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LA SOCIETÀ POLITICA di Don Curzio Nitoglia La politica ha un duplice compito: immanente e trascendente Nel De regimine principum (lib. I, cap.
15) di san Tommaso, ripreso e commentato dai tomisti del Cinquecento
della seconda scolastica (1) in funzione
antimachiavellica, si spiega che “la Società civile o politica
è come una nave, la cui navigazione ha due aspetti: solcare il mare e portare i passeggeri in
porto. Ossia, la politica e il bene comune o sociale hanno un
duplice compito: immanente (navigare)
e trascendente (giungere al Cielo)”.
La “Civiltà cristiana” ha come fine immediato il benessere comune temporale e sociale dei cittadini, ma il suo Fine ultimo è il Sommo Bene (De regimine principum, lib. I, cap. 16). La politica rappresenta il fine intermedio; perciò va coltivata, ma non bisogna fermarsi a essa (S. Th., II-II, q. 58, a. 5). Il bene dell’uomo o il suo Fine ultimo personale e il bene comune sociale e temporale sono ordinati mutuamente tra di loro e, in un certo senso, vengono a coincidere (S. Th., I-II, q. 21, a. 4, ad 3). Il bene sociale, politico o comune non può non ordinarsi come il fine prossimo a quello ultimo, al bene trascendente e infinito dell’uomo, che è Dio (2). L’uomo non può vivere da solo (3), ma ha bisogno di altri esseri umani per formare prima una società imperfetta (la famiglia) e poi una Società perfetta (lo Stato, che è l’unione di più famiglie e di più villaggi). Naturalmente, l’uomo è animale razionale e sociale (ossia intelligente, libero e vivente in società o pòlis). Rifiutare l’elemento politico o sociale dell’uomo è innanzitutto un errore filosofico o antropologico, che ha una falsa concezione metafisica della natura dell’uomo. Infatti, se l’uomo in sé è intrinsecamente corrotto (Lutero), la Società (familiare, sociale e religiosa), che risulta dall’unione di più uomini sotto un’autorità, è anch’essa intrinsecamente malvagia; inoltre, anche la Chiesa nel suo aspetto giuridico e gerarchico è perversa come lo è lo Stato. L’uomo è composto di anima e di corpo. Essendo la sua anima razionale, egli è fatto per vivere a contatto con gli altri, non è un animale solivago, come volevano gli umanisti, i luterani e i nominalisti confutati dai tomisti del Cinquecento. Egli deve avere Dio ‘al di sopra’, gli uomini ‘accanto’ e la terra ‘sotto i piedi’. Ossia, deve essere realista (con i piedi per terra), religioso (Dio è il Fine ultimo) e socievole (vivere assieme agli altri uomini). La famiglia, per esempio, che è una Società imperfetta, suppone il corpo dell’uomo orientato alla generazione, fine primario del matrimonio, ma essa deve essere seguita dall’educazione che sorpassa la vita animale e corporea in quanto riguarda quella razionale e ordinata ultimamente al fine spirituale. Lo stesso si può dire della Società civile e dello Stato. San Tommaso d’Aquino spiega: “Agli animali la natura ha dato i peli, i denti, le corna, la velocità per fuggire. L’uomo, invece, dalla natura non è stato formato con nessuno di questi mezzi già pronti; ma al posto di quelli gli è stata data la ragione, per mezzo della quale può procurarsi tutte queste difese. Ma, per far ciò non basta il lavoro di un solo uomo, perché il singolo non basta a sé per vivere. Perciò, è naturale all’uomo vivere in Società […] affinché uno aiuti l’altro, e diversi uomini siano occupati nella ricerca di cognizioni diverse” (4). La Società civile è l’unione morale e stabile di più famiglie e più villaggi, che tendono al benessere comune temporale subordinato a quello spirituale. Essa nasce dalla necessità per l’uomo di conseguire il fine prossimo e ultimo, che non potrebbe conseguire se vivesse isolato. Per cogliere il fine occorre una strada che conduca a esso: questa strada è il diritto naturale, che si può definire come il complesso di regole che si devono rispettare perché un uomo sia e resti autenticamente uomo, ossia “animale razionale” (Aristotele) e non “bestia istintiva e peccaminosa in sé” (Lutero). La politica moderna (ossia il machiavellismo) è segnata, come il luteranesimo, da un grave errore: la separazione o la confusione (giacché ogni eccesso è un difetto e gli estremi, nelle eresie, si ricongiungono) tra natura e Grazia, ragione e Fede, fine prossimo e Fine ultimo dello Stato. Il mondo moderno politicamente, specialmente con Machiavelli, considera solo il piano naturale (peraltro senza rispettarne l’ordine), ignorando quello soprannaturale, mentre con Lutero considera solo quello soprannaturale, che sarebbe dovuto alla natura, e senza la grazia tutto è peccaminoso. Luteranesimo e machiavellismo sono le due facce contrapposte di una stessa medaglia. Gli scolastici spagnoli del Cinquecento, alla luce della retta ragione, insegnano con Aristotele (Politica, V) e San Tommaso D’Aquino (De regimine principum, lib. I, cap. 14) che l’uomo per natura è socievole o “animale sociale”, fatto per vivere non da solo, “silvestre e solivago”, ma in Società dapprima imperfetta, (la famiglia) e poi perfetta (lo Stato). Ora se per natura – che è creata da Dio – l’uomo è socievole, la Società familiare e civile sono creatura e opera di Dio. Quindi, anch’esse devono adorarlo e prestargli il culto col quale Egli vuole essere adorato. Perciò, la famiglia e lo Stato devono essere sottomesse alla Chiesa che rappresenta Dio in terra. La separazione tra Stato e Chiesa, dunque, non solo è contraria alla divina Rivelazione (Tradizione e Scrittura), ma anche alla sana filosofia e alla retta ragione. La società e le sue quattro cause
L’uomo è naturalmente un animale sociale o politico. La Società è un’unione morale di più uomini, per agire in vista del bene comune. La ‘causa finale’ della società è il bene comune temporale subordinato a quello spirituale, che non può essere raggiunto dal singolo, la ‘causa materiale’ sono le persone o le famiglie, la ‘causa efficiente’ è Dio che ha creato l’uomo socievole, la ‘causa formale’ è l’unione morale tra i soggetti, essa consiste nei diritti e doveri, mediante i quali i membri della Società sono uniti ad agire per conseguire il bene comune (5). L’autorità
Dalla Società civile costituita risulta l’autorità come proprietà necessaria della civitas. Essa consiste nel potere di far leggi per conseguire il Fine, nel farle osservare e nel castigare chi le vìola. L’autorità è, dunque, il potere di governare la res publica; ossia, di dirigerla al suo Fine. Per conseguire tal fine è necessario: 1°) che i mezzi conducenti al Fine, siano proposti in modo obbligatorio (potere legislativo); 2°) che le cose proposte, siano applicate convenientemente, secondo il senso in cui furono proposte (potere esecutivo); 3°) che coloro i quali non vogliono applicarli e/o s’oppongono alla loro applicazione, possano essere costretti con la forza (potere giudiziario o coattivo). Il potere più importante è quello legislativo, essendo gli altri due esecutivi della legge. La società naturale si divide in Società domestica (la famiglia, che è una Società imperfetta) e Società civile (lo Stato, che è una società perfetta nell’ordine temporale). La Società domestica o famiglia nasce dall’unione coniugale (marito e moglie) e dalla Società parentale e filiale (genitori e figli), essa è ordinata alla Società civile. Quella domestica è una Società imperfetta, poiché non ha tutti i mezzi atti al raggiungimento del bene comune da parte dei suoi soggetti. Formalmente e ontologicamente, la Società consiste negli stessi suoi membri che, per inclinazione naturale e per un atto di libera volontà, sostanzialmente diverso dal “patto sociale” di JEAN JACQUES ROUSSEAU, s’uniscono in ordine a un determinato bene comune da conseguire. Essa è una pluralità d’uomini, o enti ragionevoli, che soli hanno la nozione di Fine e il desiderio della relazione dei mezzi al Fine, in quanto forniti d’intelletto e volontà; uomini che tendono a un bene, ossia un Fine ben definito, cioè al benessere temporale (subordinato a quello spirituale) comune a tutti, mediante mezzi convenienti a far loro cogliere il Fine; uomini che formano un’unione che li lega tra loro e alla Società, in un vincolo fatto di doveri e di diritti: i doveri e gli obblighi reciproci e verso la Società, e il diritto di questa a dirigere coloro che la compongono verso il Fine nel modo stabilito. Tutto ciò produce, sotto la direzione dell’autorità: unità di Fine, armonia degli spiriti, concordia delle volontà, coordinazione dei mezzi. Fine della Società non è soltanto quello negativo di proibire ingiurie e liti fra i cittadini, come vorrebbe il liberalismo, ma di produrre positivamente, mediante le leggi, le condizioni necessarie per avere una vita buona; ossia, la perfezione materiale, intellettuale e morale della persona, nelle quali consiste la felicità imperfetta della vita terrena. Il Fine della società civile non è il Fine assoluto o Dio, ma è il bene o felicità o vita buona dei cittadini. Contro la statolatria assolutistica, la sana filosofia insegna che la Società non è Fine assoluto, in cui i cittadini sono ordinati alla Società come loro Fine ultimo. È la società a essere ordinata al bene comune dei cittadini considerati in quanto uomini fatti a immagine e somiglianza di Dio e aventi un’anima razionale e immortale e, quindi, ontologicamente superiori alla società (“civitas propter cives et non cives propter civitatem”). Contro l’individualismo liberale, la retta ragione insegna, invece, che l’autorità politica ha il dovere di difendere i diritti dei cittadini e di procurare anche positivamente i beni che rendono dignitosa la vita del cittadino, che l’attività del privato non può procurare sufficientemente e che l’uomo considerato come cittadino è una parte della Società e quindi moralmente o politicamente inferiore a essa. L’autorità politica non deve assorbire ma proteggere i diritti della persona e della famiglia; essa interviene solo ove la famiglia e il privato non riescono ad andare avanti (principio di sussidiarietà). L’essenza della società umana
V’è chi individua l’essenza della Società nell’autorità, asserendo che la Società è composta da due elementi essenziali: quello materiale, costituito dalla moltitudine degli uomini, e quello formale, costituito dalla pubblica autorità. Secondo altri, invece, l’essenza della Società è da individuare nelle sue quattro cause – causa finale, il bene comune; causa materiale, le persone e le famiglie; la causa efficiente, Dio che ha creato l’uomo socievole; causa formale, l’unione morale tra i soggetti che s’impegnano in vista del bene comune – essendo l’autorità una proprietà della Società, ossia un elemento che deriva direttamente e necessariamente dall’essenza della Società ma che, da sola, non ne costituisce l’essenza. L’origine del potere
1°) Potere assoluto del capo Il potere viene immediatamente da Dio al capo, senza passare attraverso il popolo come canale. Dio sceglie un individuo cui conferisce il potere. Ciò è vero per la Chiesa Cattolica, per i Re dell’Antico Testamento (6) e non per l’autorità umana nel Nuovo Testamento; infatti, l’autorità viene da Dio come da causa remota, ma Dio non manifesta (per Sé o normalmente) direttamente quale sia la persona che debba esercitare il potere (può farlo per accidens, ma in filosofia si considera il per Sé). La persona è scelta dal corpo sociale. Il popolo, perciò, non crea il potere, ma designa le persone che lo debbono esercitare. S. TOMMASO riconosce la legittimità del suffragio nelle piccole Società, in cui ciascuno conosce in cosa consista l’interesse della comunità; ma lo critica nelle grandi Società (S. Th. I-II, q. 97, a.1). L’ANGELICO non parla di suffragio universale “che dà lo stesso valore a tutti i voti, e assicura, così, il predominio della massa incompetente e facilmente ingannabile, sulla sanior pars societatis, il predominio della preoccupazione degli interessi individuali immediati sull’interesse generale futuro della società, che è così sacrificata all’interesse di ognuno” (7). FRANCISCO SUAREZ insegna che “Nessun monarca ottiene il suo potere immediatamente da Dio; ma mediante la volontà degli uomini” (8). La Monarchia di diritto divino, in cui il re ottiene il potere direttamente da Dio, si presta ad una duplice interpretazione: a) il potere deriva, come da fonte remota, da Dio, e questo è di Fede, “ogni potere viene da Dio” (Rom., XIII, 1); b) l’autorità regale deriva direttamente al Principe da Dio, quindi è sciolta (assoluta) da ogni legame o dipendenza (dal Papa, dalla Chiesa e dal popolo, anche quando il monarca diventa tiranno). Invece, solo il Papa riceve direttamente il potere da Dio, dopo esser stato eletto dai cardinali, che non gli trasmettono alcun potere, neppure come canale; ma che designano solo una persona, alla quale Dio direttamente dà il potere, mentre il re (o qualsiasi autorità temporale) riceve il potere da Dio, mediatamente. Quindi, se si vuole utilizzare il termine “monarchia di diritto divino”, occorre specificare: mediatamente divino. 2°)
Potere delegato dal “popolo canale”
È
la tesi insegnata dai Padri, sino a S. TOMMASO, e da BELLARMINO e
SUAREZ. La scelta del capo appartiene al corpo sociale, come sanior pars, di modo che
l’autorità lavori per il bene comune.
Occorre specificare che il popolo (che non è la massa amorfa) “ha” il potere solo per comunicarlo al capo, ossia il popolo è soggetto imperfetto o transitivo o “viale” del potere, mentre il capo è soggetto perfetto e permanente di esso; il capo detiene stabilmente il potere come suo; una volta datogli, esso non può essere ripreso dal popolo a suo capriccio (tranne il caso di tirannia). Il capo non è il deputato o rappresentante del popolo. Egli ha l’autorità stabilmente, che gli viene, mediante il popolo-canale, da Dio. “Poiché tutti gli uomini nascono liberi, non esiste uomo che possa pretendere di avere giurisdizione su altri uomini. Dunque, Dio non ha potuto attribuire immediatamente e direttamente la sovranità a qualcuno. La sovranità risiede [...] nell’insieme degli uomini, ossia nella comunità. È questa, dunque, che ha il diritto di scegliere liberamente una certa forma di governo e di designare il capo o i capi cui viene delegato il potere sovrano (9). Questa è la dottrina scolastica e cattolica o teoria tradizionale del potere-delegato, come la si chiama in etica sociale. Dio è fonte remota di potere, il popolo ne è solo canale di traslazione; e siccome la comunità, normalmente, non sa, perfettamente e stabilmente, esercitare il potere, ecco la necessità di scegliere una persona (o più, a seconda delle forme di governo) alla quale trasferire il potere, come canale, e nella quale il potere resta stabilmente. La socievolezza naturale dell’uomo
Papa LEONE XIII insegna che “L’uomo è naturalmente ordinato alla Società civile: non potendo, infatti, nell’isolamento procacciarsi il necessario alla vita e al perfezionamento intellettuale e morale, la Provvidenza dispose che egli venisse alla luce fatto per congiungersi ed unirsi ad altri, sia nella Società domestica, sia nella Società civile la quale solamente gli può fornire tutto quello che basta perfettamente alla vita”. (Enciclica Immortale Dei, 1° novembre 1855). Già ARISTOTELE diceva che chi è incapace di vivere in società o non ne ha la necessità perché basta a se stesso, deve essere “un animale o un semi-Dio” (10). La famiglia, non essendo autosufficiente, tende a integrarsi nella Società civile il cui Fine è universale, perché è quello che riguarda il bene comune a cui tutti i singoli cittadini hanno diritto nella debita proporzione. “Per essa gli uomini si mettono in mutua comunicazione al fine di formare uno Stato” (LEONE XIII, Enciclica Rerum Novarum, 15 maggio 1891). Lo Stato è per i cittadini, non viceversa; ossia, la persona in quanto razionale, libera e spirituale non è un ingranaggio della Società, una parte di essa, come una rotella di un meccanismo. Perciò, occorre che lo Stato rispetti la dignità della natura umana, fatta a immagine e somiglianza di Dio, dotata di un’anima spirituale e d’intelletto e volontà, e quindi libera di fare il bene che la condurrà alla vita soprannaturale ed eterna. Lo Stato perciò deve procurare una vita materialmente perfetta all’uomo, difendendo i suoi diritti e la sua dignità: la vita, l’integrità fisica e morale, le comodità temporali, l’educazione, ecc. Ma al contempo l’uomo in quanto sociale o civis deve sacrificare moralmente se stesso per il bene comune della Patria, partendo per la guerra difensiva, pagando le giuste imposte, rispettando le leggi civili rette. Papa PIO XI insegna che “Nel piano del Creatore la Società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo Fine, essendo la Società per l’uomo e non viceversa. Ciò non è da intendersi nel senso del liberalismo individualistico, che subordina la Società all’uso egoistico dell’individuo, ma solo nel senso che, mediante l’unione organica con la Società, sia a tutti resa possibile, per la mutua collaborazione, l’attuazione della vera felicità terrena” (Enciclica Divini Redemptoris promissio, 19 marzo 1937). Proprio in considerazione della natura dell’uomo, sarebbe un gravissimo errore pensare che la Società civile sia ordinata esclusivamente alla sicurezza e al bene temporale dell’uomo, senz’alcuna relazione a Dio. La Società civile, infatti, non può prescindere dal Fine ultimo della persona, sia perché la felicità temporale dice ordine a quella spirituale, sia perché l’uomo singolo, fatto di anima e corpo, non può contentare solo il corpo, ma deve provvedere anche alla sua anima, che anela a un Fine spirituale. Il bene comune
Il bene comune è il bene di una comunità di persone (famiglia, associazione, corporazione, ordine religioso, città, Stato) ed è relativo alla natura della comunità a cui si riferisce. Il bene comune naturale più importante è quello della Società politica, comprensivo di quello delle comunità particolari, proprio perché nella Società politica queste trovano il loro sostegno e completamento. Il bene comune è il bene di tutti e di ciascuno, dunque, un bene che non deve togliere alla singola persona ciò che le è essenziale per realizzarsi come uomo; ossia, conformemente alla propria natura umana, a meno che – a causa di scelte morali e atti contrari all’integrità del corpo sociale – non sia lo stesso individuo a porsi nella condizione di subire restrizioni e sanzioni, comminate dalla legittima autorità posta a protezione del consorzio civile. Nei rapporti tra bene personale e bene comune, il primo è subordinato al secondo sul piano delle cose temporali e materiali, in questo caso, infatti, la comunità viene prima del singolo. Ma se si tratta, invece, del bene di ordine soprannaturale, che riguarda la vita eterna della singola persona di fronte al bene materiale della comunità, allora il primo posto spetta alla persona razionale, libera ed immortale: “Il bene del tutto è maggiore del bene particolare di uno solo, se si tratta dello stesso genere di bene. Invece, il bene soprannaturale di una persona supera il bene naturale di tutto l’universo” (11). NOTE 1 - F. DE VITORIA, De potestate civili, p. 177; R. BELLARMINO, De membris Ecclesiae, III, p. 10; F. SUAREZ, De legibus ac de Deo legislatore, I, pp. 165-166. 2 - La dottrina politica tomistica e della seconda e terza scolastica è stata ripresa costantemente dal Magistero della Chiesa a partire da Gregorio XVI nella condanna del cattolicesimo liberale (Enciclica Mirari vos, 1832) sino a Pio XII, che nel - 1941 - scriveva: “Dalla forma data alla Società, a seconda che sia in accordo o no con le Leggi divine, dipende il bene o il male delle anime. Dinanzi a questa considerazione e previsione, come potrebbe essere lecito per la Chiesa […] rimanere spettatrice indifferente davanti ai pericoli cui vanno incontro i suoi figli, tacere o fingere di non vedere situazioni che […] rendono difficile o praticamente impossibile una condotta di vita cristiana?” (Pio XII, Radiomessaggio “La solennità”, Pentecoste 1941). 3 - F. DE VITORIA, De potestate civili, p. 117; R. BELLARMINO, De membris Ecclesiae, III, p. 6 e 9; F. SUAREZ, De legibus ac de Deo legislatore, I, p. 165; L. MOLINA, De justitia et de jure libri sex, p. 1075. 4 - De regimine principum, lib. I, cap. 1. 5 - Cfr. F. CAVAGNIS, Institutiones Juris Publici Ecclesiatici, Roma, IV ed., 1906, vol. I, p. 23; J. GREDT, Elementa philosophiae aristotelico-thomisticae, Friburgo, Herder, 1921, III ed., II vol., Ethica specialis, cap. III, tesi 25-28; T. ZIGLIARA, Summa philosophica, Roma, Propaganda Fide, 1876, vol. III, p. 183; J. GOENAGA, Philosophia socialis, Roma, Gregoriana, 1964, p. 278, V. CATHREIN, Filosofia morale, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1920, 2 voll. 6 - S. Th., I-II, q. 90, a.3. 7 - H. COLLINS, Manuel de philosophie thomiste, Parigi, Téqui., 1927, vol. III, pagg. 349-350. 8 - Defensio fidei, III, cap. 2, Conimbricae, 1613. 9 - J. J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico, Il Mulino, Bologna, 1989, vol. II, L’età moderna, pag. 138. 10 - Politica, I, 2, 14. 11 - SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q. 29, a. 1; Summa contra Gentiles, lib. III, capp. 111-113; De regimine principum, lib. I, capp. 14-15. |