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CARO FRANCESCO, CARO EUGENIO… dimmi. Inchini reciproci tra Papa Bergoglio ed Eugenio Scalfari parte terza di
L. P.
Come scritto in finale del secondo servizio, dedichiamo questa terza ed ultima ricognizione – tralasciando per economia di spazio altri argomenti non meno importanti però – ai temi legati al rapporto potere civile/potere religioso - Israele e la promessa divina - l’agire secondo coscienza. Scrivemmo tempo fa – 29/6/2013 - in riferimento alla denuncia penale che mons. Luigi Negri aveva intenzione di presentare, unitamente al rabbino Giuseppe Laras, contro lo Stato Italiano reo, a parer suo, di non aver tutelato debitamente i giovani col permettere la visione d’un grottesco, laido, spregevole film americano, cioè, dei massonici USA. Rilevammo in quell’occasione, come il Magistero, avendo riconosciuto non solo la diversità ma addirittura la netta separazione dei poteri tra Stato/Chiesa, tale minaccia di querela poggiava sulla sabbia e si qualificava come ingerenza d’uno Stato nell’altro (Risparmiamo ai lettori l’escussione delle testimonianze che Papi – Paolo VI, GP II, Benedetto XVI, cardinali come Angelo Bagnasco e Tarcisio Bertone in occasione dei festeggiamenti del 150° del risorgimento, e studiosi “cattolici” adducono a sostegno di tale dottrina). Chiedemmo invece, forse un po’ troppo polemicamente a Mons. Negri, che piuttosto biasimasse il rabbino Laras i cui correligionarii - produttori, registi, sceneggiatori e attori - nella profluvie di filmati che ci vien scaraventata dal piccolo schermo tv, lavorano di fino in senso anticattolico. Ed infatti: il pedofilo di turno è sempre un prete cattolico, la suora cattolica è sempre una lussuriosa, l’assassino seriale conserva, nella sua sordida stanza di locanda, resti feticistici delle vittime accanto a crocifissi e padri pii, la prostituta nera porta appesa, tra le enormi mammelle, una croce d’oro e lo spacciatore reca un orrido tatuaggio con tanto di serpente avvolto alla croce. Mai che uno stupro, un assassinio, uno spaccio, un’orgia avvengano in sinagoga o in moschea! Capirai: con quella razza di talebani in circolazione bisogna stare attenti! E mai che la Gerarchia osi protestare, così come non protesta contro le pubblicità italiote, becere e insulse, in cui puntualmente appaiono frati, monache, preti intenti nello squaquarellìo d’una sceneggiatura salottiera, ammiccante a doppio senso. La risposta di papa Bergoglio a Scalfari tocca il tema del potere affermando la distinzione tra sfera religiosa e sfera civile sancita dal detto di Cristo secondo cui bisogna “rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt. 22, 21). Esposta così, la dottrina non fa una grinza ma ciò che la fa è l’omissione di un altro passo evangelico di ben altra portata in quanto è l’ideale complemento e spiegazione del precedente, diciamo della riposta che Gesù dà a Pilato a proposito del potere che costui detiene. Ecco: “ Tu non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto” ( Gv. 19,11 ). Appare chiaro come Gesù affermi la subordinazione del potere umano – dello Stato – al potere divino e parimenti appare chiaro come Egli disegni una distinzione ma non parli di netta separazione come, invece, oggi la Chiesa predica. Sintesi di tutto questo discorso è la perentoria affermazione che Pietro e gli Apostoli indirizzano al Sinedrio allorché, diffidati dal predicare ulteriormente il Vangelo, essi rispondono: “Bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini” ( Atti, 5,29). Evitiamo di produrre dottrine e commenti cattolici in merito per non dare il destro a una critica che, con l’additare siffatta difesa come petizione di principio, facilmente si potrebbe evidenziare quanto il vino, per l’oste che lo fornisce, sia buono. Niente santi Padri o Tommaso Aquinate, o Bellarmino. Ci basti il Vangelo e la Parola di Cristo. Ma talora anche questa Parola subisce deformazioni, tanta è la disinvoltura con cui la si interpreta come nel caso della chiesa anglicana di cui sua graziosa maestà – erede del forcaiolo Enrico VIII ( cfr. Elisabetta Sala – L’ira del re è morte – ed. Ares 2010 ) - capo della nazione, è anche papessa ma subalterna alla monarchia. Ciò valga, per il cattolico apologeta, argomento di rivalsa piccante, tagliente e polemica contro quanti, massoni italioti e inglesi, accusano la Chiesa di aver praticato il binomio trono/altare. Nel libro che papa Bergoglio ha scritto in collaborazione col rabbino Skorka citato nei precedenti nostri servizii, l’allora cardinale di Buenos Aires si doleva, con grande gioia del rabbino, col fare ammenda, del cosiddetto “potere temporale” che, a suo giudizio, aveva infettato la Chiesa ma, da gesuita male informato – come sono oggi i gesuiti – non considerava lo straordinario e provvidenziale ruolo svolto dalla Chiesa cattolica nella fase di “vacatio imperii”, quel ruolo che già San Bernardo definiva quale eredità dell’Impero romano: “Commutatum de temporali in spirituale, et ideo dicendum quod discessio a romano imperio intelligi debet non solum a temporali, sed a spirituali: scilicet a fide catholica romanae Ecclesiae” ( S. Bernardo: Commento a Piconio- epistula beati Pauli triplex exposita – cit. in Maurizio Blondet: gli Adelphi della dissoluzione – ed. Ares 1994 pag. 21 ), sulla cui scia San Tommaso Aquinate scrisse : “ Qui tenet ( Catechon), scilicet romanum imperium ”. Oggi, invece, sull’onda di questa nuova dottrina che afferma la separazione dei poteri divino/umano, vien considerato lecito, ad esempio in Germania, dagli Uffici cattolici di assistenza sociale – oltre 300 – praticare consulenze in cliniche abortiste, e sulla stessa onda la CEI candidamente, e vilmente, afferma non essere sua intenzione controbattere la legge 194/78, semmai accertarne un’applicazione “non lesiva della dignità e dei diritti della donna”. Il secondo tema, posto in agenda, si riferisce alla nuova visione che la Chiesa cattolica vaticano-seconda ha aperto sulla questione: “ Mantiene Israele ancora la legittimità della promessa di Dio? ”. Papa Bergoglio, dopo aver definito tale domanda un “interrogativo che ci interpella radicalmente”, e chiamando a proprio sostegno, ma in modo reticente e capzioso, San Paolo, afferma testualmente : “Quel che le posso dire, con l’apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all’alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi, poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell’alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno dl Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccati in ciò che abbiamo raggiunto”.( Ah, quanto è bello andare d’accordo con tutti! Se solo Gesù avesse capito la musica, si sarebbe risparmiato tante amarezze e una morte infame! …) Sinceramente, non sappiamo come si possano avallare siffatte espressioni del tutto e diametralmente opposte alla verità evangelica, paolina, storica e teologica. Intanto san Paolo – o l’autore della lettera agli Ebrei – è vero, ricorda ai suoi fratelli che Dio ha stipulato con loro l’alleanza, ma ciò che papa Bergoglio tace è proprio il rifiuto degli Ebrei a riconoscere Gesù come l’Inviato, il Figlio di Dio, che ha determinato quello che la parabola dei vignaioli perfidi proclama. La qual parabola, con precisione chirurgica, esprime proprio la cassazione della vecchia alleanza, tolta al popolo ex- eletto e trasferita “ad gentes”. D’altra parte, san Paolo afferma chiaramente che la persistenza della promessa di Dio, di Dio che è fedele sempre purché fedele sia il suo popolo, è subordinata all’accettazione di Gesù quale unica via che attraversa il velo – cioè, va oltre l’antica promessa - quale Sommo Sacerdote, quale Capo della Chiesa di Dio ( Ebrei, 10,19/22). Perciò non tenti, sua Santità, a coinvolgere nel suo revisionismo teologico e storico l’Apostolo delle genti il quale, da buon fariseo, convertito da Gesù stesso, – e non in un “incontro” – conosceva bene i termini della questione. Affermare, poi, che gli ebrei odierni abbiano mantenuto la fede in Dio, abbiano cioè perseverato nella Torah, è non solo soffietto adulatore di papa Bergoglio, ma tentativo di offuscare la storia, perché un gesuita, ma che diciamo! un semplice studentello di storia, sa che l’antico ebraismo si basava sulla Torah e solo su questa, mentre quello moderno, di scuola rabbinica – anzi, di varie scuole rabbiniche - fonda la sua fede sul Talmud, l’adunata delle più velenose riflessioni contro la legge mosaica, contro Cristo e contro la Chiesa manifestandosi in termini teologici, come diretta filiazione della Gnosi spuria, del Sabbatismo e della Kabbalà, i distillati più pirotecnici di esoterismo virale sorti rispettivamente nel II sec., a Smirne nel VII sec. e nella Spagna dell’ebraismo sefardita del XIII sec. e da cui son spuntati il franckismo e le innumeri scuole del sionismo rivoluzionario presenti e attive nel 1789 francese e nel 1917 russo. Oggi il Talmud praticamente esercita una dittatura totalitaria sulla vita degli Ebrei, cioè, quelli che professano il giudaismo. Vogliamo riprodurre, a prova di quanto detto, alcuni passi tratti da questo testo, lo stesso a cui fa riferimento continuo il rabbino citato Skorka al quale, lo diciamo a titolo non troppo statistico, il cardinal Bergoglio, nel corso del dialogo fraterno ( Il Cielo e la terra – ed. Mondadori 2013 ) dà ragione ben 17 volte contro le due del rabbino. Ecco alcuni esempii: 1 – Il rabbino Rab stabilisce che se uno
commette sodomia con un bambino di età minore di 9 anni, non
incorre in alcuna colpa. Il rabbino Samuel, invece, stabilisce che
l’età minima è di 3 anni ( Sanhedrin, 55b-55a),
2 - Il rabbino Rabba ha detto: quando un uomo adulto ha rapporti sessuali con una bambina non è niente, perché quando la bambina ha un’età inferiore a 3 anni è come se uno mettesse il dito in un occhio (Kethuboth, 11° - 11b); 3 – Il rabbino Papa ha detto: non vi è adulterio in un rapporto con un animale ( Sotah, 26b); 4 – Mentre una giovane spazzava il pavimento, un cane del villaggio la coprì dalla parte posteriore. Il rabbino Dimi le permise di sposare un sacerdote. Samuele disse: “Anche un sommo sacerdote” (Yebamoth,55b); 5 – Gesù: simile ad una bestia, fu appeso al patibolo, sepolto come una carogna su un mucchio di sporcizie, infine gettato all’inferno” ( Zohar III,282), 6 – Gli ebrei hanno una dignità che persino gli angeli non possono condividere ( Chullin, 91b); 7 – Le donne ebree sono contaminate nell’incontro con i cristiani ( Iore Dea 198 – 48); 8 – I cristiani sono stati creati per servire sempre gli ebrei ( Midrasch Talpioth 225), 9 – I cristiani sono idolatri, e non ci si deve associare ( Hilkhotth Maakhaloth ); 10 – I Vangeli sono volumi di iniquità libri eretici ( Schabbath, 116a Tos); 11 - Gli ebrei devono sempre ingannare i Cristiani ( Zohar I, 160a); 12 - Vi è innocenza nell’accusa di omicidio se l’intenzione era di uccidere dei Cristiani ( Makkoth 7b). Potremmo continuare in un elenco che ci dimostra in quanta misura i nostri “fratelli maggiori” ( GP II), e quanto i nostri “padri ” (Benedetto XVI) ci vogliano bene e quanto apprezzino invece il molle e codardo dialogo che con loro la Chiesa cattolica mantiene vivo. Le nostre Sante sono, nel Talmud, considerate prostitute ( chedescio), la stessa Chiesa definita casa di turpitudine (bet atturpa) e latrina ( bet caria), il Natale di Gesù è estirpazione (Nital), la Pasqua è patibolo ( chesac). Insomma un repertorio, cara Santità Francesco, di elegante lessico e di sublime rispetto. Lei persista a conversare o ad inviare messaggi e continui a dire a Scalfari quanto da imparare noi abbiamo ancora dall’ebraismo e quanto debba loro l’umanità, ma torni a leggere quanto ebbe a dire Pietro, il primo Pontefice, Vicario di Cristo e Vescovo di Roma: “ Fratelli Giudei, pentitevi e cambiate vita perché siano cancellati i vostri peccati, perché giungano i tempi della consolazione da parte del Signore, perché Egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù” ( Atti, 3, 17/20), perché non ci sembra che dobbiamo essere noi, cattolici, ad essere dagli Ebrei richiamati all’attesa di Cristo il quale è già venuto ma essi non Lo hanno riconosciuto. E quando avrà modo di incontrare qualche rabbino gli faccia presente che la Chiesa, pavidamente, ha pur cancellato la preghiera “pro perfidis Judaeis” sperando che essi cancellino, dal Talmud, le ingiurie sopra documentate ed in più riparino l’offesa che i cineasti talmudisti arrecano alla Santa Chiesa Cattolica nel proporre a modello di ogni iniquità individuale e sociale i suoi ministri, i suoi santi segni, le sue tradizioni. Al postutto, è evidente che l’alleanza di cui si parla è la “nuova”, quella stabilita con il sacrificio della Croce alla quale alleanza sono chiamati anche gli Ebrei che, diversamente rifiutando Gesù Figlio di Dio, e compimento delle Scritture, ne son fuori. E non sarà una bassa politica a dar legittimità a un patto che è stato sconfessato e cancellato allorché il velo del Tempio si squarciò in due ( Mt. 27, 51/52 ) . Cari lettori: ma non è Gesù che dice: “Chi non è con Me è contro di Me, e chi non raccoglie con me disperde” ? ( Mt. 12,30 – Lc. 11,23 ) ). Ed allora, è così difficile comprendere come tutti coloro che sono fuori dell’ovile di Cristo non sono coperti dall’assicurazione dell’alleanza? Israele ha rifiutato il Figlio di Dio, Israele è contro di Lui, pertanto, così come gli scismatici d’ogni confessione, è fuori dell’alleanza in cui può, però, rientrare, come vi è rientrato Israel/Eugenio Zolli, solo convertendosi a Lui. Non v’è altra via perché, sempre secondo la Parola di Gesù, tutti, anche le pecorelle di Israele sono chiamate a riunirsi in lui. “ Io ho altre pecore che non sono di quest’ovile, anche queste Io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” ( Gv. 10, 16 ) e secondo il disegno del Signore “ di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra… capo di tutta la Chiesa” ( Ef. 1, 10 -22 ). Papa Bergoglio di quale ovile e di quale unico Pastore parla? E poi,Santità, ma davvero Israele ha conservato le fede nel vero Dio? Se tale è la SS. Trinità, se tale è Gesù, non sembra affatto che l’ebraismo moderno, figlio della Gnosi, della Kabbalà e del Talmud, adori il vero Dio che è, nella rivelazione di Cristo, unico e solo Dio. Proseguiamo nel percorso ricognitivo dell’epistola papale sorvolando sul cenno alla “verità assoluta” di cui papa Bergoglio nega la possibilità dandole sola sostanza di “verità relazionale” che l’ateo Scalfari, durante una trasmissione televisiva di qualche giorno fa, ha riciclato come “verità relativa”. Dovremmo parlare di improprietà di linguaggio papale, di imprudenza o di altro? Passiamo, allora, all’argomento della “buona coscienza” di cui papa Bergoglio scrive: “ Premesso che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limiti se ci rivolge a Lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la coscienza”. Il pontefice, in questo passo, s’impiglia nelle secche d’un dialogo che non sa risolvere le problematiche dacché pone a priori l’esistenza di un qualcosa – la buona coscienza - che tale deve essere dimostrato come già dato, già acquisito, e su cui costruisce il successivo passo. Il tema è delicato sicché, allo scopo di evitare improprietà ed equivoci facili in questo ambito, abbiamo chiesto il parere illuminante del più autorevole teologo vivente, di cui godiamo l’onore della sua amicizia, che così ci ha risposto: “ La questione del secondo coscienza è molto
delicata e si dovrebbe incominciare a parlarne solo dopo aver assolto
l’obbligo strettissimo di formarsi una coscienza
certa ed obbiettiva
sui doveri da compiere. L’obbligo, infatti, non riguarda soltanto la libertà d’agire in un senso o
in un altro, ma – ed in modo previo – la formazione della propria
coscienza in senso cattolico ed estesa a tutta la morale cattolica. Il
metter sullo stesso piano – quello dell’agire secondo coscienza – tanto
chi opera in ossequio al dettame d’una coscienza retta ed obbiettivamente formata quanto
chi opera in base a una qualunque motivazione di coscienza certa, è un comportamento
superficiale: la certezza deve derivare dall’impegno personale di far
coincidere la propria decisione con la moralità della norma
sulla quale s’appoggia. Una certezza soggettivamente diversa non
è esente da responsabilità. L’errore, quindi – o il danno
– compiuto in stato di coscienza erroneamente certa, è per
questo censurabile. L’ateo che veramente vive secondo coscienza ha
innanzitutto il dovere di risolvere la propria situazione
d’incredulità. Se non lo fa, non si salva perché la sua
coscienza gli giustifica agnosticismo o ateismo, ma perché non
fa nulla per sollevarsi dal suo stato d’agnosticismo e
d’incredulità. Sembrano distinzioni di poco conto, ma hanno
invece un significato enorme”.
Ci vien fatto da riflettere, dopo questo parere, che la retta coscienza non si può costruire sulla semplice avvertenza di bene/male presente in una creatura come l’uomo, tarata dal peccato d’origine e perciò corrotta, mortale, finita, limitata. Una coscienza “secondo natura” da intendersi come “buona” data dal complesso delle leggi umane non di rado, anzi spesso, è funzionale e finalizzata a scopi contrarii al bene. Basti pensare a tutta la scuola morale che ha fatto della “situazione” l’elemento giustificatore delle azioni. Se rubi perché hai fame, sei, per la circostanza in cui hai rubato, giustificato; se uccidi un avversario politico perché l’ideologia che ti guida lo esige ti viene addirittura eretto un monumento. La storia, poi, è colma di esempii di legislazioni empie. Ne abbiamo, oggi, il modello in quegli Stati che, sovvertendo la Legge di Dio, dichiarano legittimi taluni comportamenti contro natura sotto l’usbergo del diritto individuale a scegliere in “piena libertà”, non diversamente da quanto si legge di Semiramide che “libito fe’ licito in sua legge” (Inf. V, 56 ). Necessariamente, allo scopo di sovvenire al soggettivismo relativistico, Dio ha voluto e dovuto elargire all’uomo, con le tavole del Decalogo, la norma obbiettiva e modellare, certa e buona. Al di fuori di questa positività rivelata non può darsi certezza assoluta di bene perché si cadrebbe e nella presunzione russoiana dell’uomo “buono” per natura e nel pelagianesimo in cui, purtroppo e disinvoltamente, cade papa Bergoglio quando afferma che l’ateo compie il bene obbedendo alla propria coscienza supposta “buona”. Né più né meno del cacciatore di teste la cui coscienza gli dice e gli rappresenta, come cosa buona e ottima, innalzare trofei di teste umane e di imbandire banchetti con le carni sue. Dovremmo, parimenti, considerare frutti di “buona coscienza” i riti cannibaleschi fenici o aztechi in quanto eseguiti secondo norme di comune sentire e di accettata validità. Ogni perversione, ogni tragedia ha, in chi le commette, la sua radice nella presunzione di agire per il bene proprio o della collettività. Sia chiaro, allora, che soltanto nella legge universale di Dio – il supremo potere a cui è sottomesso anche quello di Cesare – risiede certezza del diritto e del dovere, certezza del bene e del male. Nel chiudere questa nostra chiacchierata offriamo ai lettori una citazione a cui, però, sarà necessario apporre una chiosa di rettifica, e cioè una terzina della nostra maggior musa, l’Alighieri che, per bocca di Beatrice, indica la strada per risolvere le problematiche teologiche, etiche e di coscienza col dire: “ Siate, cristiani, a muovervi più
gravi!
Non siate come penne ad ogni vento, e non crediate ch’ogni acqua vi lavi. Avete il novo e vecchio Testamento, e ‘l pastor della Chiesa che vi guida: questo vi basti a vostro salvamento”. ( Par. V, 73/78 ). Questo valeva per i tempi in cui il poeta scriveva perché oggi, è nostra convinzione, il pastore della Chiesa ha lasciato l’ovile e si è perso nel mondo. parte prima parte seconda (torna
su)
settembre 2013 AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO |