Rinuncia simbolica al Potere Spirituale,

in un mondo senza fede.



di Sidney Silveira

Pubblicato sul sito Contra Impugnantes



Nostra presentazione

Col protrarsi della ormai ampia polemica sul caso della rinuncia di Benedetto XVI, effettuata l’11 febbraio 2013, e dei dibattiti intorno alle sue conseguenze, con in testa la possibilità che il conclave che ha eletto Bergoglio al Soglio pontificio possa essere invalido, ci è sembrato opportuno riproporre l’articolo seguente, segnalatoci dall’amico Gederson Falcometa: scritto a caldo, in portoghese, il 2 marzo 2013 e contenente una serie di osservazioni e considerazioni che aggiungono nuovi tasselli al già ampio mosaico che è venuto a formarsi.
Siamo convinti che, lungo la strada intrapresa finora, difficilmente si verrà a capo del machiavello messo su dal cardinale Ratzinger, ma ciò nonostante, permanendo il problema e gli inesausti commenti, il seguente articolo, secondo noi, potrà aiutare a mettere a fuoco certi elementi sfocati.
Buona lettura.




Problemi  teologici, canonici, filosofici e morali

derivati dalla abdicazione di Papa Benedetto XVI






Benedetto XVI legge la rinuncia al papato




La mediocrità è la giusta via di mezzo tra il bene e il male
 (Garrigou-Lagrange)



“La coscienza è il baluardo della libertà contro le limitazioni imposte dall’autorità”, scriveva il cardinale Ratzinger nel 1991, riferendosi a una controversia in ambito cattolico.
In questo noto scritto, il teologo tedesco affermava: “Due concezioni del cattolicesimo si contrappongono [in questa disputa]. Da un lato, una comprensione rinnovata della sua essenza, che spiega la fede cristiana sulla base della libertà e come principio di libertà, e dall’altro, un modello superato, ‘pre-conciliare’, che sottomette l’esistenza cristiana all’autorità”.
Nelle parole del cardinale Ratzinger, la morale della coscienza e la morale dell’autorità sembravano, in questo contesto, eliminarsi a vicenda, essendo la coscienza la norma suprema che l’uomo deve seguire, anche quando questa lo mette contro l’autorità.
Il teologo tedesco ha citato criticamente la formula - fedele alla tradizione filosofico-teologica moderna - secondo cui la coscienza è “infallibile”.

Il testo di Sua Eminenza Reverendissima, il Cardinale, continua dicendo: “in questa visione, l’autorità (letteralmente, il Magistero della Chiesa) potrebbe anche parlare di morale, ma al massimo le spetterebbe proporre elementi per la formazione dei giudizi autonomi della coscienza, che avrebbe sempre l’ultima parola”.

Ma il punto decisivo, per quello che ci interessa sottolineare, viene dal seguente passaggio: “Viviamo in modo del tutto nuovo la forza del ricordo [della fede] e la verità della parola apostolica”. Il vero significato dell’autorità dottrinale del Papa sta nel fatto che egli è il custode della memoria cristiana. Il Papa non impone [la fede] dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. (...) Senza coscienza non ci sarebbe il Papato. Tutto il potere del Papato è il potere della coscienza” [1].

.Se portiamo la premessa ratzingeriana alle sue ultime conseguenze, vedremo che, nella sua concezione, l’autorità ecclesiastica non si impone mai con l’insegnamento della verità, che i fedeli ricevono ex auditu e a cui acconsentono per obbedienza all’autorità di Cristo, in nome del quale parlano i Papi e il Magistero; al massimo, dialoga con la coscienza individuale autonoma.
Il soggettivismo di questa posizione è evidente, e non per nulla gli anatemi sono quasi scomparsi, sia in questo che nei precedenti pontificati risalenti a Giovanni XXIII.

Rispondiamo a questo dicendo che la coscienza non si forma per partenogenesi. Essa non è né infallibile né autonoma, perché, come ha mostrato San Tommaso, essa è norma regolata e non una norma regolatrice, e per essere infallibile, infallibile e perfetta dovrebbe essere la specie umana intelligibile, il che non è corretto dire, perché siamo incapaci di esaurire la verità.

Per noi poveri mortali, la verità (anche quella scientifica) è un asintoto e ha dei gradi: così, definire l’uomo un bipede vertebrato senza squame è meno vero che definirlo un animale razionale; anche se entrambe le proposizioni sono corrette, l’una raggiunge il nucleo dell’essenza umana, l’altra mira ad aspetti accidentali, in senso metafisico. Traduciamo tutto questo in un nostro assioma: scienza limitata, coscienza imperfetta. Pertanto, l’espressione che il Papato dipende dalla coscienza è assolutamente impropria. Il Papato, nella dottrina tradizionale, dipende direttamente dal carisma concesso da Dio. La sua accettazione o meno da parte degli individui può essere radicata nella coscienza.

La coscienza umana ha bisogno di formarsi e comincia a formarsi proprio grazie all’autorità. Ma quale autorità? La prima è quella dei maestri e dei professori che ci insegnano le verità delle loro materie. Diciamolo senza pruriti eufemistici: la contrapposizione tra autorità e libertà è falsa, soprattutto quando si intende erroneamente la coscienza come “baluardo della libertà”, come avvertiva Ratzinger, poiché quest’ultima risiede nella volontà – l’appetito intellettivo per il bene - e non nella coscienza, in quanto i verdetti di quest’ultima sono fallibili. Il problema è che, pur padroneggiando le premesse, il teologo tedesco non supera la stessa dicotomia che denuncia.

E’ così in ogni caso:

- Un soldato non forma la sua coscienza militare mettendo in discussione i generali, perché se avesse gli elementi e la capacità per giudicare e ripudiare ogni ordine dato dal suo superiore, l’esercito crollerebbe.

- Un bambino non forma la sua coscienza cristiana contestando il catechista.

- Un matematico non forma la sua coscienza discutendo fin dall’inizio con gli esperti del settore.

- Un teologo non “discute” con San Tommaso d’Aquino nei primi anni di seminario.

- Un aspirante filosofo non confuta Aristotele nella prima classe; solo dopo aver acquisito un’istruzione molto solida dovrebbe osare farlo, e con tutto il rispetto, tutta la deferenza dovuta allo Stagirita, che i medievali chiamavano: il Filosofo.

Ripetiamo quindi la seguente regola per tenerla a mente: la coscienza inizia a formarsi acconsentendo all’autorità, e l’autorità è caratterizzata dalla conoscenza della verità.
In questo senso, ogni magistero autentico richiede la sottomissione dell’intelletto.
Quindi, se il professore insegna che 2+2=4, la nostra coscienza non è “libera” di ritenere che il risultato di questa addizione sia 5. Ci perdoni ancora una volta il teologo Ratzinger, ma la sua concezione della libertà e dell’autorità (mantenuta per tutto il tempo in cui è stato Pontefice) è erede di un liberalismo del miglior ceppo.

Ecco: è proprio per dovere di coscienza che seguiremo alla lettera il consiglio del cardinale Ratzinger: anche se le autorità dicono il contrario, non peccheremo contro la nostra coscienza cattolica omettendo delle verità in una questione molto grave e in un momento storico così delicato. Andremo quindi controcorrente, senza divinizzare la nostra coscienza come se fosse una Bastiglia inespugnabile, perché è fallibile, ma ben sicuri di averla formata nello studio continuo dell’opera di San Tommaso d’Aquino, Dottore Comune della Chiesa.

Va notato che il dovere di coscienza, quando è necessario opporsi pubblicamente contro qualche autorità, si applica in caso di errori evidenti in questioni gravi; allora il silenzio sarebbe un peccato di omissione.
E’ così che San Tommaso spiega, nel suo famoso De Veritate, il fatto che San Paolo abbia affrontato San Pietro in faciem, cioè contraddicendo il Papa faccia a faccia, davanti a tutti.
Si tratta di occasioni molto eccezionali, come quella attuale - frutto maturo dei cambiamenti radicati nei testi ambigui del Concilio Vaticano II.
Da allora, il Magistero della Chiesa ha assunto un inedito linguaggio scivoloso e aperto a varie interpretazioni, in contrasto con i precedenti documenti della Tradizione bimillenaria, la cui semplicità e il modo diretto di esprimersi non lasciavano spazio a dubbi sul proprio contenuto.


Elegie mondane per una abdicazione

La nostra prima osservazione riguarda la rinuncia di Papa Benedetto XVI al ministero petrino. Ed è questa: l’ufficio di un Papa non si esaurisce nella sua umanità, perché è l’uomo che, come Vicario di Cristo, è il ponte ultimo verso la divinità.
Se abbiamo la chiara consapevolezza che il Papato non è una carica politica o diplomatica, ma un potere istituito dal Cielo, sapremo che è una realtà spirituale che, data la sua universalità, comprende tutte le altre cose in relazione al fine ultimo dell’uomo: Dio.
E’ quindi un potere omnicomprensivo, in relazione al quale si ordinano tutti gli altri poteri. Se questi si rivoltano contro il fine ultimo, la Chiesa militante, il cui capo visibile è il Papa, ha l’autorità per intervenire. “Non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato dato dall'alto”, insegna Cristo a Pilato.
Questa è la dottrina tradizionale delle due spade, tanto ripudiata dai modernisti cattolici denunciati da San Pio X e dai suoi eredi contemporanei.

Il Papa è l’uomo a cui sono rivolte le parole pronunciate personalmente da Nostro Signore a Pietro: “Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato in Cielo, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto in Cielo”.
Un uomo a cui viene conferito il carisma soprannaturale dell’infallibilità nell’esercizio del potere di insegnare (potestas docendi) in materia di fede e di morale.
Un uomo che possiede il pieno potere di giurisdizione nella Chiesa universale.
Per questo l’abrogato Codice di Diritto Canonico del 1917 diceva: “Il Romano Pontefice legittimamente eletto, accettando l’elezione, riceve immediatamente - per diritto divino (iure divino) - la pienezza della suprema giurisdizione” [2].

Solo in un cattolicesimo che, disgraziatamente,  ha perso o distorto la nozione di diritto divino si potrebbe concepire l’ipotesi di un Papa emerito, senza la suprema giurisdizione che lo contraddistingue, come ora vogliono imporci; ciò dà luogo a tremende confusioni magisteriali, canoniche e teologiche, come se non bastassero quelle che già ci affliggono.
Solo in un cattolicesimo naturalistico si può lodare la decisione umana di un Papa di abdicare alla sua autorità magisteriale e al supremo primato apostolico, per stanchezza dovuta all’età - in discontinuità con la Tradizione e la prassi della Chiesa, come dice lo storico Roberto de Mattei.
Ciò non toglie che, per le ragioni addotte, non ci sorprende una decisione del genere da parte di chi ha una concezione così timida del Magistero in relazione alle coscienze individuali.

A questo proposito, nel suo articolo intitolato Considerazioni sull’atto di rinuncia di Benedetto XVI, lo stesso storico si chiede: “Il benessere fisico non è mai stato un criterio per il governo della Chiesa. Lo sarà dopo Benedetto XVI?”.
Quando fu annunciata la storica rinuncia di Ratzinger, lo stesso Roberto de Mattei richiamò la nostra attenzione sul fatto che le facoltà intellettuali del Papa abdicante erano pienamente intatte e il suo stato di salute era “generalmente buono”, secondo il portavoce della Santa Sede Federico Lombardi.
Inoltre, portare la croce fino alla fine, fidando in Dio, è l’eroismo che caratterizza il cristiano. Ecco perché ci sono doveri di stato per laici celibi, laici sposati, sacerdoti, monaci, suore, vescovi e per il Papa!

Illustriamo questo nel modo più didattico possibile, anche per chiarire che non stiamo contraddicendo il principio Romanus Pontifex a nemine iudicatur, perché l’atto di rinuncia di un Papa, come insegna il Codice di Diritto Canonico, non ha bisogno di essere accettato nemmeno dai Cardinali, data la supremazia del potere papale.
Quindi, possiamo solo accettarlo rispettosamente. Ma il legislatore canonico non chiede  che non possiamo essere in disaccordo con esso.
Andiamo oltre: se un marito, adducendo stanchezza, tristezza o altro, manca abitualmente di adempiere al suo debito coniugale verso la moglie, il cui effetto prossimo è quello di placare la concupiscenza, quando entrambi sono in piena condizione di consumare l’atto, pecca.
Se un laico non sposato non mantiene la castità, pecca.
Se un monaco o una monaca rompono i loro voti perpetui, peccano.
Se i vescovi non insegnano ciò che è conforme alla Tradizione, peccano.
E qualcosa di simile vale per il Papa: ci sono dei doveri inalienabili che egli è chiamato a compiere.
Solo un cattolicesimo aggiornato può immaginare che un Papa sia impeccabile, trasformato in un Angelo immacolato quando assume la sua missione.
Solo un cattolicesimo all’acqua di rose può pensare che un Papa non sia soggetto a critiche di alcun tipo, anche quando queste sono fatte nell’interesse del bene comune della Chiesa e sulla base della Tradizione.
Non è mai stato così.

Inoltre, la storia ci mostra Papi moralmente indegni del supremo ufficio loro affidato. Essi sono passati e la Chiesa è rimasta, nonostante i loro peccati.
Papi simpatici, nepotisti, avidi e immorali. Si legga la monumentale Histoire Universelle de l'Église Catholique di Padre Rohrbacher per avere la minima idea che ci sono papi che Dio ci ha imposto per realizzare i suoi imperscrutabili disegni.
Ora, per capire come Dio si serva dei mali in vista di beni infinitamente più grandi, dobbiamo tenere presente che non esiste alcuna commensurabilità tra i peccati umani (anche quelli di un Papa) e la Divina Provvidenza.
La volontà di Dio si compie sempre, anche quando gli uomini falliscono.

A questo proposito, la coesistenza di due papi ha sempre indicato che, in realtà, uno di loro era un antipapa e la minaccia di uno scisma era imminente.
Poiché l’immaginazione modernista è magicamente infinita, ci troviamo ora di fronte a una circostanza impossibile da risolvere, giuridicamente o teologicamente, senza cadere in qualche contraddizione, considerando i principi che danno forma al potere papale: il fatto inedito che ci siano due Papi viventi, uno con giurisdizione suprema e l’altro emerito e senza giurisdizione.
Ora, a parte il fatto che, tradizionalmente, solo il Papa regnante indossava abiti completamente bianchi, rappresentativi della purezza spirituale dell’ufficio affidatogli. Adesso gli uomini in bianco sono due, a simboleggiare il pontificato. A loro volta, coloro che si sono dimessi prima - giustamente! - sono diventati ex-Papa mentre erano ancora in vita.

La prima confusione che deriva dalla situazione attuale è che: come era prevedibile, negli ambienti progressisti cominciano già a circolare mormorii su un doppio regno papale, cioè su un possibile governo bipartito in cui il Papa emerito continuerebbe a esercitare il ministero petrino “spiritualmente”.
Il vaticanista Robert Moynihan avverte in un articolo pubblicato in questi giorni: le recenti parole di Papa Benedetto XVI lasciano aperta l’interpretazione che, in futuro, potrebbe esserci una doppia reggenza petrina. E questo è solo l’inizio: il modernismo cattolico ha la capacità di trasformare qualsiasi scritto o atto solenne in qualcosa di infido, aperto a infinite interpretazioni divergenti.
E’ esattamente quello che don Álvaro Calderón - il più grande tomista vivente - chiama «consenso plurimo dei teologi», cioè una babele in cui tutti detengono la verità proprio perché non esistono verità in senso stretto, ma solo visioni particolari.

Ribadiamo: la decisione di creare la distinzione di “Papa emerito”, lasciandoci con due successori di Pietro viventi sotto il titolo di Papa, anche se uno di loro ha formalmente abdicato al potere, è una mostruosità dottrinale.
Nessun altro Papa dimissionario è diventato emerito, anche per il rischio di provocare uno scisma, motivo per cui Benedetto XVI si è trovato a dover giurare obbedienza e riverenza al futuro Papa, consapevole dei problemi che la situazione comportava (ma apparentemente senza immaginare che qualcuno potesse non giudicare così e proporre qualcosa di contrario ai fini della Chiesa. Ci sono dei precedenti).
Perdonateci anime candide, ma rifiutare dopo le dimissioni di farsi chiamare Sua Santità Benedetto XVI, e vestire i panni di un normale religioso, sarebbe stato un atto di umiltà. E non ci si venga a dire che questo è un giudizio avventato o irrispettoso: è ovvio.

Anche gli stessi esegeti del nuovo Codice di Diritto Canonico, come nella collezione composta da A. Marzoa, J. Miras e R. Rodríguez-Ocaña, responsabili del Comentario Exegético al Código de Derecho Canónico, pubblicato in diversi volumi dalla EUNSA, avrebbero difficoltà a spiegare una novità così anomala. Essi insegnano che esiste una intima connessione tra munus petrinum e potere del Papa – che è ad un tempo ordinario, supremo, pieno, immediato e universale.
Pertanto, l’esistenza di due Papi, con uno di essi “emerito” – fatto non previsto dai migliori canonisti – crea diversi dilemmi da risovere.

Per esempio:

- Che tipo di assistenza dello Spirito Santo possa ricevere l’ex Papa, o meglio il Papa emerito?

- Quale ruolo ha nel governo della Chiesa, anche se recluso?

- Se è ancora Papa, gli sono rimaste delle vestigia o degli elementi, anche se avventizi, del supremo potere papale? E se sì, in che senso?

- Per quanto riguarda il nuovo Papa, che ne è della plenitudo potestatis pontificia (espressione usata dai canonisti per spiegare che il Papa possiede la totalità del potere che Cristo ha delegato alla Sua Chiesa)?

- Mille eccetera!


In pratica, con la rinuncia per i presunti motivi, la percezione del mondo (la stessa che anticamente la Chiesa chiamava virilmente alla conversione) è che si tratta di un governo politico umano come qualunque altro. Inoltre, con l’inaudita formula “Papa emerito”si rende un cattivo servizio alla comprensione della reale dimensione monarchica (e divina) del Papato; prestando il fianco a qualche cardinale che presto avrà la bella idea di proporre un governo collegiale o condiviso tra due o più vescovi di Roma.
Se questo non rappresenta un precedente pericoloso per la creazione di una Chiesa bicefala, nonché un ulteriore indebolimento del carattere del Primato di Pietro – già tanto sminuito dalla collegialità del Vaticano II – non sappiamo cos’altro possa significare.

Nel momento in cui il Nuovo Ordine Mondiale mostra il suo disgusto per la Chiesa e il Papato, con pubbliche manifestazioni tra le più vili di ripudio e di mancanza di rispetto per i cattolici; nel momento in cui la Chiesa è umiliata dagli scandali di pedofilia e di omosessualismo, nonché dall’evidenza della corruzione politica e finanziaria, direttamente o indirettamente derivate dal cedimento dottrinale; dal momento in cui i poteri internazionali fanno pressione perché la Chiesa cambi il suo magistero; nel momento in cui tra gli stessi cattolici, laici e chierici, molti non credono nell’insegnamento tradizionale; insomma, in un momento gravissimo come quello attuale, la rinuncia di un Papa, vista da un punto di vista mondano e senza che vi sia alcun cenno a qualche motivo soprannaturale, assume il carattere di una simbolica deposizione del potere sprituale, che cede davanti alla regnante vergogna (in senso teologico).

E cosa accadrà in seguito, non lo sappiamo. Ma sappiamo che solo un miracolo di proporzioni gigantesche potrà cambiare l’attuale deplorevole situazione ecclesiastica.
A questo riguardo, abbiamo davanti a noi la profezia de La Salette, che ci dice “solo”: i sacerdoti saranno cloache di impurità e Roma diventerà la sede dell’Anticristo.
Sarà ora, con il prossimo Papa? Sarà tra 50 o 100 anni? Lo ripetiamo: è impossibile saperlo e sta a noi pregare perché si compia la volontà di Dio perché si illuminino le coscienze dei tiepidi, dei posapiano, di coloro che aderiscono ad una cecità volontaria. Sia come sia, il fatto è che tutti siamo chiamati da Cristo stesso, ed anche da San Paolo, a leggere i segni dei tempi.

A questo punto, ognuno tragga la propria conclusione.


La leggenda del santo disertore

Prima di chiudere, aggiungiamo un’altra cosa.
E’ irritante e in alcuni casi ridicola la posizione di alcuni sacerdoti e persino di alcuni dilettanti che si credono teologi, secondo i quali i veri cattolici non possono criticare l’abdicazione di Papa Benedetto XVI - ormai in pratica un ex-Papa, nonostante i giochi di prestigio canonico-dialettici delle autorità romane. 
Per di più, affermare con aria di saggezza infusa che si sia trattato di un “santo atto di coraggio e umiltà”… ci scusino gli amici, ma svegliatevi dal vostro letargo!
Uscite dall’aurea mediocritas di cui parlava Orazio, quell’atteggiamento che scimmiotta i giusti mezzi delle virtù, senza esserlo, perché, nelle sagge parole di Garrigou-Lagrange, la mediocrità è il giusto mezzo che esita tra il bene e il male.
Quindi, anche se non abbiamo ancora tutti gli elementi per dare un giudizio definitivo, ne abbiamo abbastanza per considerare questa abdicazione, alla luce della Tradizione, un atto solenne che rende un cattivo servizio al Papato, anche se rientra nei piani della Divina Provvidenza.
Dato che Benedetto XVI ha cambiato il suo discorso solo alla fine, solo un chiaro segno dal Cielo che lo giustifichi potrebbe dargli un’altra dimensione. Lo avremo?

Non fa male qui alludere ad un criterio insegnato dai grandi teologi quando parlano dell’importanza del Consiglio come dono della Spirito Santo: come la virtù della Prudenza non si identifica con la pura inazione, che consiglia sempre di non agire e di non intreprendere cose importanti, per evitare inconvenienti o difficoltà – perché molte volte la cosa prudente da fare è andare avanti, portare a termine, passare all’attacco quando la situazione lo richiede – così anche i giudizi temerari non si fanno solo nella critica, soprattutto quando la cosa temeraria è tacere, omettere. Essi possono realizzarsi in elogi irresponsabili, adulatori o cinici, nelle occasioni in cui il giudizio della ragione pratica non si basa su alcuna evidenza plausibile.
Ora, se il criterio per non incorrere in un giudizio temerario, in questo caso, è considerare giustamente la regola prossima alla fede, che è il Magistero, così come la Storia della Chiesa, abbiamo una maggiore quantità di elementi per criticare piuttosto che lodare questa rinuncia nel modo in cui fu fatta.

Pertanto, l’elogio ampolloso e sbavante è più irresponsabile e riprorevole della critica costruttiva, e lo dimostriamo ricordando ciò che accadde a Celestino V, unico Papa che come Benedetto XVI rinunciò di propria volontà; tutti gli altri che hanno abdicato lo hanno fatto a causa di diverse situazioni, politiche o ecclesiali. E vale la pena citare Celestino V proprio perché alcuni, per encomiare Benedetto XVI, vanno in giro a citare il fatto che Celestino V è stato un Papa santo. Sì, cari, è vero, ma non fu santo in quanto Papa.
Spiegamoci meglio.

Prima osservazione: tra i Papi santi, Celestino V è una specie di giustificata eccezione.
La sua bolla di canonizzazione ci informa che fu canonizzato come Pietro da Morrone e non come Celestino V, a differenza degli altri Papi santi che sono stati cononizzati col proprio nome papale – come San Gregorio Magno, San Leone Magno, San Pio V, San Pio X, ecc. Per comprendere il perché di questo, andiamo alle conclusioni di una serie di testi incompiuti su Bonifacio VIII – sui quali ritorneremo a breve – le cui fonti sono tutte segnalate nei rispettivi articoli.

- Bonifacio VIII non fu l’organizzatore della rinuncia di Celestino V;

- Bonifacio VIII non fece assassinare Celestino V;

- Bonifacio VIII non ordinò di tortutare Celestino V, che, secondo fonti primarie, rimase in “onesta clausura”, conducendo una vita contemplativa fino alla morte avvenuta il 19 maggio 1296;

- Celestino V fu eletto Papa - in termini di negotia secularia di cui Dio spesso si serve per realizzare i suoi disegni - grazie agli stratagemmi di un politico senza scrupoli e alle pressioni di fanatici francescani di linea “spiritualista” e settaria condannata dal Magistero, dato il suo falso messianismo in stile Gioacchino da Fiore;

- Celestino V, nel brevissimo tempo del suo pontificato, concesse favori indebiti ai membri della Curia favoriti dalla corte di Carlo II;

- Celestino V collocò ingiustificatamente uomini di Carlo II negli Stati Pontifici;

- Celestino V fu asservito al potere politico sotto la cui influenza era stato eletto Papa, arrivando a nominare cardinali indicati da Carlo II e andando a vivere, per espresso ordine del Re, non a Roma, ma a Napoli, dove poteva essere meglio manipolato;

- Celestino V voleva continuare a vivere, come Papa, la vita da anacoreta, cosa assolutamente incompatibile con le esigenze della carica;

- Subito dopo la rinuncia formale di Celestino V, la famiglia Colonna e gli “spirituali” francescani cercarono di incolpare Bonifacio VIII per l’abdicazione del Papa precedente e iniziarono a diffondere la voce che l’abdicazione era canonicamente invalida;

- La feroce campagna sedevacantista di questi cosiddetti seguaci “spirituali” si concretizzò nella pubblicazione di innumerevoli opuscoli satirici contro Bonifacio VIII. In questi testi, tra le tante cose, si diceva che Celestino V era ancora Papa e che Bonifacio VIII era un anticristo usurpatore.

Continueremo a parlare di Bonifacio VIII quando riprenderemo la serie, ma vale la pena dire una cosa che nessuno storico serio della Chiesa ignora: la canonizzazione di Celestino V avvenne in circostanze molto dubbie di pressione politica da parte del re Filippo il Bello. In questo contesto, siamo chiari: non stiamo assolutamente dicendo che Pietro da Morrone non sia stato un santo. Né stiamo dicendo che la sua inclusione tra i santi riconosciuti dalla Chiesa sia stata il risultato di un processo non valido. Ma non c'è la minima ombra di dubbio che, come sottolinea a un certo punto Luigi Tosti nella sua Storia di Bonifazio VIII e de' suoi tempi, Pietro da Morrone sia stato elevato agli altari grazie ai tenaci sforzi dei nemici di Bonifacio VIII, che volevano dichiararlo “martire” e, allo stesso tempo, incolpare Bonifacio VIII della sua morte. Grazie a Dio, il debole e servile Clemente V non arrivò a tanto: canonizzò l’ex Papa come Pietro da Morrone e non come martire, ma come Santo Confessore.

Poiché la Chiesa, quando canonizza qualcuno, propone il santo come modello da imitare, il fatto stesso che Celestino V non sia stato canonizzato con il suo nome papale indica che non è un Papa modello, anche se potrebbe esserlo per le sue virtù pie o per altri fattori della sua vita. Curiosamente, Dante - che tanto critichiamo per la sua idea di Chiesa - lo “condanna” all’Inferno (Il gran rifiuto, nel famoso verso).
Sia come sia, miei cari, se volete lodare la rinuncia di Benedetto XVI, non fatelo alludendo a Celestino V, mascherando l’intenzione consapevole o inconsapevole di proporre presto Papa Ratzinger come un altro Beato, come Giovanni Paolo II e ora Paolo VI, la cui beatificazione è all’orizzonte...

Infine, le anime sensibili non dovrebbero offendersi quando leggono una critica forte come questa. Né Benedetto XVI né Giovanni Paolo II se ne scandalizzerebbero; del resto, in vari discorsi hanno pubblicamente elogiato il sedevacantista medievale Jacopone di Todi - che i francescani considerano beato, con una celebrazione il 25 dicembre nel Martirologio dell’Ordine dei Frati Minori. E lo hanno fatto pur sapendo quanto segue: Todi è il noto autore delle più insulse, infami e immorali satire mai scritte contro un Papa. In questo caso, Bonifacio VIII, definito da Todi (e da altri) demonio, sodomita, satanista, bestemmiatore, sacrilego, ladro...

Quanto a noi, con tutto il rispetto per la persona del Cardinale Ratzinger – oggi Papa emerito, con questa incredibile “scoperta” della nuova teologia.

Per quanto ci riguarda, nel totale rispetto della persona del cardinale Ratzinger - ora Papa emerito, in questa incredibile "scoperta" della nuova teologia - ci limitiamo a segnalare il significato della sua rinuncia, alla luce di una visione non mondana, non modernista, non codarda.

Per quanto riguarda ciò che accadrà d’ora in poi, che Dio protegga noi e la Sua Chiesa.


NOTE

1 - “Oggi noi, proprio nella crisi attuale della Chiesa, stiamo sperimentando in modo nuovo la forza di questa memoria e la verità della parola apostolica: più delle direttive della gerarchia è la capacità di orientamento della memoria della fede semplice che porta al discernimento degli spiriti. Solo in tale contesto si può comprendere correttamente il primato del Papa e la sua correlazione con la coscienza cristiana. Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato. Tutto il potere che egli ha è potere della coscienza”.

2 - “Romanus Pontifex, legitime electus, statim ab acceptata electione obtine, iure divino, plenam supremae iurisdictionis potestatem”, can. 219. Tra le varie incongruenze del nuovo Codice di Diritto Canonico con la Tradizione c’è la deplorevole soppressione dell’espressione “diritto divino” nel canone che tratta dell’elezione del Romano Pontefice (can. 332). La svolta antropocentrica impressa dal Vaticano II, e da tutto ciò che lo ha seguito dottrinalmente, è arrivata fino al Diritto Canonico, il cui nuovo Codice inverte i poli: fino ad allora, il diritto divino era il massimo punto di analogia rispetto a tutti gli altri diritti, poiché si basa sul diritto assoluto di Dio su tutte le creature, data la gerarchia ontologica tra di esse e la sua supremazia metafisica. Ora è il diritto divino è passato ad essere un diritto analogo al diritto positivo umano.






 
luglio 2024
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