire che tale concezione della Rivelazione […], implicava necessariamente la presenza di un soggetto ricevente, senza il quale non potrebbe avvenire alcuna trasmissione di verità rivelate” (p. 51). È la stessa teoria soggettivista ed evoluzionista della Verità rivelata, esposta sopra, che Ratzinger presenta nel 1956 alla Tesi di laurea. Ma se il relatore era l’idealista Söhngen, il correlatore della Tesi era il tomista Michael Schmaus, il quale “disse a Söhngen: ‘guarda che questo lavoro è modernista, non posso farlo passare’. In certi passaggi della Tesi, Schmaus vedeva un pericoloso soggettivismo che metteva in crisi l’oggettività della Rivelazione” (p. 52). La Tesi non fu bocciata totalmente, come aveva chiesto Schmaus, e, grazie all’ intervento di Söhngen venne restituita al candidato con l’ordine di sottoporla a revisione radicale. “Per risolvere l’impasse e aggirare l’ostacolo Ratzinger ricorse a un escamotage. Si è accorto che la parte finale della Tesi […], è passata quasi indenne sotto la furia censoria di Schmaus. Tale sezione […] costituiva un’unità tematica a sé stante e poteva anche essere letta come testo in sé compiuto” (p. 53) e quella sola parte fu ripresentata da Ratzinger nel 1957. Quando discusse la sua Tesi, il giovane Joseph, come racconta Läpple, fu interrogato da Schmaus il quale gli chiese “se secondo lui la verità della Rivelazione era qualcosa di immutabile o qualcosa di storicodinamico. Ma non rispose Ratzinger. Prese la parola Söhngen, e i due professori iniziarono a scontrarsi. […] Alla fine arrivò il rettore a dire che il tempo era scaduto” (pp. 54-55) e la Tesi fu approvata.
Oltre la gravità del fatto (modernismo recidivo e pertinace del giovane Ratzinger) occorre tener presente la sua astuzia, che ritroveremo durante il Vaticano II, come vedremo oltre, onde non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: Ratzinger non è un ingenuo, tutt’altro; è molto furbo sotto apparente ingenuità (cfr. l’ossimoro di Pera) e nei colloqui con lui non bisogna mai dimenticarsene, altrimenti si resta scottati.
È altresì importante notare che nel cuore della sua Tesi, oltre all’errore modernista, il Nostro riproponeva anche quello gioachimita o millenarista. Il Valente scrive: “Ratzinger in quella sezione finale della sua Tesi aveva dimostrato che San Bonaventura […], non aveva rifiutato in blocco le speculazioni visionarie dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore […]. Al regno del Padre (Antico Testamento) e a quello del Figlio (il tempo della Chiesa, inaugurato con la venuta di Gesù) sarebbe seguito l’avvento del regno dello Spirito: un tempo nuovo, annunciato dall’arrivo dell’alter Christus […], connotato dal superamento della Chiesa come strumento sacramentale e ministeriale stabilito da Cristo, nonché dall’ingresso in una condizione carismatica di accesso immediato alla grazia […], una trasformazione della Chiesa che avvenga nella storia” (pp. 53- 54) e non dopo la fine del mondo, quando la Chiesa “purgante e militante” diverrà “trionfante”.
Onde quando oggi Ratzinger parla di “ermeneutica della continuità” tra Vaticano II e Tradizione della Chiesa, è credibile solo in un’ottica gioachimita, che risale almeno al 1956, e mai in uno sguardo conforme all’ insegnamento comune del magistero tradizionale della Chiesa, che ha condannato, se non Gioacchino in sé, il gioachimismo e la terza èra come Nuovissima Alleanza”.

2 - Francesco, l’eresia al potere e la persecuzione nella Chiesa, intervista di Mons. Antonio Livi - http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2508_Mons_Livi_intervista_2.5.2018.html

3 - Rivelazione ed ermeneutica in Ratzinger, spiegate da Gagliardi, Stefano Fontana - https://lanuovabq.it/it/rivelazione-ed-ermeneutica-in-ratzinger-spiegate-da-gagliardi

4 - “Mons. Gherardini dimostra che la Dei Verbum accantona la dottrina definita dal Tridentino e dal Vaticano I sulle “due Fonti” della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), per far confluire Tradizione e Magistero nella Scrittura. Infatti, soprattutto nel punto 10 « il precedente Magistero è spazzato via all’insegna d’una radicale tanto quanto insostenibile unificazione. Unificati sono i concetti di Scrittura, Tradizione e Magistero. […]. La “reductio ad unum” della Dei Verbum, pertanto, corregge se non proprio cancella letteralmente il dettato del Tridentino e del Vaticano I».  E ciò perché la Tradizione si sarebbe travasata nella Scrittura, di cui il Magistero non sarebbe che una formulazione ed una comunicazione; e “quindi in ultima analisi una ritrasmissione, secondo la natura della Tradizione stessa”. Eppure fino al Vaticano II la teologia ha sostenuto la teoria nelle “due fonti” (Sacra Scrittura e Tradizione) e ne ha dedotto la distinzione della regula fidei in prossima e remota: il Magistero è la regola prossima della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la regola remota. Infatti è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e ci obbliga a credere ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.”
Fusione delle fonti di rivelazioni con l’assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura, Maria Guarini - https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2012/04/fusione-delle-fonti-della-rivelazione.html

5 - La Tradizione Divino Apostolica e il Magistero Ecclesiastico, P. Giuseppe Filograssi, S.J. - https://pascendidominicigregis.blogspot.com/2024/05/la-civilta-cattolica-la-tradizione.html

6 - ”In un recente libro di Padre Henri Bouillard, Conversion et grâce chez saint Thomas d’Aquin, 1944, p. 219, si legge: “Quando lo spirito evolve, una verità immutabile si mantiene solo grazie a un’evoluzione simultanea e correlativa di tutte le nozioni, che preservi lo stesso rapporto tra di esse. Una teologia non attuale sarebbe una falsa teologia”[1].
Ora, nelle pagine precedenti e in quelle successive sostiene che la teologia di San Tommaso, in molte delle sue parti importanti, non è più attuale. Per esempio, San Tommaso ha concepito la grazia santificante come una forma (principio radicale di operazioni sovrannaturali che hanno come principio  prossimo le virtù infuse e i sette doni): “I concetti utilizzati da San Tommaso non sono altro che concetti  aristotelici applicati alla teologia” (Ibid., p. 213 ss.).
Qual è la conseguenza? “Rinunciando alla Fisica aristotelica, il pensiero moderno ha abbandonato i concetti, gli schemi, le opposizioni dialettiche che avevano senso solamente in funzione di essa” (p. 224). Esso ha dunque abbandonato la nozione di forma.
Come potrà evitare il lettore di concludere che la teologia di San Tommaso non essendo più attuale, sia una falsa teologia?
Per dove va la Nuova Teologia? Ritorna al modernismo. Redazione e “Note di commento” di Paolo Pasqualucci - https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2015/10/reginald-garrigou-lagrange-dove-va-la.html

7 - Karl Barth e as esperanças do Concílio, Marco Roncalli, Avvenire; resta solo la versione portoghese su Unisinos - https://www.ihu.unisinos.br/172-noticias/noticias-2012/508470-karl-barth-e-as-esperancas-do-concilio

8 - La Chiesa e gli scandali di abuso sessuale, Ratzinger - https://www.acistampa.com/story/11148/la-chiesa-e-lo-scandalo-degli-abusi-sessuali-testo-integrale-11148

9 - La testimonianza di P. Congar nel suo diario, secondo P. Pisarra:
“Inquisito, esiliato, perseguitato. Negli anni Cinquanta, il grande teologo Yves Congar fu sottoposto a un’indagine da parte del Sant’Uffizio che ebbe lati di crudeltà inusitata. Punito a più riprese, il padre domenicano obbedì sempre. Ma nel suo diario (pubblicato ora in Francia) si sfoga con insulti e denunce nei confronti di un «sistema poliziesco simile alla Gestapo». Il Sant’Uffizio? «Odio la Gestapo ovunque essa si trovi». Roma? L’idra dalle sette teste, anzi la Bestia dell’Apocalisse contro cui combattere, affinché «le generazioni a venire non ne subiscano il potere».

[…]

Nel 1954, Roma condanna l’esperienza dei preti operai. Il maestro generale dei Domenicani, Emmanuel Suarez, rimuove dal loro incarico i superiori delle tre province francesi (Parigi, Tolosa e Lione), accusati di essere troppo morbidi e di “coprire” i teologi progressisti. Per Congar è il tempo dell’esilio: prima a Gerusalemme e poi a Strasburgo e a Cambridge. «Ciò che mi colpisce di più», scrive nel suo diario, «è il cretinismo, l’inverosimile povertà di intelligenza e di carattere. Il sistema ha fabbricato servitori a sua immagine». Passeranno molti anni prima della totale riabilitazione: anni di solitudine, di deserto, di torture morali.

[…]

Quello che emerge dalle pagine del Journal d’un théologien non è il ritratto di un santo tutto d’un pezzo o di un “santino”, ma di un uomo che sprofonda nella notte del dubbio, che talvolta si lascia vincere dall’angoscia e che arriva perfino – nei momenti più bui – a meditare il suicidio. «Sono stritolato, distrutto, fottuto, scomunicato da tutto», scrive in preda alla disperazione. «Devo fare i conti con un sistema spietato, un sistema che non può correggersi e neppure riconoscere le sue ingiustizie e che è servito da uomini disarmanti per bontà e pietà».
P.    Pisarra in Jesus, n.3 marzo 2001


10 - “Il fatto è che come disse Hans Urs von Balthasar già nel 1952 … essa [la Chiesa] deve abbandonare molte delle cose che le hanno fin qui dato sicurezza e che ha considerato come date per scontato. Essa deve abbattere gli antichi bastioni ed affidarsi solamente allo scudo della fede”.
Cardinale Ratzinger, Principles of Catholic Theology, 1987, p. 391.

11 - Nel suo testo: La Chiesa e gli scandali di abuso sessuale, Ratzinger cerca di mostrare una certa influenza del maggio ’68 nella Chiesa. Tuttavia, fu proprio il concilio Vaticano II ad influenzare il maggio ’68. Una condanna è una proibizione, come si condanna il condannare, così si proibisce il proibire.
Vale la pena leggere il testo di Mons. Lefebvre: Il Vaticano II è il 1789 nella Chiesa, sulla confessione del cardinale Suenens; nel testo si possono leggere altre confessioni, come quella di Padre Congar: “La Chiesa ha fatto pacificamente la sua rivoluzione di ottobre”, allusione all’ottobre rosso sovietico. Congar fu creato cardinale da Giovanni Paolo II, al pari di Urs Von Balthasar e De Lubac.
I rivoluzionari furono premiati con la berretta!
D’altra parte, quando Mons. Lefebvre inviò i dossier dei suoi candidati all’episcopato per la Fraternità San Pio X, i loro profili non furono approvati da Giovanni Paolo II.
Giovanni Paolo II respinse i profili provenienti dalla tradizione antimodernista, invece accettò i profili come quello di Jorge Mario Bergoglio, consacrato vescovo nel 1992, non solo per l’episcopato, ma anche per il Collegio  dei Cardinali!

 Gli slogan “condannato condannare” è “proibito proibire” sono sinonimi. Per esempio, la condanna dell’ermeneutica della rottura significherebbe per noi cattolici la sua proibizione nella Chiesa.
I Padri arrivarono a chiedere la condanna del comunismo nel Concilio, ma in tal modo, come avrebbero potuto parteciparvi quei Padri come Lebret (che partecipò alla stesura di Gaudium et Spes)? O come Hélder Câmara (che Paolo VI chiamava affettuosamente “il mio arcivescovo rosso (comunista) e altri alti prelati?
L’auspicato dialogo non poteva partire da una condanna, non poteva partire dalla verità, visto che la finalità del dialogo è giustamente giungere alla verità – o perlomeno così dovrebbe essere.
L’assenza delle condanne ha portato al pluralismo religioso: così oggi abbiamo i catto-comunisti, i catto-liberali, i catto-protestanti, i catto-giudei e così via.

Un caso degno di nota (e rivelatore) in cui vediamo questo problema in tutta la sua drammaticità, è la baruffa che coinvolse la Pontificia Università Lateranense (Mons. Antonio Romeo, Mons. Spadafora e il Cardinale Parente…) e la Pontifica Università Gregoriana (Cardinale Bea, Padre Alonso Schökel, Padre Zerwick e Padre Lyonnet), che portò alla trasformazione del Sant’Uffizio in Congregazione per la Dottrina della Fede.
E’ una cosa vecchia, attingo alla mia memoria, ma in breve la controversia iniziò con l’esegesi della Lettera Divino Afflante Spiritu, in cui Padre Alonso Schökel sostenne un’esegesi modernista della Lettera, che fu rifiutata da Mons. Antonio Romeo.
Per altro verso, Padre Zerwick sostenne una falsa esegesi di Romani 5, 12 che negava il peccato originale, mentre Padre Zerwick negava il primato petrino (Matteo 13, 19).
Nel 1961, il Sant’Uffizio intervenne con un Monitum, impose il silenzio alle due parti e rivendicò a sé la soluzione del problema. Questa giunse in forma di punizione. Alcuni dei Padri (Lyonnet e Zerwick) perdettero la cattedra di insegnamento a Roma.
La soluzione durò molto poco, perché appena Paolo VI assunse il pontificato, annullò la punizione e i Padri riottennero le loro cattedre di insegnamento.
Poi arrivò la riforma del Sant’Uffizio, che da tribunale della fede fu trasformato in un ufficio di ricerche teologiche (come disse un Cardinale a Mons. Lefebvre).
Così si concesse ai teologi e agli esegeti un libero esame delle fonti della Rivelazione e degli stessi documenti magisteriali, o, se si preferisce, la libertà per una ermeneutica della riforma nella continuità e per una ermeneutica della rottura.
Va detto per inciso che questo caso rivela che ciò era impossibile con il lavoro del Sant’Uffizio. L’esistenza di due ermeneutiche per la Lettera Divino Afflante Spiritu (Potremmo anche parlare di furto, in analogia con la tesi di Benedetto XVI del Concilio rubato dai media?) è stata possibile grazie all’omissione di Paolo VI e al suo stesso desiderio.
Ricordiamo anche la sua doppiezza, come abbiamo visto prima in relazione alla Humanae Vitae: un documento basato sulla legge naturale, mentre allo stesso tempo si sosteneva la creazione di una morale interamente basata sulla Bibbia!
O in relazione alla Messa in lingua volgare, dove contraddice esplicitamente il documento sulla liturgia, la Sacrosanctum Concilium, che solo permette l’uso del volgare e non la fine del latino, come fece lui!

Le conseguenze della libertà di Padre Stanislas Lyonnet, S.J. e di Padre Massimiliano Zerwick, S.J. si sono fatte sentire nel periodo successivo alla baruffa, conciliare e postconciliare.
P. Lyonnet è stato docente e relatore della tesi di dottorato, nientemeno che del cardinale Carlo Maria Martini, S.J.
E ciò che Padre Zerwick sosteneva già negli anni ‘60 appare ora ufficialmente nel recente documento “Il Vescovo di Roma, servitore dell’unità” della Commissione Teologica Internazionale.

A questo punto si può considerare che la serie di articoli di Mons. Spadafora pubblicati da SìSì NoNo rimangono attualissimi.
Chi volesse leggerli può trovarli ai seguenti indirizzi:

Un caso emblematico:

Un caso emblemático: il trionfo del modernismo nell’esegesi cattolica, Francesco Spadafora - Anno XX, Numeri dal 4 al 20

https://www.sisinono.org/anno-1994.html


La baruffa tra la Lateranense e la Gregoriana:


Un caso emblematico: il trionfo del modernismo nell’esegesi cattolica: La Compagnia di Gesù nel Pontifício Istituto Biblico ha tradito la Chiesa, Francesco Spadafora, Anno XX, N. 06 https://www.sisinono.org/anno-1994.html?download=442:anno-xx-n-6

Un caso emblematico: il trionfo del modernismo nell’esegesi cattolica: l’infausto decennio 1950-1960, Francesco Spadafora, Anno XX, N. 08
https://www.sisinono.org/anno-1994.html?download=444:anno-xx-n-8

Un caso emblemático: il trionfo del modernismo nell’esegesi cattolica: la Diarchia, Francesco Spadafora, Anno XX, N. 10
https://www.sisinono.org/anno-1994.html?download=446:anno-xx-n-10

Un caso emblemático: il trionfo del modernismo nell’esegesi cattolica: la Diarchia, Francesco Spadafora, Anno XX, N. 11
https://www.sisinono.org/anno-1994.html?download=447:anno-xx-n-11

Recordiamo E. Gilson, citato da Don Curzio Nitoglia nell’articolo “Consegne ai militanti”:

«Se Dio non esiste, tutto è permesso. Nulla è più proibito, non c’è più limite, non c’è nulla che non si possa tentare, che non si debba tentare perché se tutto ciò che è stato vero un tempo lo è stato partendo dall’ipotesi che Dio esisteva, ora che Dio non esiste, nulla di ciò che era vero allora è adesso vero, nulla di ciò che era bene è bene; dobbiamo ricreare tutto. Ma, prima di ricreare, bisogna cominciare col distruggere […], il migliore augurio che si possa fare all’uomo moderno è di rientrare nell’ordine naturale che è quello della creazione divina»
(E. GILSON)









 
Giugno 2024
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