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La Chiesa e le Leggi razziali del 1938 di Don Curzio Nitoglia GLI
EBREI ITALIANI AL NASCERE DEL FASCISMO
A partire dal Risorgimento gli Ebrei erano stati emancipati e assimilati pienamente ed avevano preso parte attiva all’unificazione dell’Italia. Vittorio Emanuele III aveva detto a Herzl in visita a Roma nel 1904: «Per noi gli ebrei sono italiani in tutto e per tutto» (1). Invece, San Pio X gli aveva risposto: “Sino a che Israele non riconoscerà Gesù Cristo, la Chiesa non potrà riconoscere uno Stato israeliano”. Vigeva allora, quindi, soltanto l’antigiudaismo teologico (specialmente in chiave anti-risorgimentale) sostenuto dalla S. Sede specialmente attraverso La Civiltà Cattolica, che vedeva nel giudaismo e nella massoneria (manovrata dal primo) gli artefici del “Risorgimento” della “Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9) e della “Roma naturalista” contro quella di Pietro. Da parte loro molti tra gli ebrei italiani si erano staccati dall’ortodossia giudaica e si erano laicizzati e assimilati alla vita italiana. Allorché «si formò il fascismo gli ebrei [...] non ebbero delle prevenzioni particolari che impedissero loro di aderirvi... [ circa 300 ebrei parteciparono alla “marcia su Roma”, ndr] inoltre le rassicurazioni di Mussolini nel 1923 ad Angelo Sacerdoti, il rabbino capo di Roma, dissiparono gradualmente la diffidenza [...] tanto è vero che in più occasioni i dirigenti dell’ebraismo italiano finirono per allinearsi sulle posizioni del governo [fascista]... e per accettare l’avvento di Mussolini al potere» (2). Quando l’11 febbraio del 1929 Mussolini stipulò il Concordato con la Chiesa, dichiarò che gli Ebrei non avevano nulla da temere: gli accordi con la Chiesa non comportavano che gli altri culti, sino allora tollerati in base allo Statuto Albertino, fossero ignorati; anzi il fascismo parlava non solo di culti tollerati ma anche di culti ammessi e il «30 ottobre 1930 il Regio Decreto Legge dava alle Comunità Israelitiche Italiane un assetto giuridico, regolando l’organizzazione interna e i rapporti con lo Stato» (3). IL
RAZZISMO E L’ITALIA FASCISTA NEGLI ANNI TRENTA
Quando Hitler salì al potere nel 1933, Mussolini continuò la sua linea “ondivaga” (De Felice) nei confronti del giudaismo italiano. 1°) Da una parte, condannava il razzismo germanico, pubblicamente, con dichiarazione amichevoli verso gli ebrei e aiutava gli ebrei tedeschi perseguitati; 2°) dall’altra, criticava il sionismo-italiano (non quello estero), poiché non poteva tollerare che un italiano aspirasse a due Patrie, Israele e l’Italia. Mentre nei confronti dell’“Organizzazione Sionista Internazionale” era ben disposto in quanto ravvisava nella sua ala destra (il revisionismo antibritannico di Jabotinsky) un mezzo per inserire l’Italia nel Mediterraneo orientale e creare difficoltà alle posizioni della Gran Bretagna e non per simpatie filo ebraiche come qualcuno potrebbe erroneamente intendere. Il fatto che l’Italia e la Germania abbiano avuto rapporti con la destra sionista sino al 1941, era dovuto - soprattutto per quanto riguarda la Germania - al desiderio di far espatriare gli Ebrei anche in Palestina. Quando nel 1935 l’Italia attaccò l’Etiopia molti Ebrei furono volontari; «nell’esercito fu istituito un rabbinato militare [...]. La proclamazione dell’Impero nel maggio del 1936 fu [...] esaltata anche dalla stampa ebraica, che mise in rilievo, come la conquista dell’Etiopia avesse comportato il passaggio dei falascià [...] sotto l’egida dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane» (4). Tuttavia, il 2 novembre 1935, la Società delle Nazioni approvò le sanzioni contro l’Italia; Mussolini, preoccupato dall’isolamento in cui era venuto a trovarsi, inviò vari esponenti dell’ebraismo italiano in Inghilterra per far togliere le sanzioni all’Italia, ma senza esito; quindi, il Duce cominciò a spostarsi verso la Germania, pur con molte titubanze, e il mondo arabo. Nel 1936 scoppiò la guerra civile spagnola; Mussolini appoggiò Franco - assieme ad Hitler - contro i Rossi, mentre la Francia sostenne i Rossi; e l’Inghilterra, pur parteggiando contro Franco, non entrò apertamente in lizza. (Non si riesce a capire l’avversione per il fascismo e la benevolenza per l’anglo-americanismo dei neoconservatori italiani di “Alleanza Cattolica” e compagni, i quali pur essendo visceralmente anticomunisti, si schierano a fianco di chi appoggiò il comunismo internazionale sin dal 1936 ed infine l’Unione Sovietica nel 1943-45, disprezzando chi lo ha combattuto nel 1936 e nel 1940-45). Tal evento rese impossibile ogni riavvicinamento dell’Italia - che pur era desiderato da Mussolini - all’Inghilterra e alla Francia e la spingeva ineluttabilmente nelle braccia del III Reich. Si può tranquillamente affermare che Mussolini firmò la sua condanna a morte nel 1936, entrando nel conflitto civile iberico a fianco di Franco; infatti, la Francia e l’Inghilterra che avevano mal tollerato l’invasione dell’Etiopia, non perdonarono a Mussolini di voler farsi spazio anche in Europa, inserendosi nella guerra civile spagnola. Nihil sub sole novi! Oggi non si è perdonato un atteggiamento analogo a Saddam, Gheddafi, Ben Alì, Bashar al-Assad … Il trattato di Versailles, che aveva incatenato la Germania sconfitta e umiliato l’Italia che pur aveva vinto la prima guerra mondiale, non riconosceva, praticamente, a essa il suo ruolo internazionale; sino a che Mussolini fosse rimasto entro i confini italiani gli si permetteva “l’esperienza fascista”, ma qualora ne fosse uscito non si ammetteva libertà ed esistenza per la dittatura. Nel 1936 si formò l’asse Roma-Berlino che può essere considerato come un parto provocato democraticamente. Gli elementi oltranzisti del Regime (Farinacci, Preziosi, Interlandi, Bottai) erano filo-tedeschi e biologicamente antisemiti, cominciò quindi a diffondersi l’antisemitismo italiano (5). Mussolini cercava di divincolarsi e liberarsi da questa morsa che si faceva sempre più stretta; se da una parte non poteva inimicarsi la Germania (l’unico Paese disposto ad accettarlo come alleato), non voleva neppure rompere totalmente con la Francia e l’Inghilterra, poiché diffidava di Hitler; ma si faceva illusioni; il suo destino oramai era segnato; l’America, l’Inghilterra e la Francia volevano accorparlo alla Germania per distruggerlo assieme a essa. Per cui, dovette imboccare, pian piano, la strada di un certo antisemitismo moderato, per necessità di circostanze più che per convinzione: da una parte si sforzò di convincere gli Italiani che il fascismo era stato sempre antisemita e razzista, dall’altra rivendicava una certa originalità italiana rispetto alla Germania poiché il fascismo - come soleva dire in quei frangenti - vuole “discriminare, non perseguitare”. Gli avvenimenti però lo travolsero. LE
LEGGI RAZZIALI IN ITALIA
Nel gennaio 1938 iniziò in Italia una campagna razziale e antisemita, per mezzo della radio e della stampa. Il primo atto ufficiale del regime contro gli Ebrei in Italia fu Il manifesto degli scienziati razzisti, redatto da un gruppo di docenti universitari sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare e pubblicato il 14 luglio 1938 su Il Giornale d’Italia; esso voleva essere la piattaforma dottrinale o ideologico-scientifica dell’antisemitismo razzista. Seguirono talune “applicazioni pratiche” della “dottrina razzista”. Mussolini, «in vista dei provvedimenti per la difesa della razza, prese contatto con il Re e il Papa. Da parte di Vittorio Emanuele III non ci fu un’opposizione sostanziale, tanto che la legislazione antiebraica portò la sua firma; mentre, più complessi furono i rapporti con la S. Sede. «Pio XI aveva condannato il razzismo biologico [...] in linea di principio la Chiesa accettava una legislazione discriminatoria nei confronti degli Ebrei [...]. La costante preoccupazione di Pio XI fu quella d’ottenere dal governo la modifica degli articoli che potevano ledere le prerogative della Chiesa sul piano giuridico-concordatario in specie per quanto riguardava gli ebrei convertiti. La Chiesa ottenne la soppressione dell’art. 2 del progetto di legge che definiva “concubinato” il matrimonio di un ebreo anche convertito con un ariano. Il Pontefice mostrò di fatto che in tal caso il razzismo italiano era anticristiano e materialista anche se in misura minore rispetto a quello tedesco» (6). Renzo De Felice spiega ancor meglio e più obiettivamente, che fu molto difficile superare lo scoglio di Pio XI; lo storico reatino si fonda sugli studi, fondamentali tra tutti, del padre gesuita Angelo Martini, apparsi a puntate su La Civiltà Cattolica nel 1959 e rifusi in un libro (7); tali articoli «furono condotti con minuzia di ricercatore e sulla base dei documenti dell’Archivio Vaticano»; essi «offrono una pressoché completa storia - sovente minutissima - dell’atteggiamento del Vaticano verso la politica fascista della razza dalla metà del 1938 alla morte di Pio XI» (8). Con la Mit brennender Sorge (1937) la Chiesa aveva condannato - spiega De Felice - il razzismo biologico; inoltre, La Civiltà Cattolica del 6 agosto 1938, commentando il manifesto degli “scienziati”, scrisse: «Chi ha presente le tesi del razzismo tedesco, rivelerà la notevole differenza di quelle proposte da queste del gruppo di studiosi fascisti italiani. Questo confermerebbe che il fascismo italiano non vuol confondersi col razzismo tedesco esplicitamente materialistico» (9). «La S. Sede, non approvava il razzismo materialistico, «ma, al tempo stesso, non era contraria a una moderata azione antisemita, estrinsecantesi sul piano delle minorazioni civili» (10). Renato Moro, professore di Storia contemporanea all’Università di Roma-Tre, scrive che «La Civiltà Cattolica (17 marzo e 7 aprile 1934), rifiutò qualsiasi difesa della razza [...] se i metodi usati erano contrari alla legge naturale e divina e condannò severamente l’idea che la “razza ariana” potesse essere il “bene supremo” della Società» (11). «V’è opposizione tra la dottrina della Chiesa, che è universale per definizione e professa l’unità del genere umano e le teorie “razziste” [...]. Tuttavia, la condanna del razzismo non significa che la Chiesa disapprovi ogni misura presa da tale o tal altro Stato contro ciò che si chiama comunemente la razza ebraica [...]. Per la Chiesa un ebreo battezzato, cessa di essere ebreo e fa parte del gregge di Cristo. Ma, non bisogna concludere che per la Chiesa la Fede è l’unica cosa che distingua Israele dalle altre nazioni [...]. Essa riconosce che vi sono caratteristiche e particolarità etniche della comunità israelitica [...]. La storia della Chiesa c’insegna che Essa ha spesso salvato gli ebrei dalla violenza dei loro persecutori e nello stesso tempo Essa li ha relegati nei ghetti» (12). S. Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica, questione 10 della II-II, articoli 9-12 insegna che: bisogna essere tolleranti verso gli ebrei quanto all’esercizio della loro religione, che non siano battezzati con la forza, ma S. Tommaso raccomanda anche di prendere delle misure di difesa prudenziali nei loro riguardi, di modo che si limiti la loro azione e la loro influenza nella Società. Infatti, sarebbe irragionevole, in uno Stato cristiano, lasciarli governare e sottomettere, così, i cattolici a sé. Donde risulta che è legittimo proibire loro l’accesso alle funzioni pubbliche, ammetterne solo un numero chiuso nelle università e nelle professioni liberali. CONCLUSIONE
La Chiesa è sempre stata odiata dal giudaismo talmudico, sin dai tempi di Gesù e degli Apostoli, quindi ha dovuto prendere misure di legittima difesa contro di esso. Queste misure furono il “Magistero dottrinale” che spiegava l’opposizione dottrinale e teologica tra il vero e il falso Israele e una “Legislazione speciale” che diminuisse e restringesse il potere ebraico e nello stesso tempo salvaguardasse gli israeliti dalla collera popolare, risalente già alla paganità. Legislazione questa ispirata dalla giustizia (dare a ciascuno il suo o ciò che si merita: la limitazione per impedire l’espansione, la preponderanza o l’invadenza; e la protezione per garantire il diritto all’esistenza), ma anche dalla carità soprannaturale (amore di Dio e del prossimo amato propter Deum, in quanto creatura di Dio e non in sé o perché simpatico naturalmente). Nell’era moderna, con il protestantesimo e la rivoluzione francese, s’arrivò all’affrancamento, all’assimilazione, all’equiparazione degli Ebrei, che quindi assunsero una preponderanza nelle nazioni di tradizione cristiana che li ospitavano, scatenando così la reazione violenta del popolo angariato o l’antisemitismo razziale. Il razzismo biologico “ariano”, qualificato da Pio XI come “statolatria pagana”, volle legiferare sui Sacramenti (reputando invalido il matrimonio tra cristiani ed ebrei, anche con dispensa del vescovo), ossia in spiritualibus, materia che appartiene solo alla Chiesa, poiché per il paganesimo lo Stato è una divinità immanente, Cesare è divino e quindi il Governante è anche Papa. La causa della reazione antiebraica - scrive lo storico israelita Bernard Lazare - è l’esclusivismo giudaico o il super-razzismo giudaico, che non vuole farsi assimilare dai popoli ospitanti, ma vuol essere ospite pur restando straniero, ossia vuole tutti i vantaggi senza alcun inconveniente, formando così uno stato nello Stato, per schiacciare l’ospitante. Leone XIII, di fronte al Risorgimento del paganesimo ghibellino, volle scoprire la causa di tanto male e - valendosi della preziosa collaborazione de La Civiltà Cattolica - la trovò nella setta massonica diretta dal giudaismo-talmudico, che come aveva ucciso i Profeti, Gesù e gli Apostoli; così voleva sterminare la Chiesa di Roma, che è “Gesù continuato nella storia”. Egli indicò il rimedio al flagello della preponderanza giudaica nel ritorno allo spirito cristiano, alla sua dottrina e quindi alla sua prassi (leggi restrittive) che può produrre frutti solo s’è vissuta, ossia s’è l’espressione convinta della Fede soprannaturale e non s’è usata quale instrumentum regni, come volevano i movimenti autoritari del XX secolo. Pio XI, ha condannato il razzismo materialista e quindi anticristiano, ma ha continuato a mettere in guardia i cristiani dal pericolo dogmatico, morale e sociale del giudaismo; non è stato ascoltato dall’assolutismo neopagano che ha provocato la rovina sua e di svariati ebrei. Tuttavia, il fascismo non ha avuto simpatie ideologiche filo-ebraiche come qualcuno ha voluto dire; esso ha soltanto cercato di cavalcare praticamente il fenomeno sionista in funzione antibritannica; perciò, non ammetteva che gli ebrei italiani potessero avere due Patrie, ma non ha avuto sin dall’inizio neppure una decisa politica anti-ebraica. Le circostanze lo portarono a scontrarsi con la demoplutocrazia anglo-americana, la massoneria e quindi il giudaismo. Sperimentò sulla sua pelle la malvagità di queste potenze tenebrose, cercò di reagire, ma oramai troppo tardi. NOTE 1 - M. MICHAELIS, Mussolini e la questione ebraica, Milano, 1982, p. 25. 2 - F. TAGLIACOZZO - B. MIGLIAU, Gli ebrei nella storia e nella società contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1993, pp. 210-211. 3 - F. TAGLIACOZZO - B. MIGLIAU, cit., pp. 216-217. 4 - Ibidem, p. 225. 5 - Cfr. G. MUGHINI, A via della Mercede c’era un razzista, Rizzoli, Milano, 1991; F. GERMINARIO, Razza del sangue, razza dello spirito. Julius Evola, l’antisemitismo e il nazionalsocialismo (1930-43), Bollati-Boringhieri, Torino, 2001; M. T. PICHETTO, Alle radici dell’odio. Preziosi e Benigni antisemiti, F. Angeli, Milano, 1983. 6 - Ibidem, pp. 254-255. 7- A. MARTINI, Studi sulla questione romana e la Conciliazione, Cinque Lune, Roma, 1963. 8 - R. DE FELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 3ª edizione, 1988, p. 292. 9 - La Civiltà Cattolica, 1938, fasc. 2115, pp. 277-278. 10 - R. DE FELICE, op. cit., p. 298. 11 - R. MORO, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 77. 12 - F. TAGLIACOZZO - B. MIGLIAU, op. cit., p. 361. |