4 luglio 2024
 
Il Dicastero per la Dottrina della Fede
 
sancisce la scomunica latae sententiae

di Mons. Carlo Maria Viganò


Articolo di Giovanni Servodio






Dopo l’annosa vicenda che ha visto Mons. Carlo Maria Viganò, arcivescovo di Ulpiana, porsi pubblicamente in posizione critica nei confronti delle autorità vaticane e in particolare nei confronti del Papa regnante Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha sancito la scomunica latae sententiae per scisma di Mons. Carlo Maria Viganò.

La condanna pone l’arcivescovo fuori dalla comunione ecclesiale e comporta la sua sospensione da tutti gli atti inerenti la sua legittima funzione di vescovo della Chiesa cattolica, compresa la ricezione dei sacramenti.

Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha formalizzato ciò che Mons. Viganò ha compiuto con parole ed azioni, quindi la scomunica, più che una condanna è una semplice presa d’atto.
Secondo Mons. Viganò, si tratta di una condanna illegittima e infondata, perché egli non ha mai inteso separarsi dalla Chiesa, ma solo da quegli uomini di Chiesa che la dirigono in maniera contraria alla dottrina cattolica, Papa compreso. Pertanto Mons. Viganò, come ha più volte dichiarato, si considera non scomunicato e sempre in possesso delle facoltà che gli vengono dalla sua consacrazione episcopale.

La cosa curiosa nella motivazione della sentenza di condanna è che a Mons. Viganò si addebita la colpa di non riconoscere il concilio Vaticano II, cosa che è del tutto inesatta e che potrebbe comportare l’invalidità della sentenza stessa, secondo l’esame di canonisti esperti.
In realtà, Mons. Viganò ha sempre riconosciuto il Vaticano II al punto da criticarlo nelle sue dichiarazioni e negli atti che esso ha compiuto, nonché negli atti che ne sono derivati.
Il concilio Vaticano II è un fatto incontrovertibile, al pari delle sue dichiarazioni e dei suoi atti, diretti e indiretti, come è parimenti incontrovertibile il fatto che i suoi insegnamenti e i suoi atti si discostano pesantemente dagli insegnamenti del Magistero bimillenario della Chiesa.
Non si tratta di un giudizio soggettivo, ma di una valutazione oggettiva espressa da migliaia di cattolici, chierici e laici, da ormai sessant’anni.
Se la gerarchia attuale non concorda non questa valutazione oggettiva è perché condivide gli insegnamenti e gli atti del Vaticano II contrari a tutto il Magistero preconciliare.
Questo ulteriore fatto pone la gerarchia attuale e quella immediatamente successiva al Concilio in una posizione tale da poter essere considerate fuori dalla comunione ecclesiale, intendendo per comunione ecclesiale quella che è esistita dalla nascita della Chiesa fino alla celebrazione del Vaticano II.

Queste considerazioni implicano la valutazione di un altro elemento che costituisce un altro dei capi d’accusa contro Mons. Viganò: il riconoscimento del Papa regnante come tale.
Papa Francesco è il Papa regnante da 11 anni e il suo essere Papa è un fatto pacificamente accettato da tutti i cardinali, da tutti i vescovi e da tutti i fedeli, quindi da tutta la Chiesa. Così che non si può non riconoscere che il Papa esiste ed è Jorge Mario Bergoglio, col nome di Francesco. Tuttavia, tale riconoscimento non implica e non può implicare che non si possa procedere alla valutazione delle sue dichiarazioni, ufficiali e ufficiose, e dei suoi atti, diretti e indiretti.
Tale valutazione non può costituire un giudizio sulla conduzione del suo pontificato, ma costituisce una presa d’atto della portata di questo pontificato alla luce dell’insegnamento bimillenario della Chiesa.  Presa d’atto che pone al cospetto di tutti i fedeli, chierici e laici, la profonda cesura tra i papati precedenti e l’attuale; cesura che è incominciata a delinearsi a partire dal Vaticano II e da Papa Giovanni XXIII e che oggi ha assunto le dimensioni di una voragine.

Tutto questo pone in evidenza il dovere di ogni cattolico di valutare se si trova ancora in una Chiesa cattolica o se ha avuto la sventura di trovarsi a vivere in una Chiesa non più cattolica, nonostante essa continui a mantenere la stessa denominazione.
Tale valutazione porta a considerare che il concilio Vaticano II è stato uno spartiacque che ha comportato l’esistenza di due chiese diverse: la Chiesa preconciliare, Cattolica, Apostolica, Romana, e la Chiesa conciliare e postconciliare, rimasta solo Romana senza più le note di Cattolica e Apostolica.
E un’altra Chiesa, quella postconciliare e attuale, deve necessariamente avere un altro Papa, un Papa che la rappresenti e che la diriga in rottura con la Chiesa Cattolica e Apostolica, e questo Papa è oggi Francesco/Bergoglio, più Bergoglio che Francesco: più un uomo qualunque che un Papa.

Valutare gli insegnamenti e gli atti di Francesco, quindi, è un dovere morale ineludibile per ogni cattolico e dovrebbe essere un ineludibile dovere morale e istituzionale per tutti cardinali e i vescovi attuali. Non si può venire meno a questo dovere con la scusante che il Papa non può essere giudicato da nessuno, solo da Cristo, perché ogni cattolico, sulla base del suo senso della fede, ha il dovere di accertarsi che non ubbidisca agli uomini piuttosto che a Dio. Diversamente cadrebbe nell’errore imperdonabile di servire il mondo e il proprio tornaconto per amore del quieto vivere. Sempre che si tratti di un quieto vivere dopo aver sperimentato di vivere in un contesto ecclesiale che ha perso la nota di cattolico.

Tornando a Mons. Viganò, egli non può essere considerato uno scismatico per avere adempiuto il suo dovere di opporsi alla deriva della gerarchia attuale e alle deviazioni di Papa Francesco. La sua attuale scomunica è del tutto coerente col fatto che ha inteso separarsi dai capi attuali della Chiesa, i quali sono di fatto fuori dalla comunione con la Chiesa cattolica come essa è stata dall’inizio fino al Vaticano II.
L’attuale Dicastero per la Dottrina della Fede ha compiuto il suo dovere d’ufficio, oltre ad avere obbedito a Papa Francesco, ma tale dovere e tale ubbidienza non tolgono alcunché alla consacrazione episcopale di Mons. Viganò e alla sua facoltà di agire come vescovo della Chiesa cattolica sia in campo pastorale sia nei campi liturgico e dottrinale.
Così che si può dire che la scomunica in questione è come mai avvenuta e agli occhi dei fedeli, chierici e laici, sancisce che il non essere in comunione con la Roma attuale conferma che quest’ultima è incompatibile col cattolicesimo come il diavolo con l’acqua santa.

Non affermiamo che la Chiesa attuale non è la vera Chiesa, il che sarebbe assurdo, ma sosteniamo che gli attuali uomini di Chiesa che sono a capo di essa hanno rinunciato alla vera fede, perdendo così ogni giurisdizione e ogni diritto di essere seguiti.
A ognuno il suo: agli attuali uomini di Chiesa il diritto di vivere una condizione non cattolica, sulla base del loro allontanamento degli insegnamenti cattolici; ai fedeli, chierici e laici, il diritto/dovere di gridare nel mondo intero quali sono i capisaldi immutabili della Chiesa cattolica, come sono stati tramandati fin dal tempo degli Apostoli.
Tutto il resto è aria fritta e perdita di tempo, che è meglio trascorrere nella preghiera assidua per la personale perseveranza nella fede, e per il ravvedimento degli attuali deviati uomini di Chiesa: preti, vescovi, cardinali e Papa.





 
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