Il Patriarcato Cattolico Caldeo

La Liturgia

Articolo della Fraternità San Pio X







Il Patriarca caldeo S. B. Louis Raphaël I Sako



Il termine «caldeo» è stato usato per la prima volta nel 1445 da Papa Eugenio IV, per distinguere i membri della Chiesa assira nell’Est di Cipro, il cui Patriarca si era convertito al cattolicesimo, da coloro che vivevano fuori di Cipro.

In seguito, questo termine divenne di uso comune, soprattutto dopo che Giovanni Sulaka, andato a Roma per riconoscere l’autorità del Papa, fu nominato Patriarca dei «Nestoriani cattolici» da Giulio III nel 1551. I successori di Silaka presero il nome di Simone e portarono il titolo di «Patriarca Cattolico di Babilonia dei Caldei».
Il nome Babilonia fu abbandonato nel 2021.

Il Rito Caldeo, o pratiche liturgiche e disciplinari «storicamente associato alla Chiesa Assira dell’Oriente (detta nestoriana) è anche usato dal Patriarcato cattolico dei Caldei, che lo chiamano rito siriano orientale».
Soprattutto presente in Iraq, Iran e Siria, è anche il rito originario dei cristiani di San Tommaso (Siro-Malabari) in India.

Il Rito Caldeo «deriva dalla liturgia gerosolimitana-antiochena». Rispetto agli altri riti orientali, il Rito Caldeo ha una forma più semplice: per esempio non impiega il lezionario dettagliato di testi scritturali, e il suo santorale è più ridotto. La liturgia è sempre cantata; talvolta ammette l’accompagnamento di cimbali e triangoli», spiega l’Enciclopedia Universalis.

Il sito La Porte Latine nota che «nel rito caldeo sono utilizzate tre liturgie: quella degli Apostoli, per gran parte dell’anno; quella di Teodoro e quella detta di Nestorio.
Il sacerdote canta tutto, anche le parole della Consacrazione. Se queste non sono scritte nel Messale è a causa della legge dell’arcano (segreto conservato su certi elementi della fede e del culto in tempo di persecuzione).

Nel Rito Caldeo «è presente un’attitudine propria di questa liturgia: specialmente all’Anafora, il sacerdote si inchina profondamente e allarga le mani, in una attitudine supplicante e umile.
In questa liturgia non sono necessarie le icone, diversamente dagli altri riti orientali, e servono invece ad adornare il santuario».

Se la liturgia caldea, nel suo insieme, non ha subito stravolgimenti dopo l’ultimo Concilio, «vi sono tuttavia alcuni cambiamenti non tutti dettati dal buon senso. Così, nel 1971, delle preghiere della Messa furono abbreviate per sopprimere i tempi di silenzio e, soprattutto furono soppresse tutte le genuflessioni, lasciando solo quelle relative alla Consacrazione.

Dal 2015, «i sacerdoti celebrano rivolti verso il popolo e la nuova liturgia permette al sacerdote di chiamare Maria a suo piacimento: Madre di Dio o Madre di Cristo, per essere più affini agli Assiri (Nestorio negava l’unicità della persona in Nostro Signore e dunque la maternità divina della Madonna).

I cambiamenti apportati hanno «sbarazzato» il rito dalle «incrostazioni» latine che vi si erano introdotte. Il sacerdote prepara le oblate prima della Messa; utilizza una croce per benedire i fedeli, e, riforma stupefacente, richiesta da Roma perché i Caldei tornassero alle loro «radici», è stato soppresso il Filioque nel Credo niceno-costantinopolitano, il Credo della Messa.

Per buona memoria, il Credo di Nicea affermava che lo Spirito Santo procede dal Padre; mentre «e dal Figlio» (Filioque in latino) è stato aggiunto un po’ più tardi dalla Chiesa latina, e professato già da Papa Leone Magno.
Per delle ragioni ecumeniche, Roma ha fatto tornare la Chiesa caldea ad una formulazione meno precisa e spesso sospetta in bocca agli Orientali.











 
agosto 2024
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