![]() |
![]() |
Collegialità Episcopale – Il rapporto con il Papa ![]() Don Curzio Nitoglia Quanto è importante il problema della Collegialità? E’ importantissimo
dacché è di natura dogmatica riguardante la costituzione
divina della Chiesa e non è una questione disciplinare di
diritto ecclesiastico.
Con la Collegialità si è verificato un attentato allo statutum Domini, attentato che in parte è stato mitigato dalla “nota previa”, ma che ha lasciato l’ambiguità del duplice capo della Chiesa: il Papato e l’Episcopato alla pari quanto al potere giurisdizionale/magisteriale e con un certo primato solo di titolo, nominale e onorifico del Papato (cfr. L. Carli, op. cit., p. 235; Cfr. R. Dulac, La Pensée catholique, 1964, n. 89, pp. 39-48 ). Il problema attuale nella crisi che travaglia l’ambiente ecclesiale, è sapere come Cristo ha voluto e fondato la Chiesa e non quali prospettive siano oggi più utili all’uomo contemporaneo (democratico, pluralista, tollerante per principio e relativista), ma che non quadrano con la volontà di Cristo e contraddicono la definizione del Primato pontificio data dal Vaticano I. La nuova dottrina collegialista è estranea alla Tradizione Apostolica della Chiesa? Certamente. Monsignor Carli
riporta nel suo libro i rapporti tra Papato ed Episcopato alla luce
della Tradizione e della nuova dottrina collegialista, che ha preso
piede “pastoralmente” nel Vaticano II dimostrando come essa da dottrina
estranea alla Tradizione apostolica e al Magistero costante,
tradizionale e dogmatico della Chiesa è diventata dottrina
comunemente insegnata, anche se non dogmatica, a partire dal 1964.
Il Concilio Vaticano I non è stato chiuso, ma si è dovuto fermare dopo un anno di lavori alla sola definizione riguardante il Papato (infallibilità e primato)? Si, lasciando monco il suo
splendido lavoro e, non avendo potuto affrontare la questione
dell’istituzione divina dell’Episcopato con tutte le conseguenze,
può dare l’impressione di una parzialità in cui si studia
la Chiesa solo quanto al Papato. I due dogmi sul Papato
(infallibilità e primato) debbono essere visti come il
fondamento su cui si realizza l’unità della struttura ecclesiale
composta da una gerarchia, in cui il Papato non assorbe e soppianta
l’Episcopato, ma lo solidifica e ne è il fondamento. La dottrina
tradizionale parla, infatti, di un Episcopato monarchico universale o
papale e di un Episcopato subordinato locale o diocesano.
I collegialisti ridimensionano i due dogmi riguardanti il Papato? Si e bisogna fare attenzione
a non farlo; occorre invece armonizzarli con l’istituzione divina
dell’Episcopato subordinato, garantito e reso solido dalla “Roccia” del
Papato ( Cfr. H. Lattanzi, Quid de
Episcoporum “collegialitate” ex Novo Testamento sententiendum sit,
in Divinitas, n. 8, 1964, pp.
89-94).
L’Episcopato è, per volere divino, parte essenziale e necessaria della struttura della Chiesa? I Vescovi sono i successori
degli Apostoli così come i Papi sono i successori di Pietro,
Capo degli Apostoli. Anche i Vescovi, nominati dal Papa e riceventi
direttamente da lui il potere di giurisdizione e da lui (o dietro suo
comando) l’Ordine sacramentale (tramite un altro Vescovo), grazie a
questi due elementi non solo hanno la pienezza del sacerdozio, ma
possono (non debbono necessariamente) partecipare al magistero e al
governo della Chiesa, se il Papa lo desidera, sia riunendoli nel
Concilio ecumenico sia chiamandoli a pronunciarsi con lui sparsi nelle
diocesi di tutto il mondo su questioni di fede e di morale.
La Chiesa di Cristo è universale di diritto divino, ma si concretizza, si attua e si realizza nelle singole diocesi o chiese locali e nei Vescovi che le governano come successori degli Apostoli, altrimenti resterebbe un’astrazione o un’idea di Chiesa virtuale e non una Chiesa visibile, reale, in atto o in concreto, come Cristo l’ha voluta e l’ha fondata. Per fare un esempio, il concetto universale o astratto “uomo” è un ente logico o di ragione, che come tale non esiste nella realtà; invece nella realtà esiste Marco o il soggetto umano concreto e individuale, in cui sussiste la natura umana in genere o il concetto universale di uomo. Così la Chiesa senza un Papa in concreto e senza un Episcopato con Vescovi concreti e reali in carne ed ossa in ogni diocesi, non esiste in realtà, ma solo in mente. Se l’Episcopato in quanto tale è d’istituzione divina, l’organizzazione amministrativa, il numero e l’estensione delle diocesi sono di diritto ecclesiastico. Se un Papa non accetta l’elezione cosa succede? Siccome la Chiesa è
visibile si deve realizzare, concretizzare e vedere nel singolo Papa
eletto in atto, che, avendo accettato l’elezione, diventa Papa
formalmente. Se l’eletto non accetta, resta sino alla rinuncia
definitiva “papa materiale o in potenza, non diventa Papa reale e in
atto, ma non rimane neppure abitualmente “papa materiale”. Egli permane
cardinale (o quel che era prima dell’elezione non accettata) e il
collegio dei cardinali deve passare ad una nuova elezione che dia alla
Chiesa un Papa reale e in atto, poiché essa in quanto
società visibile e non pneumatica non può sussistere su
un “papato materiale e virtuale”.
In breve la Chiesa ha bisogno di avere un Papa reale e in atto, perché è una società visibile e non pneumatica. Ora il Papa reale e concreto rappresenta l’anello concreto e reale (non virtuale e logico), che congiunge la Sede apostolica a Pietro. Quindi è inimmaginabile concepire la Chiesa di Cristo che si fonda per 60 anni su un “papato virtuale, potenziale o materiale” senza passare ad un Papa formale e in atto. Infatti se nel conclave l’eletto non accetta l’elezione, il collegio cardinalizio deve passare necessariamente all’elezione di un nuovo candidato, che accettandola diventa Papa in carne ed ossa, vero e vivo, in atto e fisicamente. Può fare un esempio? Nel 1903 il card. Giuseppe
Sarto fu eletto Papa, ma per due volte rifiutò e solo alla
successiva terza elezione si piegò alla volontà di Dio ed
accettò l’elezione. In tal caso le prime due volte era “Papa
solo materialmente”, ma non sarebbe rimasto tale se il collegio avesse
eletto un altro candidato : il card. Sarto sarebbe rimasto cardinale e
non sarebbe restato in permanenza “Papa materiale”. Invece, avendo
accettato la terza elezione è diventato Papa formale o in atto e
fisicamente.
La Chiesa ha bisogno di un Papa in atto, ma ciò non vuol dire che egli sia sempre e necessariamente un buon Papa, vi sono state epoche della Chiesa (la crisi ariana, il secolo X, lo scisma d’Occidente) in cui per decine di anni si son susseguiti Papi non buoni e non di integra dottrina, che hanno favorito l’errore pur senza cadere in eresia formale. Il vescovo invece rende concreta nella sua particolare diocesi la Cattolicità della Chiesa? Certo, perché la
Chiesa universale è composta da tante diocesi particolari
governate dai loro Vescovi subordinatamente al Papa per diritto divino.
Inoltre il Vescovo introduce e mantiene nella sua diocesi la nota
dell’Apostolicità formale in quanto successore degli Apostoli
subordinatamente al successore di Pietro. La sola Apostolicità
materiale, ossia senza il riconoscimento del primato di giurisdizione
del Papa sulla Chiesa universale, non è una vera nota della
Chiesa di Cristo, ma è propria delle comunità separate da
essa per l’eresia o lo scisma (per esempio, la chiesa detta ortodossa).
In breve il Vescovo rappresenta l’anello concreto e reale (non virtuale
e logico), che congiunge la diocesi o la sua chiesa locale alla Chiesa
apostolica in una catena ininterrotta di Vescovi che discendono da un
Apostolo.
Infine per quanto riguarda
la Santità, il Vescovo la ottiene e la mantiene alla sua diocesi
mediante il sacerdozio locale, il Sacrificio della Messa,
l’amministrazione dei sacramenti, che sono il canale principale della
grazia soprannaturale, fonte di ogni santità.
Quali i poteri del vescovo ? Il Vescovo diocesano ha la
pienezza del sacerdozio, coadiuvato dai sacerdoti e dai diaconi
nell’esercizio del culto divino nella sua diocesi; il potere di
magistero autentico, anche se non infallibile, per insegnare le cose
che riguardano la fede e la morale ai suoi diocesani; una vera
giurisdizione o potere di governare la sua diocesi, ma essa gli
è data direttamente dal Papa e non gli viene direttamente da Dio
ex officio o per il
fatto di essere consacrato Vescovo. Occorre capire che il Papa e la
Chiesa universale non limitano né diminuiscono l’Episcopato e la
chiesa locale o la diocesi, ma le connotano come parti situate nel
tutto. In breve la suprema potestà del Papa fa risaltare
chiaramente il potere episcopale come ricevuto e partecipato da Dio al
singolo Vescovo tramite il Pontefice romano stesso.
Per la teologia tradizionale è pacifico che il potere d’Ordine del Vescovo gli viene da Dio, anche se egli è consacrato dal Papa, in forza del rito sacramentale che gli assicura ex opere operato una valida consacrazione episcopale. Invece i poteri di maestro (magistero) e di governatore (giurisdizione) sulla sua diocesi gli derivano immediatamente dal Papa per istituzione divina. Quindi il Vescovo è subordinato e dipendente dal Papa ( Cfr. D. Staffa, De collegiali Episcopatus ratione, in Divinitas, n. 8, 1964, pp. 37-40 ). Invece il Papa, non appena è legittimamente eletto ed accetta l’elezione, riceve un potere di giurisdizione pieno e supremo per diritto divino (cfr. Pio XII, Allocuzione del 5 ottobre 1957). Il Papa ha una giurisdizione che gli viene direttamente da Dio ed essa è “ordinaria” ossia “ex officio” per il fatto cioè di essere Papa; mentre il Vescovo non ha una giurisdizione “ordinaria” o “ex officio” per il fatto di essere consacrato Vescovo, ma ha una giurisdizione “straordinaria” che gli viene dal Papa il quale lo nomina Vescovo e dopo lo consacra tale. Quale la distinzione reale e mutua tra Ordine e Giurisdizione? Se il potere d’Ordine
è realmente distinto da quello di Giurisdizione, dice pur sempre
una certa relazione ad esso. Per esempio la giurisdizione del Vescovo
tende ( governando ) come il potere dell’Ordine ( santificando ) alla
salvezza del suo gregge e in un certo qual modo continua nel mondo ed
in particolare nella diocesi, la Redenzione universale di Cristo
compiuta soprattutto mediante il Sacrificio del Calvario, di cui quello
della Messa è la riattuazione incruenta. Perciò colui che
viene eletto Papa deve avere non solo l’intenzione di accettare la
giurisdizione universale e somma, ma anche il potere dell’Ordine
episcopale ( e viceversa ) .
Il collegialismo pretende che il Vescovo, in virtù della sola consacrazione episcopale e quindi indipendentemente dalla missione canonica datagli dal Papa, riceverebbe una partecipazione alla giurisdizione universale sull’intera Chiesa cattolica. Ora ciò è incompatibile col fatto che il Vaticano I assegna solo al Papa la “pienezza della suprema potestà di giurisdizione nella Chiesa universale” (DB, 1831). Inoltre i Vescovi non aventi giurisdizione non hanno la successione apostolica formale ( Cfr. D. Staffa, De collegiali Episcopatus ratione, in Divinitas, n. 8, 1964, pp. 37-40; H. Betti, De membris Concilii Oecumenici, in Antonianum, n. 37, 1962, pp. 3-16). Infine Pio XII, per contrastare l’errore collegialista, che già iniziava a serpeggiare in ambiente ecclesiale, in tre Encicliche ha insegnato che il Vescovo riceve la giurisdizione da Dio tramite il Papa (Mystici Corporis, 1943; Ad Synarum gentes, 1954; Ad Apostolorum Principis Sepulchrum, 1958). Si deduce che sia inconcepibile l’equiparazione tra Episcopato e Papato? E’ inconcepibile ammettere
una giurisdizione universale e abituale dei Vescovi alla pari del Papa,
come vorrebbero i collegialisti, secondo i quali ogni Vescovo in forza
della sola consacrazione episcopale ha il diritto di partecipare, per
volontà e istituzione divina, al magistero e alla giurisdizione
universale del Papa. Infatti solo se il Papa vuole può farli
partecipare pro tempore al suo magistero e alla sua giurisdizione
universale sia riunendoli in Concilio ecumenico sia interpellandoli ad
esprimersi con lui sparsi nel mondo ognuno nella propria diocesi.
Il Vescovo diocesano,
nominato canonicamente dal Papa (missio
canonica) e consacrato almeno tre mesi dopo la nomina, entra in
rapporto con la sua diocesi e solo dopo entra in rapporto con la Chiesa
universale unendo la sua diocesi ad essa mediante la subordinazione a
Pietro. Quindi è attraverso la giurisdizione o la nomina
canonica che il Vescovo diocesano entra in contatto con la Chiesa
universale ed è per la comunione del Vescovo col Pontefice
romano che la Chiesa è un solo gregge sotto un solo Sommo
Pastore (DB, 1827). Il singolo Vescovo, che è direttamente in
comunione con il Papa, lo è anche indirettamente coll’intero
corpo dei Vescovi il quale è formalmente tale per la
subordinazione al primato giurisdizionale del Papa.
Quale l’elemento costitutivo formale dell’Apostolicità dell’Episcopato? Come scrive monsignor Carli:
“ Non è la consacrazione episcopale, ma la comunione col Papa
(DB, 1821)” (op. cit., p. 223). La consacrazione valida si ha anche
presso i Vescovi scismatici, che, non avendo la giurisdizione dal Papa
di cui non riconoscono il primato, non sono formalmente successori
degli Apostoli, ossia hanno solo un’Apostolicità materiale e non
formale. Come si perde la formalità dell’Apostolicità
sottraendosi colpevolmente alla comunione con Pietro, così la si
acquista formalmente e la si mantiene in forza della medesima comunione
con la Prima Sede.
Ci sono casi di estrema necessità in cui si può procedere alla consacrazione episcopale senza la concessione di Roma? E’ possibile sottraendosi
non colpevolmente alla comunione con Pietro.
Per esempio nell’URSS alcuni Vescovi rinchiusi nei gulag consacravano altri Vescovi senza poter domandare il placet di Roma, così come nell’attuale situazione di caos spirituale e dogmatico nell’ambiente ecclesiale un Vescovo, che non vuol cedere alle novità modernistiche, può consacrare altri Vescovi, i quali non sarebbero accetti per la loro integrità di dottrina non infetta di neo-modernismo. I vescovi non sono entità isolate, vero ? Non lo sono anche se
dispersi in tutto il mondo ciascuno nella propria diocesi, ma per
volere di Cristo compongono una unità o società morale:
la Chiesa gerarchica, che è il corpo dei Vescovi sotto il Romano
Pontefice, Vicario di Cristo e capo degli Apostoli. Ogni Vescovo
consacrato validamente, se è unito a Pietro riconoscendo il suo
primato di giurisdizione, diventa membro del corpo dei Vescovi, di cui
il Papa è il capo e con lui e sotto di lui governano,
ammaestrano e santificano ognuno la propria diocesi e solo se il Papa
vuole partecipano alla sua giurisdizione universale sia riuniti in
Concilio ecumenico sia sparsi nel mondo, ma esprimendo la propria
opinione su questioni di fede e morale dietro domanda del Papa, che
può volere (non “deve”) avvalersi del loro consiglio soprattutto
se vuol definire ed obbligare a credere, impegnando così
l’infallibilità, ossia ottenendo l’assistenza divina che lo
premunisce dall’errore definito e reso obbligatorio, cosa che Dio non
può permettere.
Ogni Vescovo è successore concreto di un Apostolo come un anello concreto, fisico, reale e non logico o virtuale di una lunga catena fisica e reale, la quale risale ad uno dei Dodici Apostoli, dei quali il Principe è Pietro. Ciò ci rassicura in quanto l’Episcopato formalmente preso succede, in maniera dogmaticamente certa, per consacrazione episcopale e missione canonica all’Apostolo cui Cristo all’origine della Chiesa affidò, con Pietro e sotto Pietro, la sua Chiesa, che sarebbe durata in questo modo “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20). Si capisce così la necessità, per divina istituzione, dell’Episcopato che fonda e giustifica l’Apostolicità perpetua e sempre attuale, ma non materiale, potenziale o virtuale della Chiesa di Cristo. L’Episcopato subordinato al Papato è un qualcosa di assolutamente necessario alla Chiesa di Cristo perché Cristo così l’ha voluta e fondata promettendole assistenza e protezione “tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20), il che presuppone un Episcopato e un Papato formale, attuale, reale, fisico e non materiale, potenziale e logico. Questa è l’unica Apostolicità che ci fa individuare la vera Chiesa di Cristo. Per cui anche oggi e sino alla fine del mondo la Chiesa si regge sulla Roccia di Pietro e sull’Episcopato subordinato a lui. E’ più corretto dire “Corpo” o “Collegio” dei vescovi? L’espressione più
esatta è corpo e non collegio dei Vescovi. Infatti il corpo
esprime l’idea di una subordinazione ad un capo, che nel caso della
Chiesa di Cristo è Pietro. Il collegio non ha questo significato
espresso dalla parola corpo e sottintende solo un primato di onore e
non di governo. Infatti il collegio è una persona morale, un
sodalizio o un ceto di più persone fisiche, che, su un piede di
perfetta parità, eleggono un capo il quale è solo un primus inter pares ed inoltre
agiscono sempre collegialmente (cfr. L. Carli, op. cit., p. 232).
Invece nel corpo il capo ha un primato di governo e dirige tutti gli
altri membri ed organi del corpo e non agisce collegialmente con essi,
ma essi agiscono mossi dal capo.
Inoltre è essenziale
al collegio agire sempre collegialmente sotto la rappresentanza del
capo-collegio soltanto come primo tra pari, ossia avente un semplice
primato onorifico o di titolo, ma non giuridico né
giurisdizionale. Ciò equivale al prendere decisioni tutti
assieme o con la partecipazione di tutti, secondo la legge democratica
della maggioranza che vince.
Tuttavia il termine “collegio” è stato utilizzato da Lumen gentium n. 12. Perché? Il fatto che sia stato
utilizzato da Lumen gentium
n. 12 per indicare il “corpo” dei Vescovi è perlomeno un difetto
di serietà scientifica, giuridica e teologica che farebbe
“pastoralmente” della Chiesa una democrazia, mentre dogmaticamente per
divina istituzione è un Episcopato monarchico del Papa con un
Episcopato subordinato dei Vescovi diocesani ed in ogni diocesi vi
è un solo (mònos) Vescovo e dunque anche qui vi è
un Episcopato subordinato al Papa nella Chiesa universale, ma
monarchico nella propria diocesi (cfr. L. Carli, op. cit., p. 233).
Quindi la dottrina
tradizionale cattolica non insegna che i Vescovi residenziali
(diocesani) o titolari (che hanno la consacrazione e il titolo
episcopale, ma non una diocesi da governare) in unione col Papa e sotto
di lui come loro capo costituiscono iure
divino, seu ex ipsius Christi Domini institutione, vel statuente Domino
(DB, 1825), un vero “collegio”, che succede al collegio degli Apostoli
sotto Pietro e con Pietro nella missione e nei poteri sulla Chiesa
universale, dotato in permanenza e costantemente di suprema, piena e
immediata potestà di magistero, di governo e di santificazione
sull’intera Chiesa e non insegna che tali poteri, si badi bene, il
“collegio episcopale” li possiederebbe perché ricevuti
direttamente da Cristo con la consacrazione episcopale e non dal Papa
tramite missione o nomina canonica. Quindi la Chiesa sarebbe di diritto
divino collegiale, democratica e non monarchica, retta da un
“con-governo” di Papa e Vescovi. Tuttavia il collegio dei Vescovi
potrebbe esercitare i suoi poteri per mezzo del solo Pontefice romano,
ma anche in questo caso come rappresentante del collegio e quindi in
un’azione collegiale fatta da uno solo, però a nome e come
rappresentante di tutti perché egli è sempre il capo del
collegio episcopale e anche se sembra agire da solo in realtà lo
fa collegialmente (“agere sequitur
esse”).
|